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L’incursione – Coen Nacamulli Tolentini Wenstein

L’incursione al Palazzolo di Torre Boldone: Corrado Gustavo Coen Pirani, i fratelli Guido, Mario e Vittorio Nacamulli, Oscar Tolentini, Giuseppe Weinstein

 

Torre Boldone

 

Scheda di deportazione

 

Corrado Gustavo Coen Pirani, nato a Pisa il 19 maggio 1885, coniugato con Nossa Bianca. Ucciso all’arrivo ad Auschwitz il 28 ottobre 1944.

Arrestato a Torre Boldone da italiani il 30 maggio 1944.


Guido Nacamulli, nato a Istanbul (Turchia) il 10 aprile 1911. Deceduto a Buchenwald il 3 marzo 1945, matricola B-13729. 


Mario Nacamulli, nato a Istanbul (Turchia) il 7 maggio 1920. Deceduto a Buchenwald il 27 febbraio 1945, matricola B-13730.


Vittorio Nacamulli, nato a Milano il 22 marzo 1924. Deceduto a Auschwitz il 28 gennaio 1945 dopo la liberazione.

Arrestati a Torre Boldone da italiani il 30 maggio 1944.


Oscar Tolentini, nato a Trieste il 28 maggio 1884. Morto in Italia, in stato di detenzione nel carcere di Milano il 16 agosto 1944.

Arrestato a Torre Boldone da italiani il 30 maggio 1944.


Giuseppe Weinstein, nato a Banov (Cecoslovacchia), il 22 giugno 1876. Ucciso all’arrivo ad Auschwitz il 28 ottobre 1944.  

Arrestato a Torre Boldone da italiani il 30 maggio 1944[1]


I sei arrestati dopo essere stati detenuti nel carcere di Bergamo sono inviati al carcere di Milano, dove muore Oscar Tolentini, e poi al campo di transito di Bolzano e da lì deportati il 24 ottobre 1944 con il convoglio 18 che giunge ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Guido e Mario Nacamulli furono trasferiti in evacuazione da Auschwitz al campo di Buchenwald dove giunsero il 26 gennaio 1945[2].

Deportati identificati 133 di cui reduci 17, deceduti 116.

(Capitolo di riferimento: Arrestati e deportati dal carcere di Bergamo)


L’Istituto don Luigi Palazzolo in quegli anni, oltre all’orfanotrofio maschile, gestiva a Torre Boldone una piccola clinica privata che fungeva in parte anche da ricovero per bisognosi; la struttura, come altre facenti capo al medesimo Istituto (il convento e la casa di cura in via San Bernardino in Bergamo), era affidata alle suore delle Poverelle, o del Palazzolo.


Assistente spirituale delle suore delle Poverelle e direttore dell’orfanotrofio era don Tranquillo Dalla Vecchia, fratello della Sacra Famiglia, non prete diocesano e pertanto molto più libero nei propri spostamenti in quanto non limitato dai confini di una parrocchia e dall’obbedienza gerarchica al vescovo. 


Questa maggiore libertà, la disponibilità dell’istituto e delle suore delle Poverelle e le numerose conoscenze avevano consentito a don Tranquillo di organizzare un’efficiente via di fuga per i perseguitati dal regime, in particolare per gli ebrei, come scrive Giuseppe Belotti[3]:


Una terza organizzazione dell’espatrio in Svizzera, soprattutto degli ebrei provenienti da ogni parte del Norditalia, fa capo a don Tranquillo Dalla Vecchia direttore dell’Orfanotrofio maschile “Don Luigi Palazzolo” di Torre Boldone ed alle suore delle Poverelle, o del Palazzolo, addette all’orfanotrofio. Il dispositivo di salvataggio degli ebrei messo in moto da don Dalla Vecchia funziona a meraviglia: sono apparsi come per incanto giovani esperti che fanno da guide, ferrovieri complici che, prima o dopo le stazioni presidiate, fermano le locomotive in piena campagna per caricarvi e scaricarvi ebrei. A Colico, in una capanna, i fuggiaschi sostano al sicuro, in attesa del mezzo che li trasporti a Lanzo d’Intelvi o in Val Porlezza, o verso San Cassiano (Chiavenna) o in Val Malenco.


L’organizzazione di don Tranquillo Dalla Vecchia faceva presumibilmente parte di una rete che comprendeva le altre case delle suore Poverelle, il Palazzolo di Milano in particolare, che aiutarono centinaia di ebrei e perseguitati politici a nascondersi e a fuggire in Svizzera. Il 30 maggio 1944 quando giunse a Torre Boldone una squadra del Servizio Politico Investigativo della GNR nella clinica-ricovero erano ospitati 6 ebrei in fuga da Milano, forse in attesa di un passaggio sicuro per la Svizzera. L’incursione al Palazzolo non portò quindi solo alla cattura di sei ebrei e del prete che li nascondeva, ma scompaginò anche una delle vie di fuga per ebrei e altri perseguitati.


All’origine della retata una delazione: un ricoverato a carico dell’Istituto Nazionale Fascista Assicurazione Infortuni sul Lavoro (INFAIL) si era lamentato per iscritto presso il predetto Istituto perché gli ebrei nascosti presso l’Istituto Palazzolo erano trattati meglio di lui; l’INFAIL aveva passato la segnalazione alla Prefettura che l’aveva inoltrata al Servizio Politico della Federazione fascista di Bergamo[4].


L’incursione fu ordinata dal maggiore Guglielmo Battaglia, comandante della GNR Legione territoriale dei carabinieri di Milano, gruppo Bergamo, giunto a Bergamo da Fiume; l’operazione venne eseguita da un gruppo di militi al comando degli ufficiali capitano Zeno Saggioli e sottotenente Alessandro Ghisleni[5].


