scheda completa

Formiggini Lidia

Lidia Formiggini


Bergamo


Scheda di famiglia


Lidia Formiggini, nata nel 1905[1], coniugata con Emilio Levi il 18 luglio 1943, Franco Levi, nato a Bergamo il 9 maggio 1944.

(Capitolo di riferimento: Fuggiaschi e clandestini)


Lidia Formiggini era un’ebrea milanese, si era da poco sposata con Emilio Levi e aspettava un figlio, il 7 dicembre 1943, racconta il figlio Franco, era uscita con la madre Claudina Foà per recarsi ad una visita medica. Al ritorno nei pressi dell’abitazione, qualcuno le fermò e le avvisò[2]


“Scappate! È passata la camionetta delle SS a prendere i vostri!”. I nostri! Mio padre, zio Ugo Levi, suo fratello, e la loro mamma, Elena Nella Segrè Levi. “Fra dieci minuti ritorna, se non fuggite prendono anche voi.” Quindi mamma Lidia e nonna Claudina sono andate dai partigiani e dai preti, e, tra un documento falso e l’altro, sono riuscite a cavarsela. Per fortuna, nonostante le soffiate che non mancavano mai, nella mia Bergamo c’è stato chi si è fatto picchiare tante volte per non dire dove si trovassero. Dove ci trovassimo.


Emilio Levi, il marito di Lidia era nato a Milano il 18 agosto 1901, era figlio di Giuseppe e di Marianna Fanny Nella Segré, nata a Livorno il 25 aprile 1876, con loro si trovava anche suo fratello minore Ugo Levi, nato a Milano il 23 novembre 1908. Un bombardamento alleato aveva danneggiato la loro casa e li aveva costretti a trasferirsi, avevano affittato un appartamento in via Privata Ozieri 3, dove pensavano di essere al sicuro e che nessuno li conoscesse. Il loro arresto a Milano il 7 dicembre 1943 era stato il frutto della delazione di un informatore dell’OVRA. I Levi furono condotti al carcere di Milano e da lì deportati ad Auschwitz il 30 gennaio 1944. Il convoglio arrivò al campo di sterminio il 6 febbraio 1944. La madre Marianna venne subito uccisa, Emilio e Ugo furono uccisi in data ignota.


Franco nacque a Bergamo all’ospedale Principessa di Piemonte[3] il 9 maggio 1944 e fu registrato come Franco Verga, figlio di Daria e di NN, all’atto n. 41 parte II serie B, dei registri di stato civile del comune di Bergamo. Daria Verga era la falsa identità riportata sui documenti di Lidia.


Non ci è noto perché e come Lidia sia giunta a Bergamo, ma i documenti falsi non bastarono a garantire la sua clandestinità: scoperta venne portata nel carcere di Sant’Agata. 


Barbara Curtarelli nella scheda dedicata a don Carlo Agazzi riferisce: “Riuscì a far ricoverare in ospedale l’ebrea Lidia Levi, incarcerata con altre donne ebree e con il figlio a Sant’Agata, e poi la nascose prima presso le suore Domenicane di via Tassis e poi dalle suore del Buon Pastore.[4]


Don Carlo Agazzi era il direttore dell’oratorio del Seminarino in Città Alta, nelle soffitte dell’oratorio aveva nascosto giovani renitenti alla leva, antifascisti, ebrei ed aveva anche ospitato riunioni del CLN. In un suo scritto così ha reso lo stato d’animo di quei periodi[5]:


Ci si alzava al mattino senza sapere se la sera avremmo potuto ricoricarci nel nostro letto e ci si addormentava la sera senza sapere se avremmo dormito fino al mattino. Era la perquisizione, l’arresto, il carcere, la deportazione, la morte, che incombevano ad ogni istante su tutti.


La nuova clandestinità non fu scoperta e dopo la liberazione Lidia e il figlio Franco, poterono tornare a Milano. Racconta ancora Franco[6]:


Nel 1946 mamma Lidia è andata a informarsi al Commissariato di via Carlo Poma. Lì ha visto la denuncia: la soffiata era partita da un certo signor Ferrari. Questi aveva frequentato corsi di spionaggio dell’OVRA presso il distretto di via Mascheroni: tre settimane, libro e deschetto spione perfetto … Quel signore non era un self made man. Aveva fior di burattinai istruttori e manager mandanti.


Il 26 aprile 1945, dalle parti di piazzale Susa, alcuni sconosciuti, al grido “Noi siamo gli antifascisti e quel Ferrari è una spia dell’OVRA”, hanno spaccato la testa al Ferrari sul cordolo del marciapiedi. Così, Ferrari non ha più potuto raccontare chi erano i suoi soci, complici, superiori mandanti. Questo succede quando c’è la pena di morte, magari sommaria. 






[1] L’anno di nascita di Lidia Formiggini è stato desunto dalle informazioni contenute nell’atto di nascita di Franco, dove però compare col falso nome di Lidia Verga, non è quindi escluso che anche gli anni attribuiti non siano esatti. Comune di Bergamo, Stato civile, anno 1944 atto n. 41 p. II.


[2] Cfr. Stefano Ranieri e Dario Venegoni, a cura di, Nuovi testimoni dei Lager – Figli e nipoti di deportati raccontano, ANED, Libri online, p. 45, http://www.deportati.it/wp-content/static/upl/nu/nuovi-testimoni1.pdf, e a stampa per Mimesis Edizioni (Milano – Udine), 2010.


[3] Poi denominato Ospedale Maggiore ed infine Ospedali Riuniti.


[4] Cfr. Barbara Curtarelli, Ho fatto il prete – Il clero di Bergamo durante l’occupazione tedesca (settembre 1943 – aprile 1945), Centro Studi Valle Imagna, Bergamo, gennaio 2018, p. 234. Il Seminarino, situato in via Tassis, 12 a Bergamo, è un ampio edificio del tardo cinquecento che aveva ospitato per 250 anni il seminario vescovile di Bergamo ed era poi diventato l’oratorio di Città Alta. Il convento delle suore domenicane è situato accanto al Seminarino, mentre quello delle suore del Buon Pastore è in via Porta Dipinta, sempre in Città Alta.


[5] Unione ex alunni del Seminarino, Ogni Bene. Scritti minimi di don Carlo Agazzi da Il Seminarino 1933-1964, Litostampa Istituto Grafico, Gorle (BG), p. 73.


[6] Cfr. Stefano Ranieri e Dario Venegoni, a cura di, Nuovi testimoni dei Lager, op. cit., p. 46.