L’estate del 1944 è l’estate dell’ottimismo partigiano. Lontano è il tempo in cui la Germania nazista sembrava invincibile: lo sbarco in Normandia, la liberazione di Parigi e lo sbarco sulle coste della Francia meridionale, la ritirata delle truppe dell’Asse dall’arco del fronte russo e di quelle giapponesi in Asia e nel Pacifico rendono possibile pensare alla vittoria degli Alleati.
All’inizio di quell’estate Mario Zeduri (classe 1926) ha conseguito il diploma al Liceo Paolo Sarpi e si è iscritto al Politecnico di Milano. Riceve la cartolina per la leva nelle file dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana, ma alla vigilia del giorno fissato per la sua presentazione al distretto militare, lascia la sua casa e raggiunge Paratico, dove la staffetta Celestina Gatti lo accompagna dagli uomini che stanno raccogliendosi intorno a Giovanni Brasi.
La storia di Mario fa eco alle storie di tutti quegli italiani cresciuti nella scuola fascista, formatisi per diventare esponenti della classe dirigente fascista quando il regime non aveva nemici. Mario studia in una scuola epurata dai libri considerati pericolosi, da cui gli allievi definiti per legge di razza ebraica sono stati espulsi; una scuola che inizia con la visita al Sacrario dei caduti della rivoluzione fascista, in cui il calendario fascista è rispettato e sottolineato da apposite manifestazioni e le lezioni di cultura militare sono obbligatorie. Mario fa parte di quegli italiani che hanno dovuto “inventarsi” un antifascismo, “crearlo dal germe, dalle radici, dalle nostre radici” (P. Levi), rimettendo in discussione l’educazione ricevuta, l’ambiente della propria formazione, le abitudini di pensiero inevitabilmente acquisite. Proprio Primo Levi ricordava lo sforzo di “trovare fonti di certezza” alternative a quelle offerte dal regime e dalla propaganda e, come nell’ebreo Levi, nel cattolico Mario, la montagna, la Bibbia e le materie scientifiche diventano alternative “scuole di antifascismo”. Con la stessa passione e impegno, Mario frequentava la Congregazione mariana di San Giorgio, dove insegnava il catechismo ai più piccoli, dedicava il tempo libero a provare se stesso in montagna in faticose ascensioni (è lui a issare la prima croce sulla Presolana).
Quando Mario decide di raggiungere la Resistenza, le file partigiane si stanno ingrossando e l’espansione della Resistenza è parallelo al tentativo di un processo di organizzazione e inquadramento che implica a sua volta una progressiva politicizzazione del movimento resistenziale. Così è anche per Brasi e i suoi uomini: proprio in quell’estate il nucleo sopravvissuto ai pesanti rastrellamenti del dicembre 1943 si ingrossa e con il recupero di un lancio alleato il 3 agosto 1944 la banda diventa ufficialmente la 53° Brigata Garibaldi “Tredici Martiri”.
Con il nome di battaglia Tormenta, inquadrato nella squadra di Giorgio Paglia, Mario partecipa al maggior successo militare della brigata: la battaglia di Fonteno del 31 agosto 1944. È ferito e passa alcuni mesi in una cascina di Valmaggiore, protetto e curato dalle donne del paese.
Quando rientra in formazione, tutto è cambiato e si sta preparando il difficile inverno 1944-1945. Mario muore il 17 novembre 1944, nel rastrellamento della Malga Lunga.
Alcuni professori e allievi della su scuola qualche giorno dopo la sua morte fecero una donazione al Patronato San Vincenzo. Non è privo d’interesse ricordare che tra la ventina di suoi compagni di classe vi erano Mirko Tremaglia e Filippo Maria Pandolfi. Il primo partirà volontario per la Repubblica Sociale Italiana, per lui e altri militi sarà istituita una sessione speciale d’esame nell’autunno del 1944; dopo la guerra diventerà parlamentare del Movimento Sociale Italiano, l’erede del partito fascista. Il secondo era il migliore della classe e durante il conflitto si concentrò, come molti altri italiani, sul proprio percorso personale diventando, dopo la guerra, un personaggio politico importante della Democrazia cristiana, ministro della Repubblica e parlamentare europeo.
Letta all’interno del microcosmo della sua classe, la scelta di Mario testimonia quanto la Resistenza fu certo una scelta di pochi, che rese però poi possibili una vita democratica a tutti.