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Dissimulare: l’ironia e l’intelligenza di una donna

Maria Taino

Maria Taino sposa giovanissima Piero Quarti, impresario edile di Albino e futuro consulente del Cln di Bergamo. E’ donna di grande sensibilità e intelligenza, con un carattere estroverso. Ha due figli: Bruno (1918), uno dei “grandi” della Resistenza bergamasca, primo questore di Bergamo liberata, e Cornelia “Mimma” (1923), attiva nei gruppi femminili antifascisti e futura agente della Special Forces.

Donna di “eccezionale bontà, rettitudine, altruismo” – così la descrive Ada Rossi – Maria trasforma la sua bella villa in via Santa Lucia a Bergamo in una sorta di “santuario”, dove in molti trovano rifugio: “Un covo di banditi – ricorda la figlia – perché Maria aveva avuto l’intelligenza di capire che proprio il fatto che fosse stata requisita dai tedeschi, rendeva la casa non sospetta”. I partigiani che vi trovavano accoglienza, molto spesso uomini che scendevano dalla montagna, venivano presentati ai tedeschi come suoi nipoti: “Ecco mio nipote Mario!”, “Ecco mio nipote Luigi!”; “Quanti nipoti, signora, bella, grande famiglia!” … e non è mai successo niente. O meglio, non è mai successo niente con i tedeschi. Maria è invece arrestata due volte dai fascisti, come sorta di ostaggio per costringere i figli a consegnarsi, ed una di queste volte, in modo irridente, vuol portare a tutti i costi con sé il suo cane, un boxer, “in modo che la famiglia Quarti – è ancora Mimma a raccontare – è stata in prigione al completo, compreso il cane Jimmy”.

Una sorta di leggenda, già nel corso della lotta, per molti conosciuta tout court come la “zia Maria”, al punto che questo appellativo diventa la parola d’ordine per alcuni lanci alleati: “La zia Maria…”, “La zia Maria è tanto bella”.

L’arresto dei figli, soprattutto quello di Mimma, che tradita dalla spia  Bossi corre dei rischi altissimi, non fermano il suo impegno, che continua fino ai giorni appena prima della Liberazione, quando funge da intermediaria fra i tedeschi di Fritz Langer e il figlio Bruno, in carcere a Como, richiesto di un intervento decisivo in vista della resa definitiva degli occupanti.

Nel dopoguerra Maria è attiva nel chiedere giustizia nei confronti di quanti avevano sostenuto e collaborato con il fascismo. Spesso presente in Corte d’Assise, memorabile fu il suo intervento nel corso del processo alla spia Clelia Bossi, autrice di delazioni che avevano portato alla cattura di molti combattenti, difesa nell’occasione dall’antifascista Alfonso Vajana: “Ha cominciato l’arringa … naturalmente difendendola, e mia madre che era presente si è alzata e ha detto: ‘Avvocato, la smetta, mi fa vergogna! Lei voleva sposarmi un tempo, ma sono felice che non sia il padre dei miei figli, perché io ho schifo di lei!’ Il povero Vajana … ha continuato la sua arringa perché il presidente l’ha fatta tacere, ma è certo una bella frase…” (dalla testimonianza di Mimma Quarti).

Negli ultimi anni della sua vita, Maria si ritira a Scanzorosciate, assistita da Agnese Vitali, la sua amata domestica e, spesso, da Giamba Cortinovis, fedele amico dei figli. E’ sepolta nel cimitero di quel paese, dove dal settembre 1984 le riposa vicina la figlia Mimma.

Maria Taino
Maria Taino e il marito nel dopoguerra
Villa Quarti in via Santa Lucia 16