I militi si presentarono alle porte dell’Istituto il 30 maggio 1944 cercando gli ebrei di cui il delatore aveva fatto i nomi: Colli, Tollentino e Piccini. Le suore e il parroco cercarono di far fuggire i ricercati, e non dimenticarono di mettere sull’avviso l’Ospizio Sacro Cuore dell’Istituto Palazzolo di Bergamo[6]


La versione dei fatti dei protagonisti, gli ufficiali del Servizio Politico Investigativo della GNR, è affidata al verbale dell’incursione[7]:


L’anno millenovecentoquarantaquattro ventiduesimo il giorno 30 del mese di maggio, alle ore dieci, a seguito di ordine avuto dal Comandante Provinciale della G.N.R. di Bergamo gli Ufficiali del Servizio Politico Investigativo Capitano Saggioli Zeno e S.Tenente Alessandro Ghisleni, accompagnati da due agenti, si portavano in località Torre Boldone ed hanno esperite indagini presso l’istituto Palazzolo , ed al riguardo redigono il presente rapporto, facendo le seguenti constatazioni e segnalazioni:


Alla madre Superiora dell’Istituto fu richiesto il libro di ricovero della comunità, – Verificato questo gli Ufficiali chiesero se alcuni ricoverati e cioè certo Colli, Tollentino e Piccini, si trovassero in luogo. – La suora riferì che dette persone erano uscite e che sarebbero rientrate non prima delle ore 20. – In una visita ai locali di detto ricovero venne fermata una persona che fu riconosciuta immediatamente per il Sig. Colli Corrado. – Fermato e portato in camera sua e chiestogli i documenti, lo stesso esibiva una carta di identità del Comune di Tegiano rilasciata in data 1941. – Questi dati non corrispondevano con i dati del registro dei ricoverati. – Messo alle strette dichiarò di essere di razza ebraica e di chiamarsi Coen Pirani Gustavo Corrado. – Dal verbale di interrogatorio risulta che lo stesso fu assunto nell’Istituto in qualità di sinistrato. – Il Coen dichiarò che la di lui moglie viveva alla macchia ma le indagini dell’Ufficio portarono a scoprire che la moglie Nossa Bianca[8] era ospitata all’Istituto Palazzolo reparto donne di Bergamo. – Venne provveduto all’immediato suo fermo, ma la stessa che pare sia stata avvertita telefonicamente riuscì in tempo a far perdere le sue tracce lasciando presso l’Ospizio due valigie ed una pelliccia. – Il marito Coen al momento del fermo era in possesso di oggetti d’oro e preziosi che teneva nascosti in una specie di cinto erniale. –


Successivamente nel giro d’ispezione nei locali, venne trovato un certo Tollentini Oscar in possesso di regolare carta di riconoscimento postale. – Durante la perquisizione ai suoi oggetti personali, venne trovata corrispondenza indirizzata a certo Bruni Vittorio. – Il Tollentini asserì di adoperare tale nome perché vergognavasi, data la sua condizione, di vivere in un Ospizio. – Verso la fine della perquisizione venne trovata ben nascosta in un armadio una carta di identità rilasciata dal Comune di Tegiano a nome Bruni Vittorio e portante la di lui fotografia. – Lo stesso nell’interrogatorio dichiara che alla madre Superiora dell’istituto si presentò come sfollato, non nascondendo però la sua qualità di ebreo. – Venuti a conoscenza nel frattempo che il Parroco Don Tranquillo Dalla Vecchia aveva fatto fuggire un certo Piccini Giuseppe, venne fermato. – Fu detto alle Suore che se si fosse presentato il Piccini, avrebbe rimesso immediatamente in libertà il Parroco addetto alla cura delle anime dei ricoverati. – 


Nel proseguimento delle indagini furono fermati tre giovanotti i quali risultavano essere in possesso di carte di identità false. – Vennero riconosciuti per Nacamulli Mario, Guido e Vittorio fratelli e tutti di razza ebraica, e di cittadinanza greca. – Alle ore 19.30 una telefonata da parte dell’Istituto Palazzolo segnalava che il Piccini si era presentato. Venne provveduto all’accompagnamento del prete ed al ritiro del Piccini che interrogato risultò essere di razza ebraica e di nominarsi Weinstein Giuseppe; risulta pure dall’interrogatorio dello stesso che tutti gli ebrei ospitati nell’Istituto erano conosciuti per tali sia dal sacerdote Don Tranquillo Dalla Vecchia che dalla Madre Superiora e dalle suore.


Al presente verbale vengono allegati i verbali di interrogatorio e gli elenchi della merce sequestrata.


Il verbale omette un particolare: solo Mario e Vittorio Nacamulli vennero subito fermati, Guido si trovava lontano in fondo al giardino, in ottima posizione per scappare, i militi minacciarono l’immediata fucilazione dei due fratelli se Guido non si fosse presentato, le suore avvertirono Guido che si presentò ai militi.  


L’azione del parroco don Tranquillo Dalla Vecchia[9], della madre superiora suor Anastasia Barcella e delle altre suore per sottrarre i rifugiati ebrei alla cattura non fu del tutto vana: la signora Norsa Bianca, moglie di Coen Pirani Gustavo Corrado, nascosta al Palazzolo di Bergamo, riuscì a sfuggire alla cattura e alla deportazione.[10]

Il giorno successivo, il Comandante provinciale della GNR tenente colonnello Nicola Mariotti informò dell’avvenuta cattura il Capo della provincia Rodolfo Vecchini[11]:


Ieri mattina alle ore 10 gli ufficiali di questo Servizio politico provvedevano al fermo di due ebrei e tre sudditi greci, tutti forniti di carte d’identità false, ospitati nell’Istituto Palazzolo sito in Torre Boldone.


Fermato il parroco Don Tranquillo Dalla Vecchia, per aver favorito la fuga di un terzo ebreo; in serata è stato rilasciato avendo le Suore poverelle dell’Istituto ritrovato l’ebreo Piccini Giuseppe.


