L’Italia entra in guerra e si dota di un proprio sistema concentrazionario.
Esistono accordi internazionali per la tutela dei prigionieri di guerra (Convenzione di Ginevra), ma nulla ancora è stato previsto per quanto riguarda l’internamento dei civili: allo scoppio del conflitto la Croce rossa si preoccupa di far adottare anche solo temporaneamente il Progetto di Tokyo per la tutela dei cittadini di nazionalità nemica. Rimangono privi di ogni tutela e quindi al di fuori del controllo delle organizzazioni internazionali i civili internati per motivi politici e le categorie assimilabili.
Anche in Italia va così predisponendosi un internamento regolamentato (militare e per civili di paesi nemici) e uno parallelo di pubblica sicurezza.
Con l’entrata in guerra scattano le misure legislative connesse allo stato di guerra: i provvedimenti previsti dal testo unico della Legge di pubblica di sicurezza, incrociandosi con quelli definiti dalle Leggi per la difesa della razza, costituiscono il quadro legislativo dell’internamento.
L’internamento dei cittadini di nazionalità nemica è immediato; quello degli ebrei stranieri è previsto dal 15 giugno. L’internamento prevede il soggiorno coatto in piccoli centri o in campi di concentramento appositamente predisposti.
Il campo di Ferramonti di Tarsia è quello più grande: costruito in una zona malsana della Calabria, entra in funzione a metà giugno e soffre presto di sovraffollamento. Molti sono gli ebrei che chiedono allora di essere trasferiti in altre località come internati liberi.
Nella bergamasca, dall’agosto 1941 entra in funzione il campo per prigionieri di guerra n. 62 di Grumello al Piano e molti paesi delle nostre valli diventano luoghi di internamento per ebrei stranieri, molti dei quali provengono dal campo di Ferramonti. Si tratta di piccoli comuni che accolgono a residenza coatta famiglie di “ebrei” con l’obbligo di presentarsi quotidianamente alla locale stazione dei carabinieri.
La ricostruzione di una mappa precisa e sicura dell’internamento nella provincia di Bergamo è resa difficile dall’eliminazione dei fascicoli dell’archivio della Prefettura che avrebbero consentito di ricostruire con precisione tanto il numero degli internati che i paesi coinvolti.
I risultati qui proposti sono frutto dell’incrocio dei dati raccolti in diversi archivi: è la prima volta che questo viene fatto e possono essersi compiuti alcuni errori che future e approfondite ricerche potranno mettere in evidenza e correggere. Ringraziamo Silvio Cavati e Giulia Sonzogni per l’aiuto in questo lavoro.