La scuola diventa il territorio privilegiato della costruzione dell’uomo nuovo “italiano e fascista”, coraggioso, forte, virile, dotato di agonismo sportivo e spirito guerresco. Le organizzazioni giovanili del fascismo, l’Opera nazionale balilla prima e la Gioventù italiana del littorio poi, hanno rapporti continui con le istituzioni scolastiche e i presidi forniscono con solerzia i dati relativi alle iscrizioni – rese obbligatorie nel 1937- dei propri allievi alle organizzazioni fasciste. Il ruolo della scuola e quello delle organizzazioni giovanili del regime si fondono di fatto in un unico progetto educativo, in cui l’istruzione in senso stretto è piegata alle esigenze dell’indottrinamento e della propaganda.
Questo aspetto si realizza non solo attraverso forme di controllo e inquadramento degli insegnanti, costretti al giuramento di fedeltà al regime e all’iscrizione al Partito fascista, e degli studenti, ma si dispiega anche sul piano dell’immaginario e dei programmi.
I bambini e le bambine delle scuole elementari studiano, a partire dall’anno scolastico 1930-31, su un unico testo, il libro di testo dello stato fascista, quelli delle medie e delle superiori su testi sottoposti ad un rigido controllo e dal 1934-35 gli studenti delle superiori sono tenuti a seguire lezioni di cultura militare, mentre le studentesse frequentano lezioni di puericultura e di economia domestica.
Non stupisce che il primo provvedimento contro gli ebrei sia varato dal Ministero dell’Educazione retto da Bottai, e invita i provveditori agli inizi di agosto a diffondere la rivista “La difesa della razza” e a propagare la dottrina razzista nelle scuole; il 9 agosto si ingiunge loro di escludere gli ebrei da ogni supplenza e incarico e il 24 agosto di controllare la presenza di libri di testo di autori ebrei e di vietare l’iscrizione a scuole e università agli ebrei stranieri.
Il 5 e il 7 settembre vengono varati i primi due provvedimenti legislativi, con cui si va a colpire innanzitutto la scuola, quasi a voler agire sul settore dell’educazione e della cultura, in quanto potenzialmente capace di contribuire a costruire una sensibilità condivisa e sull’ambiente scolastico quale luogo di mescolamento e rispecchiamento della società.
A Bergamo, all’Istituto magistrale, uno degli istituti magistrali più antichi del Regno, fondato nel 1861, dedicato dal 1891 a Paolina Secco Suardo e dall’inizio del Novecento ospitato nei locali della Cittadella, il preside, Ezio Orefice, è messo a riposo dal 1° dicembre 1938. Orefice, nato a Venezia nel 1892, aveva partecipato come ufficiale degli Alpini alla Prima guerra mondiale e sul fronte del Pasubio, il 13 luglio 1916, durante la preparazione di un’azione offensiva, era rimasto ferito. Rientrato in servizio solo nel novembre 1917, era di nuovo inviato ad Asiago e quindi fatto prigioniero dagli austriaci. Insegnante di lettere, sposato dal 1920 con Antonietta Nosari, “uomo d’ordine, monarchico e nazionalista” (Silvio Cavati), compagno di prigionia di Antonio Locatelli, Orefice, che durante la prigionia aveva maturato un sentimento di umiliazione e un bisogno di rivincita, si iscrive ben presto al PNF. Diventa preside dell’Istituto magistrale nel 1936 ed è proprio in questo ruolo che nel 1937 istituisce un premio intitolato alla memoria di Antonio Locatelli, appena dopo la sua morte in una spedizione di ricognizione nei territori occupati dalla Resistenza etiope. Con le leggi razziste del 1938, Ezio Orifice si sente tradito da quella patria per la quale aveva sempre pensato di avere fatto il suo dovere.
Nello stesso Istituto magistrale non può tornare a iscriversi Luciana Sacerdote costretta nel settembre 1938 a frequentare l’istituto privato Figlie del Sacro cuore di Gesù. I Sacerdote, che erano giunti da Milano nel 1930 ed avevano aperto due eleganti negozi di abbigliamento in pieno centro cittadino, professavano la religione cattolica da tempo, ma il razzismo biologico dell’Italia fascista non manca di schedarli ed estrometterli dalla vita pubblica. Anche il fratello più piccolo, Guido, nato a Bergamo nel 1931, è allontanato dalla scuola elementare: “non riuscivo a comprendere il motivo per cui non potessi più frequentare la scuola come tutti gli altri bambini, miei compagni di scuola e di giochi” (intervista a Guido Sacerdote, “L’Eco di Bergamo”, 27 gennaio 2018).