Agli arrestati vennero sequestrati anche tutti i beni in loro possesso, per la maggior parte si trattò di abiti o dei pochi soldi che ognuno teneva nel portafoglio, la cifra più cospicua il contante dei fratelli Nacamulli che ammontava complessivamente a circa L. 1.000. Diverso il caso di Gustavo Corrado Coen Pirani che doveva essersi invece preparato per disporre di risorse per una clandestinità prolungata o per una fuga, portandosi dietro tutti i gioielli di famiglia, come risulta dall’inventario dei beni sequestrati:


n. 1 anello da donna in oro bianco 750/000 con brillante pure grani 9 

n. 1 catena da uomo in oro 18 carati, del peso grammi 13.70

n. 1 anello brillante da uomo in oro bianco 18 carati da grani 3,60

n. 1 orologio Zenith, due casse oro 18 carati – circa 28 grammi  

n. 1 orologio argento, a chiave  

n. 1 medaglia con sigla ebraica, in oro, peso grammi 4,10 

n. 1 portamatita in oro basso, peso grammi 12 

n. 1 matita automatica laminata oro 

n. 1 anello con 5 perle, peso grammi 2,80 in oro 

n. 1 Sigla in oro, 18 carati, peso 7/10 di grammo

n. 1 spilla da Cravatta in oro 18 carati, peso grammi 2, con perla orientale da grani 2 

n. 1 orologio automatico da tasca

n. 1 scatolino argenta da grammi 12,70, titolo 800/000

n. 1 pietrina verde senza valore 

n. 1 bottone da camicia con finta perla senza valore 

n. 1 medaglia argento con contorno oro, peso complessivo grammi 2,80

n. 2 bottoni gemelli con sigla, oro 18 carati, peso complessivo grammi 4,80 

n. 1 spilla con perle, peso complessivo grammi 1,60, oro 18 carati

n. 1 passetto con brillanti, oro 18 carati, peso grammi 2,30

n. 1 zaffiro piccolo con catena e vitina senza valore

n. 1 medaglia argenta grammi 3

n. 1 moschettone oro 18 carati, peso grammi 0/70 

n. 1 fede metallo, senza valore 

n. 1 lente con custodia cuoio


Nessuna pubblicità venne data agli arresti sulla stampa: né “L’Eco di Bergamo”, il quotidiano cattolico locale, né “Bergamo Repubblicana”, il quotidiano della Federazione fascista, ne dettero notizia: il regime si rendeva conto che la propaganda antisemita non aveva attecchito fra la popolazione e che questi arresti non potevano che accrescerne l’impopolarità. Gli ebrei arrestati, tre dei quali si sono dichiarati di nazionalità greca, vennero condotti nelle carceri di Bergamo e il giorno successivo sottoposti ad interrogatorio da una coppia di militi, il brigadiere Vincenzo Agostinelli e il maresciallo Carlo Milanesi[12].


Dal verbale dei singoli interrogatori emergono le storie degli arrestati; per tutti Milano era il punto di riferimento: è lì che mediante l’aiuto di amici si erano procurati i documenti falsi, è lì che avevano avuto l’indicazione di recarsi presso l’Istituto di Torre Boldone. 


Chi sono gli amici, chi ha procurato le carte di identità false? I primi interrogati parlarono, ma benché sia evidente che non si tratti di cospiratori addestrati, dettero versioni concordate, fecero nomi solo di persone che sapevano già al sicuro in Svizzera e cercarono di diminuire le responsabilità degli ospiti o di negare il coinvolgimento di altri soggetti i cui nomi erano presenti negli incartamenti personali. Forse in seguito a mezzi di persuasione violenti, Oscar Tolentini ammise qualcosa di più: la carta di identità gli era stata consegnata dal Coen Pirani, che l’aveva avuta dal cameriere di un bar di Milano che faceva anche borsa nera.


Il Coen Pirani cercò di rimediare come poté: non il cameriere, ma un avventore abituale del locale di Milano, commerciante ambulante e di nome sconosciuto gli aveva fornito le carte di identità (non sappiamo se la storia ha avuto seguiti investigativi, le carte esaminate non lo dicono).


Dalla lettura dei verbali di interrogatorio emergono elementi della storia e della sorte degli arrestati.


Il verbale di interrogatorio di Gustavo Corrado Coen Pirani[13]:


L’anno millenovecentoquarantaquattro addì trentuno del mese di Maggio ad ore quattordici e minuti trenta nell’Ufficio Politico Investigativo del Comando Provinciale della G.N.R. avanti a noi sottoscritti Uff. di Pol. Giud. è presente il nominato Coen Pirani Gustavo Corrado fu Achille e fu De Veroli Clotilde nato a Pisa il 19 Maggio 1885 già domiciliato a Genova in Via Alto Vannucci N. 3 di professione commerciante in metalli il quale interrogato risponde: 


A.D.R. sono di razza ebraica, e mi sono pure coniugato con una ebrea che si chiama Norsa Bianca, senza figli. Nel 1938 mi sono battezzato e pur non avendo documenti da presentare, ciò si può accertare presso la parrocchia del S. Cuore di Gesù in Carignano a Genova. Non ho regolari documenti di identificazione e la carta di identità rispondente al nome di Colli Corrado rilasciata dal Comune di Teggiano mi è stata rilasciata da un venditore ambulante che mi segnalò un cameriere del caffè sito in Corso Buenos Aires e precisamente il secondo a sinistra di detto corso.


Nego che sia stato il cameriere stesso a fornirmela ma credo che abbia capito male l’amico Tolentini. In Milano mi ci ero portato da poco avendo avuto la casa sinistrata a Pisa ed a Genova dove ero domiciliato. Qui conobbi l’ing. Pizzeschi mio correligionario abitante in foro Bonaparte e con ufficio di ghiacciaie sito nello stabile e di cui non ricordo il numero. Da lui venni consigliato di portarmi nella provincia di Bergamo dove era notorio vi fossero degli Istituti che davano pensione a persone sfollate. Mi rivolsi alla Casa Madre in Bergamo la quale mi indirizzò a Torre Boldone presso l’Istituto Palazzolo. Alla Superiora di detto istituto mi presentai con la falsa carta di identità intestata a Colli Corrado ed in cerca d’alloggio quale sinistrato. La retta giornaliera veniva da me regolarmente pagata con i risparmi in mio possesso.

A.D.R. Mia moglie vive alla macchia ed ignoro il suo indirizzo o dove eventualmente si possa trovare, ci vedevamo una o due volte al mese nello stesso Istituto.


A.D.R. Preciso nuovamente che nessun cameriere mi ha procurato la carta d’identità ma solo uno di questi si è limitato a segnalarmi un avventore del locale il quale avrebbe potuto favorirmi. Infatti lo sconosciuto che seppi essere un venditore ambulante mi procurava la carta di identità dietro compenso di L. 500. La carta d’identità falsa che procurai al Tolentini, conosciuto all’Istituto venne fatta pure dalla stessa persona alla quale versai L. 200 perché la carta non era di mia soddisfazione.

