scheda completa

Manas Simone

Simone Manas, Rachele Lea Stern e le loro figlie


Treviglio


Scheda di famiglia e percorso di internamento: 


Simone Manas (IG) (o Simeone), nato a Galatz (Romania) il 25 settembre 1884, con la moglie Rachele Lea Stern (IG), nata a Tarnopol (PL)[1] l’11 settembre 1889, e le figlie Carlotta (IG), nata a Vienna (A) il 23 maggio 1910, e Cecilia (IG), nata a Vienna (A) l’11 luglio 1923; Charlotte (Carlotta) era in Italia dal 1931, gli altri giunsero in Italia a Milano l’8 ottobre 1938; Simone fu internato nel campo di Civitella della Chiana (AR), il  16 luglio 1940, il 28 gennaio 1941 fu inviato a Ferramonti, ma l’8 febbraio 1941 fu inviato ad Agropoli dove fu raggiunto da Rachele Lea e da Cecilia nei giorni successivi[2]; il 3 aprile 1941 venne ordinato il trasferimento dei Manas a Polla, dove furono raggiunti da Charlotte il 22 agosto 1941. A marzo 1942 vennero trasferiti a Treviglio dove giunsero prima del 13 marzo e dove erano presenti all’8 settembre 1943.

(Capitolo di riferimento: Gli “internati liberi” in provincia di Bergamo / Arrestati e deportati dal carcere di Bergamo / Fuggiaschi e clandestini)


L’Archivio Centrale dello Stato di Milano[3] contiene due distinti fascicoli relativi ai Manas uno intestato a Charlotte e uno a Simone e riguardano il periodo anteriore all’8 settembre, l’Archivio di stato di Bergamo uno, relativo alla confisca dei beni dei Manas nel 1944; notizie su Charlotte sono rintracciabili anche sul web. È la presenza di Charlotte che rende la storia dei Manas diversa da quella della maggior parte degli ebrei austriaci fuggiti dopo l’Anschluss: i fascicoli di Milano non sono solo la raccolta burocratica delle normali comunicazioni fra centro e periferia sul controllo di cittadini stranieri, ma offrono uno spaccato su come conoscenze e relazioni influivano sulle decisioni, anche ai massimi livelli, dell’apparato poliziesco fascista, per questo faremo una sorta di cronistoria del fascicoli e delle vicende che si dipanano attraverso il loro contenuto. Quello che ci raccontano le carte è però solo una parte della storia dei Manas, quella ufficialmente conosciuta dalla pubblica autorità, per il resto abbiamo solo i titoli e le date dei film di Charlotte, mancano elementi per coprire gli spazi vuoti e anche se quello che ci raccontano le carte di per sè costituisce il brogliaccio per un buon romanzo, non è certo questo il luogo dove scriverlo.


Simone Manas e la moglie erano da lungo tempo residenti in Austria, a Vienna, dove avevano avuto le loro cinque figlie: Charlotte, Stella, nata Vienna il 10 settembre 1912, Karoline, Blanka nata il 3 aprile 1916 e Cecilia.


