A Lovere il fascismo della RSI insieme ai nazisti occupanti ha ripreso possesso della vita cittadina e la sede del fascio ha riaperto il 28 novembre con imponente schieramento di forze.
Verso le 18 del 29 novembre, Brasi e Locardi con 27 uomini divisi in 4 squadre scendono a Lovere e “con precisione cronometrica” (Brasi) occupano e danneggiano la sede del fascio, disarmano i carabinieri e distruggono le centraline telefoniche, catturano il segretario del fascio di Costa Volpino, Valentino Fabbri, e entrano nei locali dell’Ilva prelevando dalla cassa l’eccedenza, 915.000 lire, per il mantenimento della formazione. Restano uccisi due fascisti, il notaio Rosa e Giuseppe Cortesi.
L’azione impressiona per l’articolazione e la coordinata efficienza con cui viene eseguita: gli uomini di Locardi e Brasi riescono a tenere in scacco gli avversari ed a isolare il paese fino al termine dell’operazione. L’ingresso dei partigiani all’Ilva è salutato dagli “applausi” degli operai usciti per strada che, “con il volto sorridente, ci manifestano il loro consenso e la loro solidarietà. Il popolo è con i partigiani!” (Cesare Bettini).
Locardi e i suoi uomini raggiungono la Val Supine che è ormai sera, preceduti da Brasi e dai suoi che li attendono inquieti. Si decide per un alleggerimento del gruppo: restano 17 uomini con Brasi, mentre Locardi, Bettini ed altri tornano alle loro case.
Il colpo all’Ilva è la prima azione eclatante della Resistenza in bergamasca, tanto dal punto di vista dimostrativo che militare. Non è esente da critiche da parte del fronte antifascista e provoca una reazione importante delle forze nazifasciste.
Il Primo comitato bergamasco sconfessa l’azione, che al centro di comando nazionale alimenta le tensioni tra Partito Comunista e Partito d’Azione. Ad essere criticato è proprio quell’urgenza d’azione che aveva accomunato Brasi e Locardi di fronte ad un atteggiamento che privilegiava l’attesa e il consolidamento del movimento resistenziale.