Gustavo fu tradotto al carcere di Milano e successivamente, il 7 settembre 1944, al campo di concentramento di Bolzano, venne deportato il 24 ottobre 1944 a Auschwitz, dove fu ucciso all’arrivo il 28 ottobre 1944[14].


Il verbale di interrogatorio di Oscar Tolentini [15]:


L’anno millenovecentoquarantaquattro addì trentuno del mese di Maggio nell’Ufficio Politico Investigativo del Comando Provinciale della G.N.R. avanti a noi sottoscritto Uff. di Pol. Giud. è presente il nominato Tolentini Oscar fu Laerte e fu Gentili Matilde, nato a Trieste il 28 maggio 1884, domiciliato a Milano in Via Capellari n. 4 di professione maestro di canto, il quale opportunamente interrogato dichiara quanto segue:


Sono di razza ebraica, ma nel marzo o nell’aprile 1939 ho abbracciato il cristianesimo. Mi sono pure sposato con una ariana, vedova, dal suo primo marito aveva avuto una figlia. Detto matrimonio venne convalidato con una benedizione in chiesa. Sinistrato nei bombardamenti aerei dell’agosto 1943 mi sono trasferito con la famiglia a Cantù in via Oslavia n. 4 dove tuttora abita mia moglie e la figliastra.


A.D.R. A seguito delle disposizioni di legge sugli appartenenti alla razza ebraica, e saputo da persone amiche che nella Bergamasca vi erano degli Istituti che davano pensione, onde salvaguardare la mia persona mi portai in due o tre di questi Istituti e finalmente in Torre Boldone (Bergamo) trovai di che appoggiarmi presso l’Istituto Palazzolo 


Alla madre Superiora mi presentai come sinistrato e sfollato non nascondendo la mia qualità di ebreo, adducendo come scusante di essere stato battezzato nel 1939. In luogo ho fatto la conoscenza di certo Coen Pirani il quale era in possesso di una falsa carta di identità al nome di Colli Corrado. Chiesi allo stesso di procurarmene una e se aveva la possibilità di farlo, al che con buona volontà mi promise senz’altro che con la somma di L. 200.000[16]aveva sottomano un cameriere di caffè di Corso Buenos Aires il quale avrebbe provveduto a procurarmela. Non conosco il cameriere ma so che oltre al commercio delle carte di identità egli traffica in borsa nera. La retta giornaliera mi venne fissata in L. 25.== che io ho sempre provveduto a pagare con i miei risparmi e qualunque aiuto da parte della famiglia.


In questo verbale, la frase di rito “il quale interrogato risponde” è sostituita da “il quale opportunamente interrogato dichiara quanto segue”, il che fa supporre, come accennato, il ricorso a metodi violenti. 


Si può notare, inoltre, che è l’unico verbale che non riporta l’ora dell’interrogatorio, e che l’interrogato muore prima della deportazione: tradotto nel carcere di Milano, vi trova la morte in stato di detenzione il 16 agosto 1944[17].


Il verbale di interrogatorio di Giuseppe Weinstein[18]:


L’anno millenovecentoquarantaquattro addì trentuno del mese di Maggio ad ore undici e minuti trenta nell’Ufficio Politico Investigativo del Comando Provinciale della G.N.R. avanti a noi sottoscritti Uff. di Pol. Giudi. è presente il nominato Weinstein Giuseppe fu Maurizio e di fu Weinstain Giuseppina; nato il 22/6/1876 Banov (Uhershg Brod) protettorato Ceco Morava residente a Bolzano in Via Principe di Piemonte 17 di professione commerciante il quale interrogato risponde:


Sono di razza ebraica e mi trovo in Italia da oltre 47 anni.


Sono apolide e di professione commerciante in mercerie, con negozi a Trento ed a Merano. Ero però domiciliato a Bolzano unitamente ai figli Dott. Leo della classe 1907, e Ilde di anni 32 sarta.


Nel settembre dello scorso anno i due figli espatriarono in Svizzera, io rimasi però in luogo di ragioni professionali e perché data la mia vecchia età non intendevo espormi ai pericoli e disagi che mi sarebbero potuti incontrare. Nel dicembre 1943 in seguito alle disposizioni emanate dall’attuale Governo provvidi alla mia sicurezza personale e dietro consiglio del Dott. Rag. Stein abitante a Milano in Via Gustavo Modena N. 24 che conoscevo da molti anni. Mi presentai all’Istituto Palazzolo in Torre Boldone (Bergamo) alla Superiora e mi sono qualificato per Piccini Giuseppe esibendo la falsa carta di identità rilasciatami dal Comune di Varese e dichiarandomi sfollato. In un primo momento sia il sottoscritto, come gli altri carpimmo la buona fede della Superiora, ma in seguito le suore ed il Sacerdote Don Tranquillo Dalla Vecchia vennero a conoscenza della nostra qualità di ebrei, inquantochè lo notavano, sia nelle manifestazioni in chiesa e dalla mancata nostra adesione alla S. Eucarestia per le feste Pasquali. Infatti l’unico che si sia comunicato in quell’occasione fu il Coen. Comunque sia perché ormai eravamo colà ricoverati ed anche per il nostro carattere remissivo è mia impressione che ci tollerassero.


A.D.R. Chi si interessò e mi procurò la falsa carta di identità fu lo stesso Dott. Riccardo Stein al quale diedi i dati e che dopo due giorni mi consegnava la regolare carta di identità, debitamente compilata. Quale compenso da consegnare a chi aveva compilata e fatta la predetta consegnai al Dott. Stein lire 2.000.


Premetto che il Dott. Stein si è pure interessato per lo espatrio dei miei figli e verso i primi del corrente anno lui pure è espatriato. Per quanto riflette il pagamento della retta giornaliera ho sempre provveduto al pagamento mediante i miei risparmi.


Giuseppe Weinstein avrebbe potuto salvarsi: era stato fatto fuggire dal parroco, che era stato arrestato e trattenuto in ostaggio in sua vece; saputolo aveva preferito consegnarsi, ottenendo così il rilascio di don Dalla Vecchia.


La cattura fu solo l’inizio della suo calvario, venne tradotto al carcere di Milano e poi, il 7 settembre 1944, al campo di concentramento di Bolzano; da lì il 24 ottobre 1944 venne deportato a Auschwitz; fu ucciso all’arrivo il 28 ottobre 1944[19].