Charlotte, la maggiore, aveva doti artistiche e cominciò ad affermarsi come attrice e cantante di teatro leggero; forse già nel 1931, nelle carte del ministero nel 1932, venne in Italia dove si affermò come attrice e cantante di varietà, il suo nome d’arte era Lotte Menas. Venne notata e ben presto venne chiamata a svolgere il ruolo di protagonista femminile in due film: “Kiki”, di Raffaello Matarazzo, con Nino Besozzi, che uscì sugli schermi il 1 gennaio 1934 e sempre nello stesso anno “Frutto acerbo”, di Carlo Ludovico Bragaglia, ancora con Nino Besozzi, con cui Charlotte instaurò un sodalizio artistico anche nel teatro di varietà. Nel 1937 un altro film “Eravamo sette sorelle”, di Nunzio Malasomma, ancora con Nino Besozzi, dove interpretò una delle sorelle. In quell’anno, subdorando quali potessero essere gli effetti di un forte inizio di propaganda antisemita da parte degli organi del regime, decise di battezzarsi e ricevette il battesimo nella chiesa di Santa Maria del Suffragio a Milano il 31 dicembre 1937; ricevette anche la cresima il 10 dicembre 1939. L’11-12 marzo 1938 le truppe tedesche occuparono l’Austria che il 13 marzo fu annessa al Reich; il 10 aprile un plebiscito con il 99,73% di consensi, percentuale poco credibile in libere elezioni, approvò l’annessione. Le persecuzioni antisemite, già iniziate prima dell’Anschluss, convinsero moltissimi ebrei austriaci a cercare riparo all’estero: Simone Manas, la moglie e la figlia minore Cecilia il 24 settembre 1938 chiesero al Consolato d’Italia di Vienna il permesso di ingresso per un mese per poter salutare la figlia Charlotte già in Italia per lavoro e poi proseguire per la Francia. Era appena stata pubblicata la prima delle leggi razziali: il R.D.L. 7 settembre 1938-XVI, n. 1381 “Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”, ma la richiesta, sostanzialmente di transito, venne accettata. Il 7 ottobre 1938 i Manas entrarono in Italia dal valico di Tarvisio. Anche altre due figlie lasciarono l’Austria: Stella, che aveva sposato Salomon Stern, lasciata l’Austria nel 1938 riuscì ad emigrare in Uruguay[4]; Blanka[5], che aveva sposato Oscar Pelzmann, nato nel 1911, fuggì col marito e la figlia di 3 anni in Italia nel 1938, ma non assieme ai genitori: le carte del fascicolo non accennano a loro. Dovettero però ritrovarsi in Italia, Oscar era medico, nel 1940 fu internato a Civitella della Chiana assieme a Simone, ma riuscì ad ottenere un visto per gli Stati Uniti[6] ed a partire. Di Karoline non abbiamo alcuna notizia.


Con le leggi razziali iniziarono anche i problemi per Charlotte: era ebrea e la sua permanenza in Italia trovò la diffidenza del ministero: una richiesta di prolungamento del permesso di soggiorno, avanzata il 15 ottobre 1938 dall’impresario teatrale Carlo Lombardi, che l’aveva scritturata come prima soubrette, si trascinò per le lunghe, il 25 novembre il Ministero della Cultura Popolare espresse dapprima un parere nettamente contrario a consentire l’esibizione di un’attrice ebrea, solo le pressanti insistenze di Lombardi, nonché le sue conoscenze, riuscirono a far cambiare parere al ministero: “non è possibile sostituire in breve tempo un’artista famosa e di valore”, questa la motivazione. Il 2 dicembre il Ministero dell’Interno concesse a Charlotte una proroga di 15 giorni[7]. Furono probabilmente queste difficoltà a spingere Charlotte a cercare lavoro in Francia, dove chiese alla Prefettura di Parigi il titolo di identità di apolide, rifiutando così l’identità di cittadina tedesca: il suo passaporto sarebbe scaduto solo alcuni mesi dopo, il 14 agosto 1940. Terminata la tournée Charlotte chiese ed ottenne il permesso di rientrare in Italia, passando la frontiera il 30 agosto 1939. A dicembre il Ministero dell’Interno respinse una sua richiesta di prolungamento del permesso di soggiorno, minacciando anche l’espulsione, Charlotte aveva però numerose risorse e conoscenze, la minaccia cadde nel vuoto, non solo riuscì anche a trovare nuove scritture: il 13 febbraio 1940 il Cav. Uff. Aulicino Eugenio, capo comico della Compagnia Molinari di Napoli, chiese un altro permesso di soggiorno per Charlotte, “di religione cattolica e razza ariana”, volendola scritturare da aprile a luglio. Nel 1940 Charlotte girò un altro film: “L’arcidiavolo”, che uscì nell’agosto, in cui interpretò il ruolo di Grazia. Il film fu girato a Roma, negli stabilimenti di cinecittà, Charlotte però non vi figurò con il suo solito nome d’arte di Lotte Menas, ma utilizzò un altro nome d’arte, Lilly Minas: l’altro era troppo famoso ed era improbabile che un’autorizzazione ministeriale sarebbe stata concessa a Lotte Menas, attrice ebrea, fu però concessa a Lilly Minas: l’aspetto di Charlotte era tipicamente germanico, sarebbe difficile non considerarla una giovane donna di “pura razza ariana”.


