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Sant’Agata e la deportazione

Immagine votiva con un ultimo saluto per Betty Ambiveri firmato da dodici donne deportate perché “ebree”, per gentile concessione del Museo Mons. Guglielmo Carozzi (Seriate)

Sappiamo che in Italia i nazisti, a differenza che in altri paesi occupati, mettono in atto subito la loro politica antiebraica: richiesto alla Prefettura l’elenco degli ebrei residenti in bergamasca, nel mese di ottobre procedono all’arresto dei primi tre.

I dati ad oggi a disposizione non permettono di ricostruire in maniera univoca il percorso degli “ebrei” catturati in bergamasca da italiani e in attesa di deportazione. Allo stato attuale delle ricerche sappiamo che Bergamo non si dota di un campo provinciale dove raccoglierli, come era stato predisposto dall’ordinanza a firma Buffarini Guidi arrivata a Bergamo il 1 dicembre. Non è tuttavia solo Bergamo a non applicare alla lettera quell’ordinanza e ad oggi sembra possibile affermare che a Bergamo è Sant’Agata a funzionare come luogo di detenzione provvisoria, svolgendo il ruolo di campo provinciale. Da una parte va osservato che, forse proprio per la condizione di sovrappopolamento del carcere di Sant’Agata, in alcuni casi i catturati a dicembre sono rimandati a casa e poi ripresi a febbraio, con buona probabilità in attesa che si organizzasse il campo di transito di Fossoli; dall’altra, è da registrare che la maggioranza degli arrestati (presumibilmente 42) risulta essere passata da quel carcere.

Non sembra che a Sant’Agata sia mai stata approntata un’ala specificatamente destinata agli ebrei, ma è piuttosto sicuro che essi venissero divisi tra uomini e donne. È vero infatti che da più parti è testimoniata la convivenza tra prigioniere, ma è anche vero che non abbiamo per il momento testimonianze di prigionieri politici che ricordano la presenza di detenuti “ebrei”. Non sappiamo se questa differenza possa essere traccia di una diversa sensibilità tra testimoni o di una diversa topologia del reparto maschile e delle sue celle. Pare sicuro che le madri restassero con i figli piccoli, ma non sappiamo fino a che età si fosse considerati “figli piccoli”.

Il carcere non funziona per nessuno degli “ebrei” rinchiusi come campo di transito: tutti furono sempre trasferiti o a San Vittore o a Fossoli o a Bolzano prima di essere deportati nell’universo concentrazionario. La durata della loro permanenza a Sant’Agata è variabile ed è molto difficile da stabilire perché non ci sono i registri né d’entrata né d’uscita, ma anche perché non sono completi i dati d’ingresso a San Vittore o nei campi di Fossoli e Bolzano. È vero che la maggioranza dei catturati a Bergamo viene deportata con il convoglio del 5 aprile 1944 da Fossoli e sappiamo anche che per questo convoglio ci furono da Bergamo due trasferimenti collettivi verso quel campo, ma non ne conosciamo i dettagli.

Del resto, le modalità di trasferimento da Sant’Agata ai luoghi di partenza dei treni restano, in generale, vaghe. Fatta eccezione per i primi tre “ebrei” arrestati, pare assodato che fosse la Questura a predisporre il trasferimento. Esistono i documenti per due traduzioni straordinarie al campo di Fossoli e questi fanno ritenere che accanto a trasporti collettivi se ne debbano ipotizzare soprattutto di individuali. Per questo compito pare che, di fronte alla mancanza di personale da più parti evidenziata in quel periodo, il questore si rivolgesse comunemente alla GNR. 

Non sopravvissero gli uomini, non sopravvissero né i bambini né le bambine, solo tre donne tornarono: Laura Levi e Anna Maria Gottlieb da Auschwitz, Leopolda Kosicek da Bergen Belsen. Le tre donne non furono testimoni loquaci e mai si soffermarono esplicitamente sul tempo trascorso a Sant’Agata. C’è però una traccia del loro passaggio: è il retro di un’immagine votiva in cui si stringono 12 firme di donne deportate perché di “razza ebraica”. Questa immagine ci appare oggi come uno di quei memoriali che si levano dal mezzo delle ceneri, capace di testimoniare l’inevitabile intrico dell’esistenza contro l’ideologia della razza.

L’immagine votiva è conservata presso il Museo Mons. Guglielmo Carozzi tra le carte di Betty Ambiveri, condannata dal Tribunale militare tedesco e trasferita in Germania nel carcere di Aichach in Baviera: non sappiamo come sia stata portata fuori dal carcere di Sant’Agata, ma è certo che tra il Natale 1943 e il febbraio 1944, intorno a quel foglietto 12 donne si sono strette e hanno voluto affidare a Betty un ultimo pensiero prima di partire per Fossoli.

Immagine votiva con un ultimo saluto per Betty Ambiveri firmato da dodici donne deportate perché “ebree”, per gentile concessione del Museo Mons. Guglielmo Carozzi (Seriate)
Pratiche relative alla riassegnazione dei beni della famiglia Levi di Ambivere, per gentile concessione dell’Archivio di Stato
Pratiche relative alla riassegnazione dei beni della famiglia Levi di Ambivere, per gentile concessione dell’Archivio di Stato
Pratica relativa al sequestro dei beni di Regina Hazan, per gentile concessione dell’Archivio di Stato
Pratica relativa al sequestro dei beni di Regina Hazan, per gentile concessione dell’Archivio di Stato