I Fratelli Nacamulli


L’interrogatorio di Vittorio[20]:


L’anno millenovecentoquarantaquattro addì trentuno del mese di maggio ad ore nove e minuti quarantacinque in Bergamo nell’Ufficio Politico Investigativo del Comando prov. Della Guardia Nazionale Repubblicana avanti a noi Uff. di Pol. Giud. è presente il nominato Naccamulli Vittorio di Davide e di Raffael Margherita, nato il 22 marzo 1924 a Milano di professione impiegato il quale interrogato risponde:


Appartengo alla razza ebraica, e come tale in seguito alle disposizioni emanate ho cercato rifugio, ed unitamente ai fratelli Mario e Guido mi sono recato presso l’Istituto Palazzolo che era diretto dalle Suore delle Poverelle. Non so chi abbia riferito tale luogo perché quale fratello minore seguivo ciò che facevano gli altri due.


Come si apprende dalla carta di identità di cui si trova in possesso sono domiciliato a Milano in via Plinio 32 dove vivevo unitamente ai genitori e ai due fratelli. Da quindici giorni non vedo i miei genitori ma ho saputo che loro intenzione di espatriare in Svizzera ciò che credo abbiano fatto. Sono di nazionalità Greca pur trovandomi dal 1920 in Italia e precisamente a Milano. La retta giornaliera veniva normalmente pagata dal fratello maggiore a nome Guido.


L’interrogatorio di Mario[21]:


L’anno millenovecentoquarantaquattro addì trentuno del mese di maggio ad ore dieci in Bergamo nell’Ufficio Politico Investigativo del Comando prov/ della Guardia Nazionale Repubblicana, avanti a noi Uff. di Pol. Giud. è presente Naccamulli Mario di Davide e di Raffael Margherita, nato ad Istambul il 7 maggio 1920 residente a Milano in Via Plinio n. 32 di professione studente il quale interrogato risponde:


Sono di razza ebraica, e di nazionalità greca, ma ho sempre vissuto in Italia e precisamente a Milano, dove mio padre esercitava la professione di commerciante in tessuti.


A.D.R. Chi ci ha fornito le carte di identità a me e mio fratello Guido è stato un mio compagno di scuola certo Foà Ettore abitante pure in Milano, ma non ricordo l’indirizzo di casa. Mi risulta però che lo stesso sia espatriato. L’indirizzo dell’Istituto Palazzolo ci venne fornito pure dallo stesso, il quale era a conoscenza che il luogo vi era già stato accettato un nostro correligionario. Unitamente agli altri fratelli venni ospitato nel gennaio corrente anno. In detto Istituto ci presentammo come sfollati dichiarandoci fratelli e dando alla madre superiora le nostre generalità. La retta che noi pagavamo ci veniva fornita di volta in dal papà il quale sino a pochi giorni fa ha sempre abitato in via Plinio 32 credo che attualmente sia riuscito a passare il confine e portarsi in Svizzera che ebbe a manifestare nella sua ultima visita avvenuta una quindicina di giorni fa.


L’interrogatorio di Guido[22]:


L’anno millenovecentoquarantaquattro addì trentuno del mese di Maggio ad ore undici in Bergamo nell’Ufficio Politico Investigativo del Comando Provinciale della G. N. R. avanti a noi sottoscritti Uff. di Pol. Giud. è presente il nominato Naccamulli Guido di Davide e di Raffael Margherita, nato ad Istambul il 10/04/1911 di professione impiegato residente a Milano in Via Plinio n. 32 il quale interrogato risponde:


Sono di razza ebraica, di nazionalità greca. Ho sempre vissuto dall’età di nove anni in Milano unitamente alla mia famiglia. Non sentendoci più sicuri alla nostra abitazione decidemmo di portarci all’istituto Palazzolo (Bergamo) luogo che il Foà ci aveva indicato. 


Infatti i miei due fratelli vennero colà accolti nel mese di gennaio e dopo pochi giorni li raggiunsi anch’io.


A.D.R. In luogo, alla data dell’ingresso abbiamo esibito documenti di riconoscimento, ovvero sia le carte di identità in nostro possesso. Ivi eravamo conosciuti dalle Suore come tre fratelli.


Per quanto riflette gli appunti che mi vennero trovati timbrati “Italcementi” ed il nominativo dell’Ing. Cattaneo, riguarda una mia precedente visita ad Alzano Lombardo dove sorge un piccolo Villaggio per i dipendenti della ditta stessa. Entusiasmato dalla costruzione chiesi al personale lì presente se si potesse visitare, ma ne ricevetti la risposta negativa e che all’occorrenza occorreva un permesso del Direttore certo Ing. Cattaneo abitante a Bergamo. Detta visita però non venne effettuata.


Per quanto riflette la retta giornaliera essa veniva fornita di volta in volta dal papà nelle sue visite. Attualmente però il papà subdorando forse vento infido ha espresso l’intenzione di espatriare ciò che credo abbia fatto.


Le versioni fornite dai tre fratelli Nacamulli sono evidentemente concordate: nessuno accenna alla madre o alle sorelle, mentre del padre dicono che ormai dovrebbe essere espatriato.


I tre fratelli furono tradotti prima al carcere di Milano, poi al campo di concentramento di Bolzano e da lì il 24 ottobre 1944 deportati ad Auschwitz, dove Vittorio morì in conseguenza dei patimenti subiti il 28 gennaio 1945, quando il campo era ormai stato liberato; Mario e Guido dovettero invece affrontare la infernale marcia di trasferimento fino a Buchenwald dove giunsero il 26 gennaio 1945 e dove morirono rispettivamente il 27 febbraio 1945 e il 3 marzo 1945[23].


Terminata la guerra dai campi di concentramento e dai campi di sterminio nazisti iniziò il lento ritorno dei deportati verso l’Italia, dapprima poche persone, poi un susseguirsi di tradotte cariche di reduci, spesso in precarie condizioni di salute, che necessitavano di assistenza e di mezzi per raggiungere le loro case. Un primo Centro Assistenza Rimpatriati venne allestito a Bolzano e funzionò pochi mesi fino a quando venne istituito il Centro Assistenza Reduci a Pescantina.


