I soldati della Tagliamento -accompagnati sul luogo da una spia- cinsero d’assedio la malga, impedendo così ogni tentativo di fuga agli otto difensori asserragliati all’interno. La morsa attorno al rifugio partigiano si strinse rapidamente e due fascisti giunsero infine a scalarne il tetto e da lì, aprendo un buco fra le tegole, a buttare all’interno alcune bombe a mano. Il colpo si rivelò mortale per la resistenza dei garibaldini che, dopo due ore di duro combattimento e ormai a corto di munizioni, si dovettero consegnare al nemico. Di seguito il resoconto di quel tragico momento, tramandatoci dal comandante della 53a, Giovanni Brasi “Montagna”:
«Col binocolo osservo attentamente e scorgo qualcuno che sta sortendo dalla porta della malga. Mi sembra Giorgio, ma non riesco a vedere bene a causa di una certa foschia; ad ogni modo è un uomo con le mani alzate». Osservo l’orologio: sono esattamente le 15.15. […] Uno alla volta le mani alzate i compagni sortono dalla porta. Sono le 15.19. Udiamo dei passi lontani, scrutiamo, col binocolo: sono i nostri che arrivano trafelati, di rinforzo. È troppo tardi! Lo capiscono anche i dodici nuovi arrivati che con noi, muti ed impietriti, osservano a capo chino quanto laggiù […] sta succedendo. Osserviamo a lungo il loro armeggiare. Stanno interrogandoli, poi li caricheranno pesantemente di tutto il bottino fatto e, legatili dopo averli messi a piedi nudi, li incolonnano verso la valle» (G. Brasi, “Lovere Garibaldina”, n. 8, 16 giugno 1945).
Di questo triste corteo non facevano parte Mario Zeduri “Tormenta” e Ilarion Efanov “Starich”, poiché essi, impossibilitati a camminare per le ferite riportate durante lo scontro, furono giustiziati sul posto.