scheda completa

Ceiger Simon Max e Olga Welt

Simon Max Ceiger e Olga Welt 


San Giovanni Bianco


Scheda di famiglia e percorso di internamento


Ceiger Simon Max (IG), nato a Snorviez[1] il 25 novembre 1896 e la moglie Welt Olga (IG), nata a Czernowitz (Bucovina, impero Austro-Ungarico, poi Romania ora Ucraina) il 21 maggio 1901; giunsero in Italia a Trieste, poi a Bengasi; furono internati a Ferramonti il 16 settembre 1940. Giunsero a Bergamo il 26 settembre 1941 e furono confinati a San Giovanni Bianco, dove erano presenti all’ottobre 1943.

(Capitoli di riferimento: Gli “internati liberi” in provincia di Bergamo / Arrestati e deportati dal carcere di Bergamo / Fuggiaschi e clandestini)


Simon Max, ebreo tedesco, era emigrato a Vienna dove era stato direttore di un elegantissimo caffè: il Kursalon nello Stadtpark, il parco cittadino, sulla Ringstrasse. Il locale veniva frequentato dall’alta società, qualche nobile che ancora poteva permettersi una consumazione carissima, attori dei grandi teatri e quelli dell’allora nascente industria cinematografica. In questo ambiente, elegante, raffinato e culturalmente molto aperto doveva sentirsi a suo agio la moglie Olga. All’arrivo dei tedeschi erano fuggiti in Italia, a Trieste; successivamente avevano tentato di raggiungere la Palestina assieme a un numeroso gruppo di altri ebrei. Raggiunta Bengasi la prosecuzione del viaggio era stata però impedita dallo scoppio delle ostilità. I Ceiger, riportati in Italia vennero internati a Ferramonti. Un’altra internata ricorda Olga “Era una donna giunonica, alta, molto formosa, con moltissimi e bellissimi capelli corvini. Si comportava come una regina in mezzo ai sudditi …” ed aggiunge una nota particolarmente significativa “Il suo abbigliamento era tutt’altro che adeguato per un K.Z.: dove altro che a Ferramonti ci si poteva permettere di girare in abiti di gran soirè scollatissimi e lunghi fino a terra, con gonne molto ampie e svasate, come si usava allora, di crèpe georgette o di chiffon, nero o in colori di moda, sulla sabbia e i sassi con scarpine di raso o argento o oro col tacco alto… Quando i gruppi famigliari venivano mandati al confino, come internati liberi, i Zeiger insieme ad altre persone, venivano mandati nella Val Brembana.” [2] Alla fine del 1941 vennero destinati a San Giovanni Bianco. Anche alcune persone di San Giovanni Bianco ricordavano la signora Olga come donna di grande fascino, ma non solo per quello: Giuseppe Giupponi riporta in un suo articolo[3] “È qui a San Giovanni (me lo ricordo bene sto fatto del loro battesimo, già adulti, che fu una festa grande per l’intero paese) i due diventarono cristiani sotto la guida del buon Don Brigenti, prete intelligente e paziente.” 


Scheda di deportazione


Olga Welt, nata a Czernowitz (Austria) il 21 maggio 1921. Deceduta in luogo e data ignoti[4].

Arrestata presumibilmente a Bergamo nel 1944.      

Deportata ad Auschwitz in data ignota. 


I coniugi Ceiger: Simon Max e la moglie Olga Welt erano confinati a San Giovanni Bianco, dopo l’ordine di arresto si nascosero per alcuni giorni, ricorda Giuseppe Giupponi “Poi con l’8 settembre del ’43 per loro riiniziò il calvario della fuga[5]. Simon preparò il passaggio in clandestinità e la fuga in Svizzera, Olga però meno abituata ad affrontare fatiche e disagi, non se la sentì di partire: forse come molti credeva che sarebbero stati presi solo gli uomini. Simon Max riuscì a varcare il confine e a farsi internare in Svizzera[6], Olga fu catturata.


Solo recentemente nell’elenco delle persone deportate dall’Italia è stato incluso il nome di Olga Welt, racconta Alice Redlich[7]:


Qualche mese dopo la liberazione un nostro conoscente ci raccontava che a San Giovanni c’era un albergo di un signore ebreo, il quale si era salvato dopo l’8 settembre, scappando, ed ora era tornato. Mio marito era curioso, e così siamo andati un giorno nel ristorante ed abbiamo trovato il Zeiger. Ci ha ricevuto gentilmente, ma diceva di sentirsi solo, e di voler trasferirsi a Milano, ed eventualmente tornare nella sua amata Vienna. Alla domanda riguardo sua moglie, rispose solo brevemente che era morta, e non volevamo domandare altro. Mesi dopo, però, una persona che viveva là, ci ha raccontato una storia interessante. Quando il Zeiger scappò dopo l’8 settembre, sua moglie non lo seguiva, ma se ne andava a Bergamo. In quel tempo, in Città Alta, oltre ai nobili che avevano i loro antichi palazzi, ci vivevano i mendicanti della città, tanti fascisti e, certamente approfittando dei palazzi parzialmente o totalmente sequestrati, molti ufficiali tedeschi. E con questi, così ci raccontava quella persona, la signora era riuscita a fare amicizia. Era come ho detto un tipo di valchiria niente di semitico.