La linea ferroviaria Verona/Brennero, principale canale di collegamento fra il nord Italia e la Germania, era stata oggetto negli ultimi anni di guerra di numerosi bombardamenti: molte stazioni, ponti e tratti ferroviari erano stati distrutti. Una delle pochissime stazioni che non subirono danni fu quella di Balconi di Pescantina, fermata forzata dei treni provenienti dal Brennero. In alcuni edifici ad uso industriale situati nei pressi della stazione furono allestiti i primi centri di accoglienza ed assistenza, che si resero ben presto insufficienti. In diverse zone prative tra la stazione e il centro abitato, vennero installate delle baracche e delle tende dove fornire i primi aiuti, assistenza e luoghi di ricovero prima che i rimpatriati proseguissero il viaggio verso casa. Pescantina divenne ben presto a partire dall’estate del 1945, un preciso punto di riferimento per i famigliari di quanti erano stati internati, deportati o fatti prigionieri. Accanto ai famigliari numerose organizzazioni operarie e parrocchiali si recarono a Pescantina sia per portare aiuti che per coadiuvare nella ricerca sulla sorte dei deportati o per riportare quelli lì arrivati alle proprie case[24].


Anche i genitori e le sorelle dei tre fratelli Nacamulli si rivolsero al centro di Pescantina, le prime notizie raccolte portarono a conoscere sorte di Vittorio, rimasto nell’infermeria di Monovitz (Auschwitz) dopo l’evacuazione del campo operata dai tedeschi, che vi lasciarono gli impossibilitati a camminare. I malati rimasero senza medicine, senza acqua e senza cibo. Sulla loro sorte nel campo di sterminio abbiamo le testimonianze di due compagni di campo, Leonardo Debenedetti[25] e Eugenio Ravenna[26], entrambe danno conto della morte di Vittorio, della partenza di Guido e Mario a piedi con la colonna di evacuazione e degli eventi immediatamente successivi alla fuga delle SS tedesche.


Mancano notizie della sorte successiva di Guido e Mario: un annuncio sulla Domenica del Corriere, anno 48 n. 12 del 16 giugno 1946 Pag. III, testimonia l’attesa di nuove notizie.


Giungeranno prima conferme della sorte di Vittorio: una lettera del Servizio Prigionieri di Guerra del ministero dell’Assistenza Postbellica il 24 giugno 1946, in risposta ad una richiesta della famiglia in data 30 aprile riporta le dichiarazioni di altri due deportati: Aldo Colombo[27] e Giuseppe Mortara[28].


L’ansia sulla sorte di Guido e Mario durerà ancora alcuni anni: la marcia della morte si era conclusa per loro nel campo di Buchenwald, che si trovava nella zona di occupazione sovietica. La loro sorte sarà infine accertata: una lettera del Ministero dell’Interno, Direzione Generale dell’Assistenza Pubblica in data 23 settembre 1950 o 1951, il timbro-data è di incerta lettura, in risposta ad una richiesta della famiglia in data 10 maggio comunica che Guido è deceduto nel campo di concentramento di Buchenwald il 3 marzo 1945 e Mario è deceduto nello stesso campo il 26/2/1945. La stessa lettera informa che non è stato possibile accertare il luogo e le modalità di sepoltura dei fratelli in quanto il campo si trova nella zona di occupazione russa. Quest’ultima nota fa ritenere che notizie sulla loro sorte fossero già pervenute ai famigliari, ma che continuassero a perdurare incertezze. 


Il dolore per queste perdite e la sacralità privata di questo dolore, forse la resistenza a condividere elementi che questo dolore ravvivano con chi viene percepito come non legittimato o non in grado di comprendere e quindi il timore di renderne meno sacra la memoria è forse alla base del divieto di pubblicazione di questi preziosi e toccanti documenti conservati negli archivi del CDEC, motivazioni che mi è sembrato di cogliere in altre similari situazioni. 


La sorte degli altri due protagonisti di questa vicenda, il parroco e la madre superiora, pur se non tragica, fu comunque travagliata. 


Don Tranquillo Dalla Vecchia venne arrestato nuovamente il 26 agosto 1944 da militi fascisti, per mandato delle truppe tedesche; detenuto nelle carceri di Sant’Agata in Bergamo, il 19 settembre 1944 venne tradotto al carcere di San Vittore a Milano. Durante gli interrogatori subì gravi violenze fisiche, ma riuscì a tacere e a non svelare i nomi dei suoi collaboratori. Nel corso della prigionia a Milano soffrì la fame, gli scherni, gli venne negata quasi sempre la Messa e fu anche costretto a massacranti lavori sotto la minaccia del frustino. Il 12 ottobre 1944 venne trasferito al campo di internamento per sacerdoti e suore di Cesano Boscone; non venne sottoposto a processo e poté riacquistare la libertà il 15 dicembre. Morì il 15 aprile 1955 a Torre Boldone[29].


Madre Anastasia Barcella, superiora delle suore di Torre Boldone, venne fatta subito fuggire da don Dalla Vecchia, raggiunse a piedi la casa di Castione della Presolana e poi, sempre ricercata dalle autorità fasciste, fu costretta a vagare sotto falso nome da un convento all’altro del suo Istituto fino al giorno della Liberazione[30]. L’impegno di madre Anastasia continuò anche dopo la guerra: fece parte di un gruppo di dieci suore infermiere che vennero inviate in Germania per assistere gli ex prigionieri ammalati. Durante il viaggio visitarono anche il campo di Dachau, scrisse una delle suore “Non sappiamo dove ci troviamo a vedere tanta crudeltà. Abbiamo avvicinato gli internati di questo campo, non è possibile descrivere ciò che dicono”. La loro missione dovette essere interrotta quando in un ospedale per prigionieri si accorsero che quelli nelle peggiori condizioni con malattie infettive sparivano, sospettando la loro eliminazione protestarono, ricevettero non spiegazioni, ma minacce. Per salvaguardare la loro incolumità furono richiamate in Italia[31].






[1] In Liliana Picciotto, Il libro della Memoria, Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Milano, Mursia, 2° edizione 2002, non si precisa il luogo di nascita, il luogo la data e l’agente di cattura, che sono documentati nei verbali di interrogatorio conservati in ASBg, Gab. Pref. b.e., serie III fascicolo 7.


