scheda completa

Orefice Ezio

Ezio Orefice 


Bergamo


Scheda di famiglia


Ezio Orefice, nato a Venezia il 23 febbraio 1892, la moglie Antonietta Nosari, non ebrea, nata a Romano di Lombardia il 10 dicembre 1897, i figli Vittoria, nata a Romano di Lombardia il 14 novembre 1922 e Emanuele, nato a Bergamo il 28 novembre 1928.

(Capitoli di riferimento: Il censimento degli ebrei nella provincia di Bergamo / Le conseguenze a Bergamo / Fuggiaschi e clandestini)


L’Eco di Bergamo il 30 aprile 1937 dedicò alle celebrazioni per l’istituzione di un premio intitolato ad Antonio Locatelli, da poco caduto sul fronte etiopico, un breve articolo titolato “In onore di Antonio Locatelli al R. Istituto Magistrale”:


Il Preside, dr. Ezio Orefice, dopo d’aver spiegato il significato della cerimonia e di aver ricordato brevemente le benemerenze di A. Locatelli, assicurò Mamma Locatelli della spontaneità della manifestazione e la pregò di ripetere le parole dettele dal Duce alla consegna della terza medaglia d’oro, il che avvenne fra l’intensa commozione degli astanti.


Non erano ancora uscite le leggi razziali e Ezio poteva anche vantare una conoscenza personale con l’aviatore bergamasco, con cui aveva condiviso il campo di prigionia di Sigmundsherberg nella prima guerra mondiale[1].  


Le leggi razziali cambiarono la sua vita e le sue idee: Ezio, insegnante di lettere, decorato di guerra, patriota e nazionalista, monarchico, ma anche fascista, amico di Antonio Locatelli, preside dell’Istituto Magistrale, fu collocato forzatamente a riposo, come attesta anche la pensione che gli venne erogata a partire dal 1 dicembre 1938[2]. La sua storia e il suo diario di prigionia ci aiutano a comprenderne la personalità.


Ezio era nato a Venezia[3] il 23 febbraio 1892, il padre Marco lavorava nelle ferrovie, nominato capostazione a Melegnano (MI) vi si era trasferìto con la famiglia. La famiglia di Ezio, pur essendo entrambe i coniugi di origini ebraiche, non era religiosa ed anche Ezio crebbe senza un’educazione religiosa; completate le scuole medie frequentò a Milano il liceo Parini dove maturò la sua passione per le lettere e l’insegnamento: una zia, farmacista a Sondrio, lo sollecitò a iscriversi a farmacia, promettendo di lasciargli l’esercizio, preferì iscriversi alla Regia Accademia di Scienze e Lettere di Milano, dove si laureò il 23 dicembre 1915. 


Dopo lo scoppio della guerra fu chiamato alle armi l’1 giugno 1915 e inviato come allievo alla scuola militare di Modena, dove conseguì la nomina a sottotenente di complemento degli alpini il 15 settembre 1915. Fu assegnato al 6 Reggimento alpini per il servizio di prima nomina in territorio dichiarato in stato di guerra presso il battaglione “Val Leogra” il 27 settembre 1915, il 1 dicembre 1915 venne trasferito al battaglione “Monte Berico”, dislocato in Val Grande. Val la pena notare che Ezio Orefice, contingente 1912 e ammesso al ritardo alla chiamata per studi, venne arruolato prima del completamento degli studi e si laureò quando era già in servizio, mentre avrebbe potuto chiedere il rinvio fino alla laurea.


Terminata il 27 giugno 1916 l’offensiva austriaca sugli altopiani di Asiago, il Monte Berico venne trasferito sul fronte del Pasubio e fu durante la preparazione di un’azione offensiva il 13 luglio 1916 che Ezio venne ferito. Racconta il figlio che suo padre, incaricato di predisporre posizioni per mitragliatrici ed essendo l’avanzata della sua squadra impedita dal tiro di un cecchino, attirò su di sé il fuoco del tiratore austriaco per consentire ai suoi uomini di superare il tratto scoperto e raggiungere le posizioni. La pericolosa manovra non durò a lungo e Ezio venne ferito al collo, fortunatamente senza che la pollottola ledesse organi vitali. Gli venne concessa la Croce al Valor Militare, con la seguente motivazione: “Con ardimento e sprezzo del pericolo conduceva al fuoco colle sue pistole mitragliatrici per la conquista di un caposaldo nemico rimanendo gravemente feritoVal Grande (Posine), 13 luglio 1916[4].”


Il soggiorno negli ospedali militari non fu breve, Ezio rientrò in servizio attivo solo il 30 gennaio 1917, ma per alcuni mesi con compiti di retrovia, solo il 29 novembre 1917 venne nuovamente assegnato al Monte Berico, nuovamente dislocato sull’altopiano di Asiago per contenere l’offensiva austriaca che cercava per questa via di aggirare la linea del Grappa. Il battaglione doveva presidiare assieme al Vicenza il Monte Badenecche, ma lo sfondamento avvenuto sull’ala sinistra costrinse alla ritirata. Le circostanze della cattura sono state raccontate da Ezio Orefice nel suo diario[5]:


L’ordine di ritirata ci comandava di scendere in Val Capra e dirigerci verso Valstagna, tenendoci non sulla strada, ma a mezza costa, e sempre in ombra. […] I soldati mi seguivano abbastanza ordinatamene: trovato il maggiore Campini del Battaglione Vicenza col suo aiutante maggiore, tenente Mambelli e il tenente Volpatti, con alcuni porta ordini, mi posi in coda. Quindi io coi miei uomini, ero ultimo di tutti e dovevo proteggere la ritirata generale.