L’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940 provocò ulteriori problemi ai Manas: il 6 luglio 1940 il Ministero dell’interno ordinò l’internamento di Simone che venne destinato al campo di internamento maschile di Villa Oliveto a Civitella della Chiana (AR)[8], con lui venne internato il genero Oscar Pelzmann. La vicinanza del genero, medico, oltre che di conforto era di grande utilità per la salute non brillante di Simone che, poco prima del rilascio del genero (che aveva ottenuto il visto per partire per gli Stati Uniti con la moglie e la figlioletta di tre anni), chiese il 30 novembre 1940 la revoca dell’internamento per motivi di salute, non avendo più un’assistenza sanitaria adeguata. La richiesta di Simone venne respinta, anzi il Ministero dell’interno decise che ai problemi di assistenza si poteva ovviare internando l’intera famiglia, disposizione che venne data dal Ministero dell’interno il 17 gennaio 1941 con destinazione il nuovo campo di Ferramonti, attrezzato anche per accogliere gruppi famigliari.


Charlotte di fronte a questa prospettiva mise in moto le sue conoscenze, fra queste chi poteva far presente il suo caso ad un alto funzionario del regime: Leopoldo Zurlo[9] responsabile dell’Ufficio censura teatrale e degli spettacoli. L’intervento di Zurlo, se non poté ormai cambiare le cose, si tradusse perlomeno nell’individuazione di una destinazione migliore: non più il campo di concentramento di Ferramonti, ma il confino nel comune di Agropoli, bella cittadina della costa salentina, dove Simone, trasferito da Ferramonti, giunse l’8 febbraio; Rachele e Cecilia furono avviate con foglio di via da Milano ad Agropoli il 9, Charlotte invece si diede ammalata, non si mosse da Milano e chiese il rinvio dell’internamento di tre mesi per motivi di salute; il ministero ordinò una visita medico fiscale, il medico la dichiarò in grado di viaggiare, ma nel frattempo era passato un mese e Charlotte riuscì poi a trovare altri modi per tergiversare. 


Il trasferimento ad Agropoli dei Manas non fu gradito al controspionaggio di Napoli: Agropoli era sul mare e la presenza di tre ebrei stranieri, per definizione infidi e che quindi potevano diventare pericolose spie, non era ritenuta opportuna. Il 28 febbraio la Prefettura di Salerno ne chiese il trasferimento in un comune dell’interno. I Manas furono trasferiti a Polla, circa settanta chilometri all’interno.


Charlotte era riuscita a ritardare il proprio invio ad Agropoli ed aveva fatto richiesta del documento di identità di apolide: stava cercando di recarsi all’estero, fu ancora Zurlo ad intercedere per lei presso il Ministero dell’Interno per affrettare la pratica; anche Simone e gli altri famigliari si erano dati da fare per emigrare: il 12 maggio ricevettero l’invito a recarsi presso il Consolato Generale degli Stati Uniti di Roma per la visita medica connessa alla domanda di visto, l’autorizzazione ministeriale fu loro comunicata dalla Prefettura di Salerno il 4 giugno 1941.


Charlotte, grazie alle ripetute insistenze di Zurlo ricevette il 12 luglio il “Titolo di apolidia”, ma le informazioni intercorse fra il ministero e la Prefettura di Milano misero in evidenza un aspetto problematico della sua permanenza nel capoluogo lombardo: un appunto di datazione incerta probabilmente di giugno annota che Charlotte “è diventata l’amante di un uomo coniugato e turba la pace di una famiglia. Sollecitare Milano– Confermo da internare “, notizia che venne confermata dalla prefettura di Milano in data 15 luglio che, informando della concessione del documento di apolidia, aggiunse che Charlotte era “in rapporto con certo Baslini, non meglio identificato, dal quale riceverebbe i mezzi di sussistenza”. Un altro appunto, su foglio intestato “Il Capo della Polizia”, recante più note scritte e che per contenuti possiamo datare ai giorni precedenti il 13 agosto 1941 riporta “voleva da Zurlo il certificato di identità di apolidia, ecco fatto”, l’altra nota invece riporta “conferito con l’Ecc. il Capo allontanarla da Milano”, il 13 agosto partì da Roma l’ordine di internamento, il 22 Charlotte raggiunse la famiglia a Polla.


