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L’assalto al carcere: 10 settembre

L’ingresso del carcere di Sant’Agata

Nella notte fra il 10 e l’11 settembre, i tedeschi fanno irruzione al carcere di Bergamo, sito in città alta nel complesso di Sant’Agata. Ne abbiamo notizia da tre fonti, recentemente acquisite alla ricerca da Isrec: una relazione del capoguardia Fusaglia, un fascicolo del Genio Civile di Bergamo del novembre 1943 e una sentenza del febbraio 1944.

La sera stessa dell’ingresso dei tedeschi a Bergamo, dopo l’occupazione delle principali caserme e luoghi nevralgici cittadini, un gruppo di militari si porta in città alta e davanti al portone d’ingresso nell’attuale vicolo Sant’Agata chiede di accedere al carcere. Sono guidati da un ufficiale e armati anche di bombe a mano. Di fronte alla titubanza della guardia messa al servizio di portineria, che richiude istintivamente lo spioncino e si allontana alla ricerca di direttive superiori, l’ufficiale ordina il fuoco.

I danni sono gravi: il portone a due battenti è danneggiato gravemente, così come il portone laterale, l’antiporta e una finestra. Nel carcere è il caos. 

I tedeschi sono entrati nel carcere con l’obiettivo di prelevare 13 detenuti che vi si trovavano a disposizione dell’ufficio politico della Regia Questura di Milano e del Tribunale Militare di Seregno. La loro irruzione semina il terrore nel reparto femminile che è confinante con l’area d’ingresso: i soldati entrano bruscamente nelle celle e, a detta delle detenute, le obbligano a fuggire. In quel momento nel reparto femminile erano rinchiuse 27 donne, sorvegliate da due suore: escono tutte dal carcere, ma la maggioranza, non sapendo dove andare e avvicinandosi la notte, restano nel vicolo insieme alle suore.

Verso le ore 21 quando i tedeschi lasciano il carcere, mancano all’appello 8 donne che si sono allontanate. Di queste una è ritrovata alla stazione e riportata in carcere; altre sette saranno convocate in Pretura il 12 febbraio 1944: sei sono contumaci, una è presente e ricostruisce i fatti. Tutte sono assolte dal reato di fuga “almeno per insufficienza di prove”. 

L’episodio, con l’assalto armato e il prelevamento con la forza di prigionieri, è una prova evidente di quanto il carcere risulti essere, anche agli occhi dei nazisti, luogo strategico per il controllo del territorio. 

All’interno del complesso sistema di repressione nazista e di quello fascista, il carcere di Sant’Agata diventerà infatti nevralgico: fino almeno al 10 maggio 1944, data di apertura del carcere tedesco nel convento Matris Domini, qui vi confluiranno uomini e donne, tutti esclusi a forza dal vivere collettivo perché nemici di fronte al progetto nazifascista, ma condannati secondo logiche e procedure di repressione diverse. Se il carcere continuerà infatti a funzionare per i reati comuni, in esso saranno rinchiusi in attesa di giudizio e/o per scontare la condanna, uomini e donne giudicati sia dal Tribunale militare germanico che dal Tribunale speciale fascista e, come fosse “campo provinciale”, anche la maggioranza dei cittadini “ebrei” per legge, catturati e deportati dalla bergamasca.  

Oggi non sappiamo con certezza come venissero suddivisi nello spazio del carcere i detenuti delle diverse categorie, benché conosciamo con una certa precisione la divisione dello spazio interno del carcere che dall’8 settembre 1943 al 26 aprile 1945 è via via sempre più affollato.

Sappiamo invece che l’assalto al carcere del settembre 1943 non porta immediatamente a un controllo diretto da parte tedesca e anche qui all’immediato intervento militare succede una più difficile organizzazione; come testimonia Giacinto Gambirasio, detenuto politico dal 9 novembre al 23 dicembre 1943, solo ai primi di dicembre vi si insedia un presidio tedesco. Tale scelta suscita “un certo sgomento” tra le guardie, che si sentono a loro volta “dei sorvegliati”, scelta forse anche determinata anche dal timore di presunti assalti da parte dei partigiani.

Anche dopo uno studio attento dell’archivio del carcere, non si è riusciti a rinvenire i registri d’ingresso e di uscita dei detenuti, mentre sono disponibili quelli delle guardie,  da cui si evince che due di queste fossero particolarmente vicine ai detenuti politici: Angelo Menini e Alessandro Zappata. Quest’ultimo per il suo operato a favore dei detenuti fu sospeso dal servizio e deportato a Flossenburg da cui non fece ritorno. Una pietra d’inciampo in sua memoria è stata per questo posta davanti all’ex carcere. 

Relazione del capoguardia Fusaglia al Direttore del carcere di Sant’Agata sull’irruzione dei tedeschi nella notte tra il 10 e l’11 settembre
Relazione del capoguardia Fusaglia al Direttore del carcere di Sant’Agata sull’irruzione dei tedeschi nella notte tra il 10 e l’11 settembre
Relazione dell’Ufficio del Genio Civile di Bergamo con il calcolo dei danni provocati dall’assalto dei tedeschi al carcere di Sant’Agata, Bergamo 16 novembre 1943, per gentile concessione dell’Archivio di stato di Bergamo
Relazione dell’Ufficio del Genio Civile di Bergamo con il calcolo dei danni provocati dall’assalto dei tedeschi al carcere di Sant’Agata, Bergamo 16 novembre 1943, per gentile concessione dell’Archivio di stato di Bergamo
Sentenza della Pretura di Bergamo n. 61 del 12.02.1944 che assolve per insufficienza di prove le sette detenute evase dal carcere di Sant’Agata durante l’assalto dei tedeschi, per gentile concessione dell’Archivio di stato di Bergamo
Sentenza della Pretura di Bergamo n. 61 del 12.02.1944 che assolve per insufficienza di prove le sette detenute evase dal carcere di Sant’Agata durante l’assalto dei tedeschi, per gentile concessione dell’Archivio di stato di Bergamo