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Combattere lontano da casa 2

Relazione dell'Ufficio Patrioti sull’attività partigiana di Angiola Piccinelli, Bergamo 18 aprile 1946

Angiola Piccinelli non ha ancora vent’anni quando si lancia con convinzione nell’organizzazione della Resistenza.  Nata a Bergamo il 5 febbraio 1924, cresciuta in una famiglia antifascista, svolge la professione di impiegata ed è attiva in città fin dall’ottobre 1943, quando è tra le prime a prestare la sua opera per portare assistenza agli ex prigionieri alleati aiutandoli nell’ espatrio, lavorando in stretto collegamento con Mimma Quarti e il Comitato gestito dalle Suore poverelle.

Nel dicembre 1943 è in azione con un gruppo di ufficiali di Marina a Pavia dove il gruppo si presenta con nomi falsi e compie una serie di atti di sabotaggio: qui è arrestata una prima volta e ricondotta il 26 febbraio 1944 a Bergamo per essere interrogata a Casa littoria e poi incarcerata a Sant’Agata.

Rilasciata dopo 8 giorni, è di nuovo in azione: bruciata a Pavia, torna ad agire a Trezzo d’Adda, impegnata nel reperire il rifornimento per le brigate (vestiario, cibo, armi, documenti falsi) e nel preparare i piani per gli aviolanci. Non ha paura di spostarsi e tenere i collegamenti tra i territori dove agiscono le brigate e i centri di comando cittadini. È arrestata un’altra volta a Milano, ma non si tradisce nel lungo interrogatorio ed è nuovamente messa in libertà.

Il 21 luglio 1944, in seguito a denunce arrivate da Pavia, sono arrestati suo fratello e sua madre che viene rinchiusa come ostaggio a Pavia. Angiola si trova ancora una volta lontano da Bergamo, a Selvino e riesce a fuggire e sottrarsi all’arresto. Il 26 luglio 1944, si presenta volontariamente alle SS di Pavia: non ha resistito al violento ricatto dei nazifascisti che hanno arrestato sua madre.

Sottoposta a interrogatori a Pavia, il 10 agosto 1944 è trasferita a San Vittore dove è ripetutamente interrogata sui compagni di lotta. L’8 settembre 1944, insieme al fratello e ai fratelli Roberto e Eugenio Bruni, è trasferita a Bolzano e quindi deportata il 9 ottobre a Ravensbruck, dove è immatricolata con il n. 77352.

La vita del campo, del lavoro che uccide mina il suo corpo, ma forte è la sua consapevolezza di stare anche lì combattendo contro il nazifascismo: trasferita, dopo 4 mesi di lavori all’aperto, al tornio di una fabbrica di aeroplani, sabota il lavoro fatto per la Germania nazista.

È allora di nuovo impiegata all’aperto in lavori di sterro e costruzioni di trincee: il 28 aprile 1945, approfittando della confusione della fine della guerra, si allontana dal cantiere e tenta la fuga insieme ad altri quattro compagni verso la Foresta nera.  Aiutata da alcuni connazionali, rivestita di abiti maschili, riesce a raggiungere Kriverc e qui attende l’arrivo dei Russi (3 maggio 1945).

Consegnata agli Americani accetta di lavorare nell’ospedale da campo diretto dagli Inglesi e vi resta fino al 9 settembre 1945, giorno del suo rimpatrio.

Una volta tornata a Bergamo, lascia che la sua esperienza rimanga ricordo personale e solo nel 1989 accetterà di testimoniare per l’Associazione Nazionale ex Deportati (ANED).

Relazione dell'Ufficio Patrioti sull’attività partigiana di Angiola Piccinelli, Bergamo 18 aprile 1946
Relazione dell'Ufficio Patrioti sull’attività partigiana di Angiola Piccinelli, Bergamo 18 aprile 1946
Donne al lavoro nel campo di Ravensbruck (Bundesarchiv)
Donne al lavoro nel campo di Ravensbruck (Bundesarchiv)
Lettura dalla testimonianza di Angiola pubblicata in "Bergamaschi nei KZ", Aned Bergamo, 1992
Lettura dalla testimonianza di Angiola pubblicata in Bergamaschi nei K