La vita in un paesino nell’entroterra salentino non confaceva a Charlotte e anche le condizioni di salute di sua madre e suo padre non trovavano adeguata assistenza in un paese di meno di 5.000 abitanti: Charlotte mise nuovamente in moto le sue conoscenze: a gennaio 1942 riuscì a far recapitare una lettera all’avvocato romano Nicolai mediante un uomo d’affari di Polla, evitando così la censura che l’avrebbe trasmessa al Ministero dell’Interno. Simone e Rachele avevano nel frattempo chiesto il trasferimento in una località dove Rachele potesse farsi operare e Simone trovasse un clima più adatto alla sua salute, possibilmente in Italia settentrionale; la richiesta venne trasmessa al ministero dalla Prefettura di Cosenza rafforzata con altri motivi: il podestà di Polla ne chiedeva l’allontanamento “avendo ivi contratto numerose amicizie”.


Il Ministero dell’Interno l’11 febbraio 1942 dispose il trasferimento dei Manas in provincia di Potenza, ma nel frattempo si erano messe in moto le conoscenze di Charlotte, non solo Zurlo, che chiese subito informazioni ai suoi riferimenti al ministero, ma anche Oreste Daffinà, giornalista, editore, personaggio in vista della cultura fascista, che nel 1929 come editore aveva curato il libro “Mussolini e il fascismo”, una raccolta di saggi di gerarchi di primissimo piano fra cui Alfredo Rocco, Italo Balbo, Giuseppe Bottai, Renato Ricci. Daffinà era una persona che poteva rivolgersi a Carmine Senise, il capo della polizia succeduto a Bocchini, iniziando la lettera con “Carissimo Carmine […] ti scrivo perché per ragioni di salute non posso venire a Roma”. La lettera è del 12 febbraio ed è protocollata al ministero il 14, in essa Daffinà lamentava l’ingiusto trattamento riservato a Charlotte “A parte che i precedenti della Menas come risulta da quanto è detto nel promemoria, dovrebbero escludere il suo internamento, concederle un cambio di residenza, come ella desidera nei pressi di Milano ritengo non debba essere cosa difficile”; i meriti di Charlotte sono descritti in un appunto allegato, vale la pena trascriverlo per intero[10]:

Manas Charlotte, apolide di razza ebraica, ma battezzata da oltre dieci anni, attualmente internata a Polla (Salerno). Di sentimenti italianissimi, che ha sempre ottemperato alle direttive fasciste, prestandosi ad ogni occasione per le opere di assistenza. Ha avuto la medaglia del P.N.F. per spettacoli di beneficenza e per l’offerta d’oro alla patria. Di ottima condotta: possono dare referenze su di lei il Gen. Preti, il Cons. Naz. Vecchini Rodolfo, l’Avv. Riboldi Luigi, l’Ecc.za Prenti ed altri. Nella nuova residenza che ha richiesto, presterà certamente osservanza piena alle disposizioni del Governo, cui ha sempre ottemperato con entusiasmo e con attaccamento all’Italia, come sua seconda patria.”


Mentre si dipanava la questione del trasferimento, Charlotte ricevette una visita a Polla: era l’industriale Raffaello Bellacasa che aveva chiesto il permesso di visitarla, permesso prontamente concesso grazie ancora all’intervento di Daffinà.


Il 2 marzo 1942 i Manas erano in partenza da Polla, la destinazione Treviglio, dove erano già giunti il 13 marzo 1942, data della comunicazione della prefettura di Bergamo al Ministero dell’interno. A Treviglio Charlotte ricevette ben presto un’altra visita di Raffaello Bellacasa, autorizzato a visitarla per “le premure” di Daffinà.