[2] Archivio Arolsen, archivi online, schede di immatricolazione a Buchenwald di Guido e Mario Nacamulli. Le schede annotano per entrambe come motivo della deportazione: polit. griech jude, dove polit. potrebbe essere abbreviazione di politisch, politico, ma non abbiamo dati per che permettano di capire il motivo della classificazione.


[3] Cfr. Giuseppe Belotti, I cattolici di Bergamo nella Resistenza, Bergamo, Minerva Italica, 1977, p. 171.


[4] La notizia è data da uno degli arrestati, Oscar Tolentini, che ne ha riferito ad un parente durante la carcerazione a Milano.  A seguito della denuncia contro i delatori da parte di familiari degli arrestati, venne aperta nel 1946 una istruttoria dalla Procura della Repubblica di Bergamo (della cui conoscenza sono debitore al dottor Giancarlo Battilà). La sopraggiunta amnistia portò alla chiusura della istruttoria; gli atti sono registrati presso la Corte d’assise speciale competente per le sanzioni contro il fascismo con il n. 67/46, che verrà richiamato nelle note successive come Istr. 67/46, copia degli appunti di Giancarlo Battilà è conservata presso l’ISREC di Bergamo. 


[5] Alessandro Ghisleni, nato a Bergamo il 9 settembre 1902, iscritto al PNF con la qualifica di squadrista e sciarpa littorio, fu fra i primi ad aderire al Partito Fascista Repubblicano il 4 ottobre 1943, divenne membro del triunvirato che organizzò la prima struttura del PFR a Bergamo; sottotenente della GNR, fu addetto all’Ufficio politico; al termine della guerra, il 16 maggio 1945, venne arrestato e processato; il 25 agosto 1945 fu condannato a 24 anni di reclusione, sentenza annullata dalla Corte di cassazione il 8 gennaio 1947 con rinvio della causa al Tribunale di Brescia; emigrato in Argentina nel 1950, rientrò a Bergamo nel 1956. È morto a Nateroi (Brasile) il 20 marzo 1966.


[6] Ad effettuare la telefonata fu suor Giulia Bonfanti, come si ricava dagli atti dell’istruttoria citata: “In servizio presso l’istituto riferiva che il 30 maggio si presentavano i militari per la perquisizione. Mentre costoro controllavano i documenti dei ricoverati lei si allontanava per avvertire i ricercati. Al ritorno il capo, cap. della GNR Saggioli Zeno, le chiedeva conto prima di Cohen Corrado e poi di alcuni ricoverati indicandoli uno per uno leggendo il nome da un foglietto. I fratelli Nacamulli riuscivano a raggiungere il portone ma senza poter uscire perché l’edificio era circondato. In quel frangente l’imputato N. li additava ai militari che li fermavano. Il Piccini, invece, riusciva a fuggire e del fatto veniva incolpato il sacerdote don Tranquillo che veniva arrestato. Poiché la sera stessa il Piccini rientrava, il sacerdote veniva rilasciato. Gli altri venivano arrestati all’interno. Dopo il fatto il N. non se la sentiva più di rimanere nell’istituito “perché era una oppressione per lui “. Anche il M. (altro imputato), che pure risultava “cieco completo“, dopo il fatto si vantava affermando che si era recato dal duce il quale lo aveva ricompensato con 15.000 lire tanto che al ritorno mostrava le banconote. Secondo la suora N. e M. erano stati gli unici che avevano avvicinato i militari (Istr. 67/46). 


[7] ASBg, Gab. Pref. b.e. 2, serie III fasc. 7. Copia velina del verbale. I verbali sono stati trascritti integralmente, compresi la punteggiatura, i trattini separatori e gli errori grammaticali e sintattici.


[8] Il nome esatto è Norsa Bianca.


[9] Don Tranquillo Dalla Vecchia, in una dichiarazione resa nel corso dell’istruttoria citata, racconta: “Al momento dell’arrivo dei militi, mi adoperai per salvare il Piccini facendolo uscire da una porticina, ma notai che il N. guardava nella mia direzione per cui si rese conto della mia manovra. La stessa cosa feci per i fratelli Nacamulli, ma appena aperta la porticina mi si parò davanti il N. che era rimasto a guardare. Ebbi subito dei dubbi e difatti dopo pochi minuti i due ebrei venivano fermati ed arrestati. Poco dopo venivo arrestato con l’accusa di avere favorito la fuga. Sono sicuro di essere stato accusato dal N. perché solo lui aveva visto la mia manovra. Inoltre, preciso che durante l’operazione N. e M. erano gli unici ricoverati che fraternizzavano con i militari. Sono stato subito arrestato per l’evasione di Piccini, ma quando costui la sera si ripresentava fui liberato“(Istr. 67/46).


[10] Cfr. Mauro Danesi, Frammenti e memorie di storia locale. Conseguenze e riflessi, in ambito locale, dell’emanazione delle leggi razziali e dell’antisemitismo durante il regime fascista. Eroismi senza chiasso, La famiglia Levi, Intervista a Maria Perico, 2001, consultabile presso il Museo delle storie di Bergamo, 


[11] ASBg, Gab. Pref. b.e. 2, serie III fasc. 7.


[12] ASBg, Gab. Pref. b.e. 2, serie III fasc. 7.


[13] ASBg, Gab. Pref. b.e. 2, serie III fasc. 7, copia velina del verbale.


[14] Cfr. Liliana Picciotto, Il libro della Memoria, op. cit.


[15] ASBg, Gab. Pref. b.e. 2, serie III fasc. 7, Copia velina del verbale.


[16] La cifra indicata nel verbale è evidentemente frutto di un errore del verbalizzante, vista l’enormità della cifra e la sproporzione rispetto a quelle indicate negli altri interrogatori. È probabile si tratti di £ 200, come afferma Coen Pirani nel suo interrogatorio, del resto una simile somma non sarebbe stata nella disponibilità di un maestro di canto.


[17] Le schede in Liliana Picciotto, Il libro della Memoria, op. cit., non riportano il luogo di cattura di Weinstein Giuseppe e Tolentini Oscar: i documenti rinvenuti presso l’archivio di stato di Bergamo hanno consentito di aggiungere questa alle altre informazioni sulla loro sorte.


[18] ASBg, Gab. Pref. b.e. 2, serie III fasc. 7, Copia velina del verbale.


