Il 4 novembre 1943 Mary Tadini Leidi è tra le donne che depongono i fiori davanti alla Torre dei Caduti in un gesto simbolico di sfida all’occupante nazista e al suo collaboratore fascista. Vive con estrema tensione e consapevolezza quei primi mesi d’occupazione in cui “la vita a Bergamo diventa difficile. Arresto Betty Ambiveri, don Vismara, don Vavassori, Vicentini…”, come scrive nel suo diario. Il suo pensiero è teso al caro amico Ettore Tulli, alla “vita randagia” da partigiano che ha scelto e a sua moglie Carlotta che, “spaventata”, ha deciso di lasciare Bergamo. Non resta ferma e dopo gli arresti di amici e conoscenti non esita a mettere in gioco le sue conoscenze, per esempio dopo l’arresto di don Vavassori o dopo quello del giovane Vicentini.
Impegnata insieme al marito nell’assistenza a Tulli – che per tutta la sua prigionia a Sant’Agata veste camicie e maglioni di Piero Leidi – Mary accetta la proposta di cedere una camera della sua casa al tedesco Fritz Gaedicke di cui si fa mediatore il signor Ernesto Berner, viceconsole svizzero. Leggiamo nel suo diario: “È così che il 18 marzo il Presidente del Tribunale di guerra tedesco di Bergamo entra nella mia casa. La prima sera la passiamo al camino, sera ancora fredda; parla in tedesco con Piero e dice a noi d’essere il Presidente del tribunale. Sembra un buon uomo, cortese, simpatico, rigido però e tedesco! Ma non fa una così brutta impressione. Ma i primi giorni sono stati per me d’incubo e quasi paura. Colui che giudicava i nostri italiani, i nostri fratelli, i più generosi e i più coraggiosi, che avevano osato anche a costo di finire in carcere, vive nella mia casa. Dopo due giorni processo Maj”.
È il francese la lingua che Mary usa per comunicare con Fritz Gaedicke, ed è in francese che Mary scrive un bigliettino che recapita al giudice insieme alla colazione proprio la mattina del processo Maj: “Monsieur le Juge, une prière: soyez un peu clément ce matin avec le jeune Maj. Pardonnez-moi.”
È questo il primo di quei piccoli biglietti blu che si trovano nel fondo Tulli Leidi e che sono la traccia più sorprendente dell’azione svolta da Mary per una mediazione a difesa degli uomini e delle donne della Resistenza. Tale azione non solo diventa evidente nei processi Tulli e Vismara almeno, ma cementa anche un rapporto con il presidente del tribunale tedesco che passa dall’intimità domestica e durerà anche dopo la guerra.
Mary insieme al marito non nasconde il proprio antifascismo: anzi, è tra coloro che attendono fuori dal tribunale la mattina in cui sono processati Tulli e Vismara e con la loro presenza fisica dimostrano loro sostegno e partecipazione, accompagnandoli anche nel tragitto da Colle Aperto a Sant’Agata. Nello stesso tempo i Leidi sono invitati ai ricevimenti organizzati dai tedeschi e a loro volta ospitano a pranzo o a cena militari tedeschi.
Alfonso Vajana ricordando la permanenza di Gaedicke in casa Leidi Tadini giustifica l’intesa che si viene a creare con la constatazione che il giudice tedesco non era un convinto hitleriano. Pur considerando che nel periodo della presidenza di Gaedicke al Tribunale Militare Germanico di Bergamo non ci sono state fucilazioni di italiani in conseguenza di sentenze emesse da quel tribunale e pur rimanendo ancora ignota nei dettagli la sua biografia, il suo ruolo quale presidente di un tribunale di guerra in un territorio occupato rende tuttavia difficile annoverarlo tra gli oppositori. Crediamo più doveroso invece porre in luce un’intimità di rapporti che certo sarebbe altrettanto riduttivo bollare di ambiguità e che, se considerata senza pregiudizi, obbliga piuttosto a fare i conti con la complessità dell’esperienza vissuta e indica equilibri di rapporti che influiscono sulla vita delle persone e sulla costruzione della società del dopoguerra.