Nell’agosto 1942 uscì il film di Pina Renzi, attrice teatrale torinese che si sperimentava per la prima volta nella regia, “Cercasi bionda bella presenza”, Liselotte Von Grey era la bionda di bella presenza. “Complimenti!” recita una recensione di D. Calcagno sul n. 38 di “Film” del 19 settembre 1942, peraltro poco benevola nei confronti della regista. Liselotte von Grey compariva come nome di richiamo a grandi caratteri sopra il disegno della splendida bionda che recitava la parte di Laura, solo che Liselotte non era altri che Charlotte Manas. Il film era stato girato a Torino presumibilmente nella prima metà del 1942. Dalle carte nulla emerge di come Charlotte abbia potuto interpretarlo, visto il suo stato di internata, nasce il sospetto che l’interessamento di Daffinà e Bellacasa potesse aver avuto a che fare con la produzione del film, dove un’attrice tedesca, dal nome più “ariano” possibile non era altri che l’ebrea Charlotte Manas.


A gennaio 1943 si aprì un nuovo capitolo della storia dei Manas, quello di Cecilia, finora solo nominata: una raccomandazione, il destinatario era ancora Zurlo, contenente anche un appunto scritto a macchina che val la pena trascrivere per intero[11]:


Il Dottore chimico Gerardo Politi di Antonio – da Napoli –S. Liborio 73, conobbe a fine 1938 la Signorina Cecilia Menas di Simone da Vienna e con essa corsero rapporti sentimentali. Ora la Signorina è internata con la famiglia a Treviglio (Bergamo) ed essendo essa divenuta cattolica fin dal 1941 il Dott. Politi ha ottenuto in questo periodo, tramite S.E. il Cardinale Maglione, Segretario di Stato al Vaticano, il nulla-osta al matrimonio religioso, resosi necessario essendo divenuti i rapporti più intimi. In tale situazione, desiderando regolarizzare la propria relazione compatibilmente con le attuali disposizioni, si chiede che venga esaminata la possibilità di togliere la Signorina Menas dalla posizione di internamento.


Al dattiloscritto segue una nota a mano di Zurlo: “Caro Commendatore, c’è una via per accogliere questo desiderio? Chi si è rivolto a me assicura che l’interessato potrebbe rivolgersi anche al Cardinale Maglione affinché interceda. Ma io non so che cosa rispondere. Cordialissimi saluti. Leopoldo Zurlo”, un’altra mano ha scritto una data: 27 gennaio 1943.


Cecilia e Gerardo Politi si sposarono religiosamente il 30 gennaio 1943 nella chiesa di San Martino in Treviglio, il matrimonio fu celebrato dal parroco mons. Egidio Bignamini. Dall’atto di matrimonio, trascritto nei registri di Stato Civile del Comune di Treviglio al n. 124 il 13 ottobre 1945, risulta che Gerardo ha ventisei anni, è residente a Roma ed è di “razza italiana”, Cecilia ha vent’anni, è residente a Treviglio, è di “razza italiana”: le leggi sono cambiate, ma non ancora gli stampati dei registri che sono forzatamente risalenti agli ultimi mesi del 1944 e che non possono essere sostituiti prima della fine dell’anno.


Le sollecitazioni di Zurlo non rimasero inascoltate: in una minuta di lettera del 10 febbraio 1943 posta “alla firma dell’Eccellenza il Capo”, cioè Senise, si assicurava Mons. Malchionni, consigliere della Nunziatura apostolica, del benevolo interessamento del ministero. Il Centro Controspionaggio di Milano concesse il nulla osta, così pure la Prefettura[12] che però era contraria ad una destinazione nella propria provincia “data la mancanza di alloggi causata dallo sfollamento da Milano.” Con decine di migliaia di sfollati, erano i quattro ebrei a fare la differenza. A fine mese un nuovo sollecito di Zurlo al “Caro Com. Pennella”, probabilmente un alto funzionario del Ministero dell’Interno: “ricevo nuove premure per il proscioglimento della Signorina”. Zurlo non conosceva personalmente Cecilia, ma doveva avere a cuore chi lo sollecitava e chiese cosa poteva rispondere. Il 28 Marzo 1943 venne comunicato a Zurlo che l’internamento sarebbe stato revocato. La revoca effettiva, dopo vari passaggi per definire una nuova residenza, avvenne il 20 maggio 1943, Cecilia dovette però rimanere a Treviglio, non essendo possibile un trasferimento a Roma, permaneva l’obbligo di residenza e per allontanarsi doveva chiedere il permesso delle autorità, cessavano però le altre misure.


