Prelevati la mattina del 22 dicembre, i tredici sono caricati su due corriere insieme alle bare che dovranno contenere i loro corpi. Direzione: la fucilazione. A Poltragno cadono 7 uomini e a Lovere sei.
A comandare le operazioni della fucilazione è Aldo Resmini ed a eseguirle i suoi uomini della 612a Compagnia d’ordine pubblico di Bergamo: la violenza della fucilazione è messa in scena con cura studiata quale strumento di intimidazione della popolazione e conseguenza della modalità di affermazione delle proprie ragioni. Ne testimonia il manifesto affisso sui muri di Lovere dal titolo Giustizia.
Alle 3,00 del 22 dicembre, mattina “buia, plumbea, funesta” (secondo la memoria di Guido Macario fratello di uno dei fucilati), nella caserma dei Mille si trovarono prima le corriere e il camion che servivano alla bisogna. Alle 3,30 si provvide al caricamento di tutta la forza mobilitata, in termini di uomini e mezzi. Alle 4 le due corriere con la scorta si portarono al Comando della gendarmeria germanica, prelevarono i condannati e tornarono nel piazzale della Caserma dei Mille. Da lì la colonna partì alla volta di Lovere, per dividersi all’altezza del bivio della val Borlezza: un primo plotone si fermò a Poltragno (dove era morto il notaio Rosa) e giustiziò una parte del gruppo, mentre l’altro plotone giunse a Lovere, ove procedette alla seconda esecuzione. Leggiamo la cronaca che “Lovere garibaldina” dedica, appena dopo la Liberazione, alla fucilazione avvenuta a Lovere: “Davanti alla piazzetta del sacrificio si ferma una corriera piena di militi. Poi sopraggiunge un drappello di uomini armati ed in divisa: gli assassini. Poi una corriera con i nostri ragazzi, i Martiri. Da un altro veicolo vengono scaricate le casse che accoglieranno le spoglie dei nostri morti.[…] Uno spasimo, un nodo alla gola, un pazzo desiderio di piangere, di gridare è in cuore dei pochi presenti. Una scarica. Tutto è finito. […] Le casse vengono frettolosamente inchiodate e rimesse sull’autocarro. A Poltragno si aggiungeranno le altre sette”.
Le 13 salme sono portare al Cimitero di Bergamo, dove vengono gettate nel campi sterile ed è fatto divieto assoluto alla popolazione di esprimere qualsivoglia forma di suffragio nei loro confronti. L’odio contro il nemico, anche dopo che questo è morto, è una delle più tristi caratteristiche delle guerre civili: è in esse che le parti sono irrimediabilmente diverse e divise. All’indomani della fucilazione i compagni che restano levano per i Tredici l’invocazione: “A voi che non avete conosciuto barriere di razze né pregiudizi di classe, gloria eterna nel cielo della Patria e di una umanità libera da ogni schiavitù”. Così, il volantino clandestino dedicato ai “Martiri di Lovere” si confronta senza giri di parole con la questione della violenza che attraverserà lo scontro che porterà ai giorni della Liberazione: “Le forze sane della nazione traggono forza dal martirio degli eroi di Lovere e sono spronate ad accelerare la fine di un regime di terrore e di fame, di lutti e di miserie, di schiavitù e di vergogna”.