[19] Cfr. Liliana Picciotto, Il libro della Memoria, op. cit.


[20] ASBg, Gab. Pref. b.e. 2, serie III fasc. 7, Copia velina del verbale. Nella trascrizione si sono conservati gli errori e le storpiature presenti nel testo del verbale.

[21] ASBg, Gab. Pref. b.e. 2, serie III fasc. 7, Copia velina del verbale. Nella trascrizione si sono conservati gli errori e le storpiature presenti nel testo del verbale.


[22] ASBg, Gab. Pref. b.e. 2, serie III fasc. 7, Copia velina del verbale. Nella trascrizione si sono conservati gli errori e le storpiature presenti nel testo del verbale.


[23] Cfr. Liliana Picciotto, Il libro della Memoria, op. cit. 


[24] Le brevi note sul C.A.R. di Pescantina sono tratte dal sito dell’ANED, Gli “angeli” di Pescantina, furono gli stessi reduci a chiamare le giovani volontarie del Centro Accoglienza Reduci. Il Centro di Pescantina concluse la sua attività nei primi mesi del 1947. Cfr. https://deportati.it/aned/le-sezioni/verona/gli-angeli-pescantina/


[25] Lettera di Leonardo Debenedetti alla Pontificia Commissione di Assistenza ai Profughi in data 23 ottobre 1945. Leonardo Debenedetti (abbiamo mantenuto la grafia del cognome come compare nella lettera autografa, ma in molti testi e database si trova la grafia De Benedetti, questo vale per la citazione dell’intera famiglia) nato a Torino il 15 settembre 1898. Medico condotto a Rivoli (TO), ebreo, di orientamento antifascista, nel 1938 fu costretto dalle leggi razziali ad abbandonare l’esercizio pubblico della professione. Ai primi di dicembre del 1943 tentò, con la madre Fortunata Segre Debenedetti, la moglie Jolanda, la sorella e altri ebrei, di espatriare clandestinamente in Svizzera. Giunti oltre confine, Debenedetti e la moglie furono però respinti dalle autorità elvetiche e rimandati in Italia (la madre, colta in quelle ore da un malore da cui non si riprese, morì in Svizzera il 16 febbraio 1944). Il 3 dicembre, riconosciuti come ebrei da militi della Centuria confinaria, i due coniugi furono arrestati a Lanzo d’Intelvi (CO). Dopo due giorni, furono trasferiti al carcere di Como e poi a quello di Modena. Il 21 dicembre 1943 furono inviati al campo di transito di Fossoli e da qui il 22 febbraio 1944 deportati ad Auschwitz. Leonardo sopravvisse e fu liberato il 27 gennaio 1945, la moglie Jolanda fu invece uccisa all’arrivo ad Auschwitz. Debenedetti fu autore con Primo Levi del Rapporto sulla organizzazione igienico-sanitaria del campo di concentramento per Ebrei di Monowitz (Auschwitz-Alta Slesia), scritto nel 1945 subito dopo la liberazione dal Lager di Auschwitz-Monowitz e poi pubblicato nel 1946 sulla rivista specialistica “Minerva medica”. Copia del dattiloscritto è conservata proprio nell’archivio dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza. Debenedetti è il Leonardo ricordato da Primo Levi nella Tregua, Einaudi, Torino, 1972, pp. 69 e seguenti.


[26] Lettera di Eugenio Ravenna Ugo Ottolenghi in data 17 settembre 1945. Eugenio Ravenna, nato a Ferrara il 6 novembre 1920. Figlio di Gino Ravenna, proprietario di un deposito alimentare, e di Letizia Rossi. Era cugino dello scrittore Giorgio Bassani, che alla sua storia si ispirerà per il racconto “Una lapide in via Mazzini”. Ebreo di estrazione borghese, Eugenio Ravenna, che aveva frequentato il liceo scientifico fino alla soglia della maturità e aveva dovuto poi interrompere gli studi per le leggi razziali, venne arrestato l’8 ottobre 1943, mentre i suoi familiari furono fermati nel dicembre dello stesso anno, dopo aver cercato rifugio in Svizzera. Eugenio Ravenna fu condotto prima al carcere di Bologna, poi in quello di Ferrara e da lì al complesso di via Mazzini 95. Trasferito al campo di concentramento di Fossoli (Modena), fu poi deportato con la sua famiglia nel campo di sterminio di Auschwitz sul convoglio n. 8, che partì il 22 febbraio 1944 per arrivare quattro giorni dopo ad Auschwitz. Liberato il 27 gennaio 1945, fu il solo della famiglia a sopravvivere alla Shoah; il padre Gino Ravenna, la madre Letizia Rossi, la sorella Franca Ravenna, il fratellino quindicenne Marcello Ravenna ed altri quattro zii e cugini scomparvero nel lager nazista.


[27] Aldo Colombo, nato a Torino il 28 agosto 1914, fu arrestato a Montechiaro (Asti) il 23 agosto 1944 da tedeschi e detenuto ad Asti, poi a Torino e da lì inviato al campo di Bolzano-Gries. Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz col convoglio del 24 ottobre 1944 venne immatricolato col numero B-13714, fu liberato ad Auschwitz il 27 gennaio 1945.


[28] Giuseppe Mortara, nato a Bologna il 6 luglio 1903, fu arrestato assieme al fratello Corrado a Casola Valsenio (Ravenna) il 10 aprile 1944 da italiani, detenuto a Imola e poi a Bologna e da lì inviato al campo di Bolzano-Gries. Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz col convoglio del 24 ottobre 1944 venne immatricolato col numero B-13727; ricoverato al “revier” di Monovitz per cancrena ai piedi non fu evacuato dal campo e venne liberato ad Auschwitz il 27 gennaio 1945, il fratello Corrado, dopo aver affrontato il trasferimento a Bergen Belsen, vi trovò la morte nell’aprile 1945.


[29] Cfr. Mauro Danesi, Frammenti e memorie di storia locale, Eroismi senza chiasso, in op. cit.


[30] Cfr. Mauro Danesi, Frammenti e memorie di storia locale, Eroismi senza chiasso, in op. cit.


[31] Cfr. Paolo Aresi, La missione delle Poverelle nei lager Luglio ’45, L’Eco di Bergamo 25 giugno 2010.