Una lettera della Questura di Bergamo del 23 luglio 1943, conservata nell’archivio del Comune di Serina, ci informa che, dietro sua richiesta, Cecilia era stata autorizzata a trasferirsi a Serina. Il perché di questa richiesta lo possiamo conoscere da una lettera di Gerardo Politi, purtroppo non sappiamo a chi indirizzata  (si tratta probabilmente di Zurlo), che ci fornisce informazioni sulla giovane coppia: l’urgenza del matrimonio, celebrato il 30 gennaio 1943, era dettata dal fatto che Cecilia era incinta, visto che al 16 agosto 1943 data della lettera, lei e Gerardo avevano già un figlio; i  problemi di salute del figlio avevano portano Cecilia a chiedere un trasferimento a Serina, dove il clima estivo e l’aria erano più salutari, i tempi burocratici erano stati lunghi e le condizioni di salute del piccolo erano peggiorate, fino a far temere per la sua vita. Il Politi chiese quindi di intercedere perché fosse data la possibilità “a questa mia piccola famiglia di vivere insieme, specialmente in questi terribili e difficili momenti, lasciando a mia moglie la libertà di seguirmi, di essermi il più possibile vicina con il bimbo per ogni qualsiasi evenienza e necessità.” Gerardo era un ufficiale dell’esercito di stanza a Roma, era quindi bene informato su come si stava evolvendo la situazione: il 10 luglio gli alleati erano sbarcati in Sicilia, il 25 luglio Mussolini si era dimesso ed era stato arrestato, la guerra continuava, ma il 17 agosto gli alleati erano a Messina. La penisola era ormai prossima all’invasione, Gerardo ne era pienamente cosciente e voleva avere la sua famiglia vicino. Zurlo ancora una volta si interessò e scrisse al “Commendatore” presso il Ministero dell’Interno girandogli la lettera e comunicandogli che nel frattempo aveva sentito il Politi che non aveva ancora individuato una nuova residenza possibile per la moglie, ma che desiderava una località in Abruzzo, visto la pericolosità della Campania in questo periodo. L’intercessione di Zurlo ebbe ancora una volta effetto: il 30 agosto 1943 venne comunicato a Zurlo che era stato revocato l’obbligo di residenza per Cecilia. L’ultima comunicazione relativa a Cecilia è del 18 settembre 1943: la Prefettura di Bergamo le chiedeva di indicare una nuova residenza non militarmente importante.


Scheda di deportazione


Simone Manas (IG) (o Simeone), nato a Galatz (Romania) il 25 settembre 1884, deceduto a Treviglio il 30 gennaio 1944[13].


Rachele Lea Stern, nata a Tarnopol (Polonia) il 11 settembre 1889. Deceduta in luogo ignoto dopo il 16 agosto1944. 


Arrestati a Treviglio nel dicembre 1943.


I due arrestati vengono detenuti nel carcere di Treviglio, dove Simone Manas muore per emorragia celebrale. Rachele viene poi inviata al carcere di Milano e successivamente al campo di Fossoli e da lì il 22 febbraio 1944 deportata con il convoglio 08 che giunge ad Auschwitz il 22 febbraio 1944.


Deportati identificati 510 di cui reduci 24, deceduti 486.


Con l’avvento della RSI l’ordinata successione burocratica delle carte del fascicolo della famiglia Manas, che ci ha permesso di ricomporne la storia, si interrompe. Di Cecilia e Charlotte non abbiamo più notizie dirette, ma probabilmente si allontanarono entrambe da Treviglio: quando ai primi di dicembre del 1943 i militi si presentarono all’appartamento dei Manas in via Calvenzano 4 arrestarono solo Rachele e Simone. Nel carcere di Treviglio i Manas rimasero almeno due mesi, l’ultima lettera del fascicolo, del 2 febbraio 1944, era indirizzata al Ministero dell’Interno dalla non più Regia Prefettura di Bergamo: lo stemma dei Savoia e la parola Regia erano pecettate in nero, ma data la carenza di carta, si usava ancora la vecchia carta intestata. La lettera informava che il 30 gennaio 1944 Simone Manas “è deceduto nelle carceri di Treviglio ove trovavasi in attesa di essere internato in campo di concentramento[14], il decesso avvenne in piazza Setti n. 4[15]. Sappiamo da altre fonti che la sua morte fu dovuta a emorragia celebrale[16], dato il suo stato di salute può essersi trattato di un fatto naturale, anche se la detenzione e la carenza di assistenza ebbero sicuramente la loro importanza, ma proprio questa causa non permette di escludere eventi diversi: non sempre gli arresti e il trattamento in carcere erano svolti senza l’uso della violenza.


