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I cugini Agoni

A Schilpario la località Grumello è quel piccolo gruppo di antiche case al di là del fiume Dezzo, legate al paese dal Ponte del Consiglio. Qui vive la famiglia Agoni e qui crescono tre cugini le cui vite saranno sconvolte dalla guerra. Il 25.09.1923 nasce Mario, figlio di Giuseppe e Amalia Agoni, il 23.04.1924 nasce Antonio, figlio di Alberto e Maddalena Maj, e il 4.07.1925 nasce Simone, il fratello più piccolo di Mario. Non è difficile immaginare i tre bambini, scolari e poi giovani uomini, cresciuti in un paese dove, dalla metà degli anni Trenta, ai lavori della montagna si affianca quello nelle miniere. Il regime fascista infatti non solo aveva dato impulso allo sfruttamento delle miniere di ferro, nel quadro della sua politica autarchica, ma ne aveva anche favorito il passaggio di proprietà ai grandi gruppi siderurgici. “L’arrivo della Falck e delle altre società – la Breda, l’Ilva, la Ferromin – è come l’inizio di un nuovo mondo” (A. Bendotti). La famiglia Agoni è una famiglia di boscaioli e minatori. Mario è chiamato per primo a fare il militare e dichiara di essere manovale, Antonio assolve gli obblighi di leva il 4 settembre 1942 e dichiara di essere minatore: tutti e due sono arruolati nel V Alpini “Edolo”. L’8 settembre 1943, Simone non ha ancora ricevuto la chiamata per il militare; lavora in miniera e i suoi compagni di allora ricordano che “lui piuttosto di andare soldato nella Repubblica [Sociale] è venuto in Germania anche lui…”. Nell’aprile 1944, i tedeschi attuano una serie di rastrellamenti, anche nella zona di Schilpario, miranti a raccogliere manodopera specializzata per realizzare vicino ai Jena, presso Kahla, nelle colline quarzifere ricche di miniere di caolino, il ciclopico progetto di proteggere sottoterra i macchinari delle industrie tedesche impegnate nella produzione dei Messerschmitt Me 262, i più avanzati aerei a reazione, ritenuti dai nazisti la più importante delle armi da mettere in campo alla fine della guerra: il primo rastrellamento è dell’1.04.1944 ed è del 14 aprile la partenza di Simone e dei suoi compaesani per Kahla. Al loro arrivo nel campo, urgono i lavori per l’allargamento delle gallerie delle miniere sotterranee per fare spazio ai macchinari: le condizioni sono terribili, perché si scava nel materiale instabile e spesso le frane coinvolgono i lavoratori. Non conosciamo le ragioni e la radice del netto rifiuto di Simone per la guerra della Repubblica sociale italiana, possiamo solo far risuonare nella sua scelta l’eco del destino di suo fratello e di suo cugino. Richiamati alle armi, Mario il 7.01.1943 e Antonio l’11.05.1943, dopo l’8 settembre 1943 sono lasciati come tutti i soldati italiani senza ordini e il 9 sono fatti prigionieri dai tedeschi, l’uno a Trento, l’altro a Merano. Sono portati nel Reich e, alla richiesta di ritornare a combattere per la guerra nazifascista, dicono: “no”, come quasi il 90% dei circa 650.000 soldati italiani fatti prigionieri. Diventano Internati militari italiani ed entrambi dal campo II E, Stalag di Schwerin, nell’aprile 1944 scrivono una cartolina a casa, l’ultima per Antonio. Schiacciati dal lavoro che uccide i tre giovani Agoni pensano forse a casa e la casa diventa per Simone il pensiero angoscioso di un ritorno impossibile, come diranno i suoi compagni: “Nelle gallerie c’era caldo… poco da mangiare… lui si acquattava lì… sarà stato anche il morale diverso tra l’uno e l’altro… lui non si dava un po’ di … non si diceva che doveva cercare di vivere… si è lasciato andare… fino che l’hanno portato nella stanza dell’infermeria. Andavamo a trovarlo, continuava a dirci che non sarebbe più tornato a casa… Non tentava di reagire, si era consumato, ecco”. Quando Simone si spegne per tubercolosi il 25.02.1945 nel campo principale di Kahla, il Rosengarten, a suo cugino Antonio non restano nemmeno due mesi di vita: muore a Paderborn il 12.04. 1945 nei giorni dall’avanzata alleata che porterà a liberare la Ruhr. Solo Mario fa ritorno a Schilpario, costruisce la sua vita al Grumello, lì diventa vecchio e muore il 2.08.1988.