Le ripercussioni dell’azione -sulle quali è opportuno riflettere anche per i contrasti vivaci che essa suscita- sono vistose: la sconfessione del Primo comitato di liberazione non tiene assolutamente conto dell’indubbio colpo inferto al “prestigio” dei fascisti, che si erano appena organizzati in quella zona e, soprattutto, della risposta positiva espressa dalla popolazione.
Dalla pagine del quotidiano Bergamo Repubblicana, organo del locale Partito fascista repubblicano, si dà largo spazio agli avvenimenti che avevano portato all’uccisione dei camerati Paolo Rosa e Giuseppe Cortesi. Il suo direttore, Arturo Abati, partecipa personalmente ai funerali dei due fascisti uccisi la notte del 29 novembre 1943. Diversi articoli sono dedicati alla vicenda: “Come il banditismo partigiano ha realizzato la sua turpe impresa”, leggiamo il 2 dicembre e, nello stesso articolo, si sottolinea la “scuola dei gangster”; si sottolinea il “cinismo e la ferocia dei fuori legge”, l’ 8 dicembre. Il giorno della fucilazione invece il Corriere della Sera titola: “I terroristi di Lovere sono stati giustiziati”. Ciò che viene richiesta è una immediata vendetta o, come scrive Bergamo Repubblicana, “misure repressive radicali d’una severità adeguata alla gravità del fatto”, quasi a interpretare, si sottolinea, “un’ondata di disgusto e una prepotente sete di giustizia”. Come ricorda Giovanni Guizzetti, padre di Andrea, alcuni esponenti del fascio loverese, fra cui Carlo Fontana e Giovanni Capitanio, fecero richiesta scritta al prefetto di Bergamo, Emilio Grazioli, e ad Angelo Berizzi, commissario della Federazione provinciale dei fasci, chiedendo la “soppressione dei 13 patrioti per dare un esempio salutare agli oppositori del disgraziato Mussolini ed incutere il terrore nel popolo”.