Rachele venne trasferita al carcere di Milano, poi al campo di transito di Fossoli, da lì partì per Auschwitz il 22 febbraio 1944, morì in luogo e data ignoti dopo il 16 agosto 1944.


Il fasc. n. 38 del faldone Beni Ebraici dell’Archivio di Stato di Bergamo ci fornisce una indicazione sulla sua residenza a Treviglio: Via Calvenzano 4, la documentazione riguarda il sequestro e la confisca dei beni dei Manas, il decreto di confisca è il n. 4547 del 20 maggio 1944. La descrizione dei beni del defunto Simone la troviamo in un elenco del 21 ottobre 1944 avente per oggetto: “beni già di proprietà ebraica da assegnare agli sfollati sinistrati” i beni sono imballati in 2 bauli e 3 casse, si tratta di arredi e biancheria, sembrano il corredo di un uomo, e più donne, probabilmente sia di Charlotte sia di Cecilia, oltre che di Rachele, e “4 camiciole da bambino”, il figlio di Cecilia. I mobili della loro abitazione sono stati concentrati in un magazzino in via Calvenzano 22, oltre ad essi una macchina da scrivere, un apparecchio radioricevente, una bicicletta da donna e dell’argenteria[17].


Cecilia e Charlotte Manas invece si salvarono, non abbiamo notizie precise, Charlotte però si trovava a Roma subito dopo la liberazione della città, e vi era giunta probabilmente prima, Cecilia dopo la revoca dell’obbligo di residenza potrebbe a sua volta aver preso la strada verso il sud per raggiungere Gerardo, ma non abbiamo sue notizie fino al novembre del 1953, quando venne iscritta all’anagrafe di Polla proveniente da Napoli, comune di nascita di Gerardo. Il matrimonio con Gerardo ad un certo punto deve essersi esaurito: il 3 marzo 1972 il Comune di Treviglio annota sull’atto di matrimonio la domanda di scioglimento effettuata da Gerardo a Napoli, scioglimento che verrà sancito nel luglio dello stesso anno come attesta la successiva annotazione in data 30 luglio 1972: l’1 dicembre 1970 era stata approvata la legge n. 898 “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, ed è probabile che la separazione reale fosse avvenuta tempo prima. Cecilia, non sappiamo in quale data, si era trasferita negli Stati Uniti, probabilmente con il figlio ora residente a New York, curioso comunque il fatto che Cecilia nella scheda di segnalazione della madre allo Yad Vashem datata 8 gennaio 1992 si firmi Cecilia Politi.


Il 28 novembre 1944 uscì il film “Il fiore sotto gli occhi”, di Guido Brignone, con Claudio Gora, Mariella Lotti e, in una parte secondaria Liselotte Von Grey, che interpretò “la donnina con la voglia di cioccolato”, il film fu realizzato negli studi di Cinecittà. Roma era stata liberata il 4 e 5 giugno 1944, dopo quella data sarebbe stato molto difficile e pericoloso raggiungerla dal nord, è quindi probabile che Charlotte dopo l’8 settembre, o comunque prima del 30 novembre 1943, si sia portata a Roma sperando di potersi mettere al sicuro. Il suo aspetto, decisamente non semitico e l’identità di Liselotte von Grey, per cui non dovrebbe aver troppo faticato a procurarsi documenti falsi, potrebbero avergli procurato una relativa sicurezza. Sono solo ipotesi: non avendo la data di inizio delle lavorazioni, svolte interamente negli studi di Cinecittà, possiamo dare per certo solo il fatto che Charlotte abbia cercato la salvezza sulla via del sud, protetta dalla rete delle sue amicizie.






