La reazione nazifascista alla diserzione dei russi non si fece attendere ed investì i disertori a Monte di Nese, nelle cui case essi avevano trascorso la notte precedente all’attacco. Intorno alla mobilitazione delle forze repressive sorgono alcuni problemi; tra questi l’esatta identificazione delle forze mobilitate anche se è sicura la presenza della 612a Compagnia di ordine pubblico, comandata da Resmini (sede in via Gallicciolli a Bergamo).
Di seguito viene riportata la vibrante descrizione dello scontro, rilasciata dal parroco don Severino Vitali:
Ai primi albori del 13 aprile dal sagrato della chiesa si possono vedere quadrupedi vagare liberamente per i prati, gruppi di soldati accovacciati qua e là ed alle porte di alcune case soldati che fanno la sentinella. Dentro vi sono ufficiali che dormono. Sono le sei del mattino e appena un ragazzo tocca le campane per il suono dell’ Ave Maria, echeggia secca una fucilata, al di sotto della Chiesa, a Ca’ Gherardi, e cade il primo soldato russo. Quello fu il segnale: in poco tempo Monte di Nese diventa un vero e proprio campo di battaglia. […] Un miscuglio di russi e repubblicani che sbucano ovunque. I russi combattono con un vociare simile a selvaggi, era un fuoco infernale che si estendeva sempre di più. Ogni casa ove erano alloggiati i russi diventa teatro di battaglia e così fin verso le nove quando il fuoco accenna a diminuire, ma verso le dieci riprende con maggiore violenza e frequentissimi sono i colpi di mortaio che dal fondo valle del paese battono la Forcella, gli Spiazzi ed il Monte Cavallo. Finalmente quando Dio volle, verso le tredici il fuoco cessa quasi del tutto, tranne qualche raffica di mitraglia e colpi isolati di fucile.
43 azeri perirono per le ferite riportate durante la battaglia, ma a loro se ne aggiunsero altri 73 giustiziati dai nazifascisti subito dopo la fine dello scontro. Sconosciuto è invece il numero di prigionieri superstiti e la fine che ad essi fu riservata: in ogni caso è questo l’episodio più sanguinoso verificatosi nella bergamasca durante il periodo resistenziale, se si esclude il bombardamento di Dalmine.
A colpire è sicuramente il gran numero di prigionieri fucilati sul posto, 54 dei quali presso il cimitero di Monte di Nese, di cui lascia memoria lo stesso don Vitali:
Mentre gli uni sono intenti a frugare in ogni tasca di quei disgraziati, gli altri appostano al di sotto una mitragliatrice. Li fanno alzare, alcuni obbediscono, con altri devono usare violenza. Con le mani nei capelli, con grida e pianti strazianti vengono spostati una cinquantina di metri e ridotti in poco spazio. Uno si inginocchia e con le mani giunte prega. Viene fatto alzare brutalmente. Quattro sgherri col fucile spianato si portano ai lati della valletta presso il cimitero. Ad un segnale di un tenente che ha diretto da lontano tutto, parte una scarica di mitraglia e cadono gli uni sopra gli altri (benevolo lettore non augurarti di assistere ad una scena di tanto terrore). Non tutti sono morti, anzi la maggior parte sono feriti (che grida!) ed allora vediamo la belva umana accanirsi sopra quegli esseri con una volontà sì barbara e selvaggia che è impossibile descrivere. Vengono letteralmente maciullati con colpi di pallottole esplosive sparate a bruciapelo. E così per un’ora. Questo fu l’ultimo e più triste episodio di quel tredici fatale. Finalmente a gruppi isolati quei banditi se ne vanno».
I sopravvissuti, fra cui un gruppo consistente guidato da Boffelli e Mussa, giunsero, nelle ore successive alla strage di Monte di Nese, in Val Serina; alcuni di loro chiesero e ottennero di poter entrare a far parte della Resistenza locale, mentre tanti altri vennero aiutati dai partigiani a raggiungere la Svizzera.