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Le donne antifasciste: condannata per disfattismo

Maria Maddalena Rossi

“È triste ma doveroso rammentarlo agli altri e a noi stessi: il primo esperimento di soffocazione del movimento operaio e di sabotaggio della democrazia è nato in Italia. È il fascismo […]. Ma non tutti gli italiani sono stati fascisti. Accanto al fascismo, altro filo ininterrotto è nato in Italia prima che altrove, è l’antifascismo”, così scriveva Primo Levi.

A tenere viva, anche negli anni in cui il fascismo sembrava non avere nemici, l’idea che un mondo diverso fosse possibile è infatti la rete degli antifascisti: schedati, perseguitati, rinchiusi nelle carceri o mandati al confino. Riletta in una prospettiva femminile, questa rete non solo si delinea  nella sua realtà politica, ma anche e soprattutto fa emergere la quotidianità della politica, inscritta nei gesti di donne che non si sono adeguate alla normalità imposta del fascismo. In loro la volontà di compiere scelte, di innamorarsi, di restare fedeli, di sapere e di esserci, di raccontare e di tramandare l’eco di un’Italia che era nata diversa è l’affermazione di un’esperienza vera, a contatto con la vita e la storia, insofferente della retorica del fascismo o, forse, della retorica più in generale.

Sotto questa luce possiamo ripensare all’arresto di Maria Maddalena Rossi, che fu tradita dalla sue parole dirette e senza veli sulla condizione del nostro paese e della guerra fascista. È il 1942, Maria Maddalena Rossi è appena giunta a Bergamo con il marito Antonio Semproni: la loro casa a Milano è stata bombardata e hanno preso alloggio in un albergo in città. Nella sala dell’albergo un fascista, mutilato di guerra, e sua moglie ascoltano le considerazioni di Maria Maddalena Rossi, che non rinuncia a esprimere il proprio pensiero: ne nasce una discussione a cui si unisce anche una giovane donna parente di un caduto e  finisce che l’uomo denuncia alle autorità Maria Maddalena. Il 1 dicembre 1942 ne dà notizia “La Voce di Bergamo”: Esemplare provvedimento. Signora arrestata per disfattismo, ripresa poi da “Il popolo d’Italia”, nell’edizione milanese del 2 dicembre: Dottoressa disfattista arrestata a Bergamo.  Lo stesso giorno anche “La Voce di Bergamo” ritorna sull’arresto e osserva che, se fosse stato un uomo, “l’antipasto sarebbe stato subito servito dai fascisti bergamaschi”.

Maria Maddalena Rossi era nata a Codevilla (Pv) nel 1906  e l’incontro con Maria Giudice ne aveva segnato profondamente la crescita. Di famiglia benestante e umanista, si era iscritta alla facoltà di Chimica e Farmacia all’Università di Pavia e dopo la laurea era diventata farmacista prima a Voghera e poi a Sanremo. Nel 1936 si trasferiva a Milano ed entrava a lavorare nell’industria farmaceutica Zambeletti. È qui che incontra Antonio Semproni, con cui condivide l’avversione al regime, idee antifasciste e una forte passione per l’arte. Nel 1937, insieme, si iscrivono al Partito comunista e si impegnano nel Soccorso Rosso.

Quando è arrestata a Bergamo, viene rinchiusa nel carcere di Sant’Agata, in città alta. Processata, è condannata per disfattismo: perde il lavoro ed è inviata al confino a Sant’Arcangelo in Vado.  Nel marzo 1943 gode di un condono e ritrova la libertà: decide di trasferirsi in Svizzera, dove si impegna con il centro  estero del Pci. Collabora con alcuni giornali clandestini e organizza alcuni passaggi clandestini nell’Ossola e raccolte di fondi per la lotta. Nel dicembre 1944 rientra clandestina in Italia e lavora a Milano nella direzione clandestina dell’Unità, a stretto contatto con  Arturo Colombi.

Il 2 giugno 1946 è eletta all’Assemblea Costituente, una delle sole 21 donne sui 552 eletti. Il suo impegno per le donne è accompagnato da lungimiranza politica e profonda cultura: interviene con importanti discorsi contro l’indissolubilità del matrimonio, per l’uguaglianza politica e sociale dei coniugi e per l’ingresso delle donne in magistratura. 

E’ eletta per tre legislature in Parlamento nelle file del Pci, dal 1947 al 1956, è presidente dell’Unione Donne Italiane dal 1947 al 1956 e si impegna a favore di una campagna mondiale per la pace e contro la corsa agli armamenti. Dal 1956 al 1964 è vicepresidente della Federazione Democratica Internazionale Femminile. Maria Maddalena Rossi è una donna cosmopolita, conosce il francese e l’inglese, ha una cultura che non conosce le frontiere nazionali, viaggia in tutto il mondo e non esita a citare Shakespeare nei suoi discorsi in Parlamento. L’antifascismo e la memoria della Resistenza innerva il suo agire, ma non ama la retorica che rende ciechi sul passato e non esita  a lavorare perché venga riconosciuto “uno dei drammi più angosciosi [della liberazione del nostro paese], quello delle donne che subirono le violenze delle truppe marocchine della V armata, nel periodo tra l’aprile e il giugno del 1944, dopo la rottura del fronte del Garigliano, quando queste irruppero nella zona del cassinate.” (Ordine del giorno presentato nella seduta notturna della Camera dei Deputati del 7 aprile 1952).

Allo scadere della terza legislatura si ritira dalla vita parlamentare e si trasferisce a Portovenere (Sp). Qui prosegue il suo impegno politico diventando prima assessora all’edilizia e poi sindaco, dando prova di consapevole attenzione al delicato equilibrio tra rispetto della natura, turismo e bisogni dello sviluppo economico.

Muore a Milano il 19 settembre 1995.

Maria Maddalena Rossi
Collage di articoli da “La Voce di Bergamo” che riferiscono dell’arresto di Maria Maddalena Rossi, 1 e 2 dicembre 1942
Le 21 elette all’Assemblea costituente del 2 giugno 1946, “La Domenica del Corriere”, 1946
Maria Maddalena Rossi, presidente dell’Udi, al centro del tavolo della Presidenza del Convegno dell’Udi del 1948, tra Camilla Ravera e Rosetta Longo durante l’intervento di una militante
Intervento di Maria Maddalena Rossi in Parlamento per l’8 marzo 1949