[1] Tarnopol, oggi Ternopil in Ucraina, è una città polacca passata a far parte della Galizia austriaca dopo la spartizione della Polonia fra Russia e Austria nel 1772, tornata sotto la sovranità polacca nel 1921 dopo il primo conflitto mondiale e il conflitto sovietico-polacco e assegnata all’Ucraina dopo la seconda guerra mondiale. 


[2] Il foglio di via per Agropoli della Prefettura di Milano è loro consegnato il 9 febbraio 1941. 


[3] ACS Mi, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Archivio generale Ufficio internati, internati stranieri e spionaggio 1939-1945, faldone A4 bis, busta/fascicolo 228, d’ora in avanti ACSMi, faldone A4 bis fasc. 228.


[4] Stella Manas muore il 22 dicembre 2005 a Montevideo in Uruguay. Le notizie su Stella sono state comunicate dal nipote Ebbo Steiner in una e-mail all’autore in data 3 febbraio 2014, archivio personale di Silvio Cavati.


[5] Blanka Manas muore il 28 luglio 1997 negli Stati Uniti. Né Oscar Pelzmann né Blanka compaiono nell’Indice generale degli internati.


[6] La notizia è contenuta nella richiesta di revoca dell’internamento per motivi di salute presentata da Simone in data 30 novembre 1940 proprio a causa della prossima partenza del genero, medico e quindi in grado di assisterlo.


[7] ACSMi, faldone A4 bis fasc. 228, il fonogramma di autorizzazione del Ministero dell’Interno in data 2 dicembre 1938 porta la firma “Capo della Polizia” e sotto con altra grafia Bocchini, è interessante notare come una pratica apparentemente di così poco conto sia invece stata trattata al più alto livello della burocrazia repressiva dell’apparato fascista: Arturo Bocchini, nato a San Giorgio del Sannio (BN) il 12 febbraio 1880, dopo una carriera come prefetto in più province in cui si era distinto per l’appoggio dato alle formazioni fasciste, viene chiamato nell’ottobre 1926 al vertice della Direzione della Pubblica Sicurezza, da cui provvide ad organizzare l’apparato di repressione e spionaggio politico del regime. Morì a Roma il 22 novembre 1940.


[8] Il campo di Civitella della Chiana, con una capienza di 70 posti fu ricavato in una casa padronale ottocentesca: Villa Oliveto, già Villa Mazzi, edificio già utilizzato come campo di addestramento per gli ustascia croati e dal giugno 1940 per l’internamento di stranieri e elementi politicamente pericolosi. http://www.storiaememorie.it/villaoliveto/ShedeCampi/VillaOliveto.htm


[9] Leopoldo Zurlo, nato a Campobasso nel 1875, nel 1931 viene chiamato a presiedere l’Ufficio censura teatrale e degli spettacoli del regime, incarico che lascerà dopo l’8 settembre 1943, quando rifiuterà di aderire alla RSI.


[10] La lettera di Oreste Daffinà è autografa e scritta da Sanremo, il tono non è formale, ma colloquiale e amichevole, ad essa è allegato la nota a macchina relativa a Charlotte.


[11] Il foglio contiene anche una data scritta a mano: 27/1 seguita dalle parole “Urgente conferito”, presumibilmente una nota dell’alto funzionario del Ministero dell’Interno a cui la missiva era destinata.


[12] Lettera della Prefettura di Milano al Ministero degli interni del 3 marzo 1941.


[13] Comune di Treviglio, Anagrafe. Una lettera della Prefettura di Bergamo al Ministero dell’Interno in data 11 febbraio 1944, ACSMi, faldone A4 bis fasc. 228, comunica la notizia della morte di Simone Manas nel carcere di Trevigilio.


[14] ACS Mi, faldone A4 bis fasc. 228, Manas Simone.


[15] Comune di Treviglio, stato civile, registri di morte anno 1944 atto n. 25.


[16] Comune di Treviglio, Anagrafe.


[17] ASBg, Gab. Pref. b.e.1 fasc. 38.