Così faceva la bella vita: feste, bevute e amori, ma dopo qualche tempo i tedeschi venivano informati che la bella signora faceva il doppio gioco: informava i partigiani di quello che aveva potuto sapere. Non perdevano neanche il tempo di mandarla in un lager, ma venne eliminata subito. Così il racconto del nostro conoscente.


Le testimonianze sulla sorte di Olga concordano sui suoi rapporti coi tedeschi presso cui viene utilizzata come interprete, e di informatrice dei partigiani, non concordano sulla sua fine: uccisa dopo la deportazione ad Auschwitz o direttamente a Bergamo: il database del CDEC “I Nomi della Shoah Italiana” ne indica la deportazione ad Auschwitz, mentre presso “The Central Database of Shoah Victims’ Names” dello Yad Vashem si trovano due schede intestate ad Olga, in una compare con il cognome Geiger, nata Welt, basata sulla testimonianza della nipote che indica: “luogo di morte: Italia. Circostanze della morte: sconosciute, probabilmente arrestata dalle SS”, nell’altra come Zeiger, nata Welt, invece risulta deportata e uccisa ad Auschwitz[8].  


Finita la guerra Simon tornò a San Giovanni Bianco dove riaprì un albergo il “Valle Brembana”, Giuseppe Giupponi, che lo aveva conosciuto, ne ha scritto un ricordo[9]:


Il Massimiliano, sopravvissuto alla guerra, ritornò a San Giovanni e si tirò su le maniche facendo l’albergatore. E con lui ritornò a “lavorare” anche il “Valle Brembana”. Era un uomo burbero, un po’ chiacchierone, ma tanto buono. E anche intelligente. Era in possesso di una solida cultura ed era ricco di tanto buon senso. Portava a spasso una faccia rude, arricchita da mustacchi e sopracciglia ispide e nere, e civettava sempre in doppio petto con cravatta. (Brutte però le scarpe!) Io con gli amici passavo da lui tanti pezzi di giornata, ma squattrinati come eravamo, ci diventava difficile convivere in un albergo dove, solitamente, per una ragione o per l’altra, si deve pur spendere qualcosa. Ma lui, il Massimiliano, l’ebreo buono, non ci mandava mai via. E, sempre per … l’ultima volta, ci lasciava entrare a ballare, giocare a biliardino o a bocce, così, senza pagare.


Dopo una decina di anni Simon decise di rientrare a Vienna, la città dove aveva vissuto i più begli anni della sua vita e dove è rimasto fino alla morte il 21 marzo 1989.






[1] La nazione di nascita non è indicata nell’Indice generale, probabilmente perché i vari cambi di nome a seguito del passaggio di territori tra stati di lingue diverse ne hanno mutato la denominazione rendendo impossibile trovare un nominativo corrispondente.  


[2] Archivio personale di Silvio Cavati, copia della testimonianza di Alice Redlich Schwamenthal.


[3] Giuseppe Giupponi, Foto d’epoca e note d’oggi, l’articolo è pubblicato sul giornalino parrocchiale di San Giovanni Bianco, mese di aprile 1984 (nella copia l’anno si legge male, potrebbe anche essere 1989), copia dell’articolo è conservata nell’archivio personale di Silvio Cavati. 


[4]Testimonianza scritta di Alice Redlich, archivio personale di Silvio Cavati; Giuseppe Giupponi, Foto d’epoca e note d’oggi, op. cit., Database del CDEC “I Nomi della Shoah Italiana” che però non precisa data, luogo e agente di cattura http://www.nomidellashoah.it/1scheda.asp?nome=Olga&cognome=Welt&id=8376.


[5] Giuseppe Giupponi, Foto d’epoca e note d’oggi, op. cit.


[6] Cfr. Renata Broggini, La Frontiera della speranza, Gli ebrei dall’Italia verso la Svizzera 1943-1945, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998, p. 497.


[7] Archivio personale di Silvio Cavati, copia della testimonianza di Alice Redlich Schwamenthal.


[8] Le differenze che si riscontrano nelle schede dello Yad Vashem non lasciano però dubbi sulla identità della persona: uguali il padre e la madre e il nome del marito, il cui cognome: Geiger o Zeiger o Ceiger dipende dalla lingua in cui viene translitterato, dato che il comune di nascita di Simom Max: Snorviez, di cui non abbiamo trovato notizie, appare foneticamente appartenere alle aree della Galizia o dell’Ucraina.


[9] Giuseppe Giupponi, Foto d’epoca e note d’oggi, op. cit.