L’unica vera e propria reazione di massa all’occupazione tedesca in bergamasca come nel resto dell’Italia è il soccorso portato agli ex prigionieri alleati dei campi fascisti e ai militari sbandati. In quest’opera di soccorso le donne esprimono una volontà di esserci e un protagonismo impensabile nel quadro della dittatura e carico di idee per il futuro.
Alle porte di Bergamo è in funzione il campo per prigionieri di guerra n. 62, più noto come campo della Grumellina. Qui il 25 luglio entra in funzione una “sezione staccata” della Croce Rossa (di cui presidente è don Bepo Vavassori e direttore don Agostino Vismara) e, dopo l’ingresso dei tedeschi, viene istituito un “comitato della Croce Rossa” sotto le direttive di Betty Ambiveri, che ottiene di aprire nelle vicinanze del campo un piccolo presidio: due stanze in cui la raccolta e lo smistamento delle offerte per i prigionieri è affidato alle suore delle Poverelle, in particolare a suor Feliciana Dorentani. Di fronte alla violenza usata dai tedeschi sui prigionieri da deportare in Germania, alla politica di repressione nei loro confronti affermata dai primi bandi emessi dall’occupante, il comitato sconfina rapidamente dal campo della caritatevole assistenza e diventa un vero e proprio covo di “banditen”, che non solo organizzano la fuga dei prigionieri verso la Svizzera, ma appoggiano il formarsi delle bande in montagna. Il mettersi fuori da una legge considerata ingiusta è tutt’uno col mettere il proprio corpo nella storia, dopo avere preso il corpo braccato e offeso dell’altro a misura della violenza dell’ideologia diventata legge.
Intorno al comitato si va organizzando una fitta rete che coinvolge molte donne e molto diverse tra loro. Interessante è notare come in questa rete l’impegno delle donne è radicato in quelle sfere per tradizione considerate più femminili, come la casa e la cura, che vengono risignificate attraverso pratiche capaci di ripensare al politico: di fronte alla violenza ideologica che uccide, trovare rifugi, aprire le proprie case, procurare cibo e vestiti per uomini braccati significa concretamente avviare un ripensamento profondo dell’abitare il proprio territorio e del vivere i rapporti dentro la propria collettività. In queste azioni pratiche risulta evidente che salvare l’umano, prendersi cura del corpo dell’altro è atto che ridà un significato preciso alla sfera politica quando tutto sembra crollare, obbligando a ripensare i rapporti tra pubblico e privato.
Tale ripensamento non diventerà forse mai piena consapevolezza collettiva, ma è certo che è radice in generale di comportamenti con cui nel dopoguerra si dovranno fare i conti.