Ma la situazione era confusa, a tratti non si riusciva nemmeno a capire se le truppe che si vedevano erano nemiche o amiche:


A un tratto rimasi come colpito da un fulmine: intorno alle case c’erano degli austriaci con una mitragliatrice: altre mitragliatrici si udivano sparare dall’alto. Pensai subito di gettarmi a terra, fingermi morto e aspettare le circostanze: d’altro canto volevo proseguire la ritirata: rimasi un momento indeciso. Quando avevo stabilito di cercare di fuggire, era troppo tardi: un soldato austriaco aveva già puntato il fucile contro di me e mi apostrofava nella sua lingua; capii che mi intimava la resa. Tutto era finito.


L’umiliazione per la prigionia fu cocente per Ezio, esacerbato anche dal trattamento, a suo giudizio poco rispettoso delle sue prerogative di ufficiale, che gli riservavano gli austriaci. Ancor più però venne colpito dall’attegiamento di altri ufficiali prigionieri con cui venne rinchiuso per alcuni giorni nel castello di Trento, che sembravano quasi sollevati dallo stato di prigionieri[6]:


[…] e questa incoscienza, questa inesperienza, a cui soprattutto dobbiamo e la presente e le passate sciagure, sono in tutti i suoi colleghi: non è in loro la prostrazione, I’avvilimento da cui, per esempio, mi sento sopraffatto io; non è in loro I’accorato rimpianto di ciò che è avvenuto, né paiono essi sentire I’umiliazione del trattamento poco riguardoso loro usato. Chi si vanta di aver fatto più del loro dovere, e rimprovera ad altri di non aver fatto quello che si doveva; chi giudica “Così andava fatto, così non andava fatto!”; no, no, nessuno ha fatto del tutto il suo dovere: e questo lo dico anche per me: nessuno ha compiuto intero il suo dovere: morire si doveva, combattendo fino all’ultimo.


Trento non fu che una tappa, fu trasferito al campo di Franzensfeste (Fortezza, BZ), poi a quello di Harth, in cui restò fino al 9 aprile 1918 quando venne trasferito a Sigmundsherberg dove rimase fino alla pace e al rimpatrio.


Il diario si ferma all’arrivo a quest’ultimo campo, non è questo il luogo per soffermarci sulle condizioni dei prigionieri di guerra italiani in un’Austria che quasi non riusciva a nutrire il proprio esercito e che non aveva perdonato quello che aveva considerato un tradimento. Del diario ritengo utile per la comprensione del carattere di Ezio Orefice riportare un brano del 2 gennaio 1918 quando, a seguito dell’invito di un superiore a rendersi disponibili ad iniziative per impegnare il tempo dei prigionieri, Ezio dapprima non ebbe idee[7]


Poi mi balenò alla mente il pensiero di una conferenza intorno al “nostro dovere”, sia in questo luogo, sia al nostro ritorno in patria. L’intento mio è dimostrare come noi dovremo contribuire con tutte le nostre forze alla formazione di una coscienza nazionale molto più salda che non avessimo; come noi dovremo combattere l’assenteismo dalla vita politica, che origina la fiacca politica dell’ultimo cinquantennio, come si debba cercare che altri, saldi, nuovi criteri informino la scuola, il governo, l’esercito, tutto l’organismo complesso dello Stato. Dovrò dire cose molto spiacevoli per molti dei miei ascoltatori (e specialmente per i miei superiori), ma voglio trovare l’energia e il coraggio di farlo. 


Pure interessante è un’altra annotazione dello stesso giorno

Sono venuti ora a chiedere se ci sia qualche ufficiale di religione israelita o protestante: chissà perché? Io, sebbene non segua nessuna religione, mi sono dato in nota per la religione israelitica.


Dalle pagine del diario si riscontra inoltre il crescere di un vero astio nei confronti del nemico, che non solo li affama, ma spesso riserva loro un trattamento che Ezio ritiene umiliante, in particolar modo per un ufficiale: doveva essere vivo in lui un codice d’onore, nutrito anche dagli studi letterari, che doveva riguardare tutti gli ufficiali, indipendentemente dall’appartenenza nazionale.


Rientrato in Italia il 19 novembre 1918, come molti ufficiali, venne trattenuto alle armi fino al 21 settembre 1919 quando venne posto in congedo. La sua carriera militare di ufficiale di complemento non terminò però con la guerra: il 18 luglio 1920 venne nominato capitano.  


Ormai congedato, Ezio potè iniziare la sua carriera di insegnante di lettere, forse a Romano Lombardo dove nel 1920 si sposò con Antonietta Nosari. 

Racconta il figlio Marco:


Politicamente, come alpino, come ufficiale del re, dei Savoia, avendo fatto tutta la guerra, era un monarchico nazionalista direi, e tale rimase sempre. In un primo tempo probabilmente fu attirato dagli inizi del fascismo, da Mussolini, in quanto che aveva riportato un certo ordine nel caos che c’era a quel tempo in Italia, ma appena si intravidero altre prospettive, di guerra e di alleanze con i tedeschi e cose varie prese immediatamente le distanze da tutto.


Uomo d’ordine, monarchico, patriota e nazionalista, Ezio venne attratto da Mussolini e si iscrisse ben presto al PNF, non abbiamo date di questa iscrizione, ma dovette essere già nei primi anni dell’avvento al potere di Mussolini se la cognata, in un esposto datato 10 maggio 1944 contro la confisca dei beni dei suoi figli, a sostegno della richiesta, afferma “l’arianità” dei figli di Ezio e poi ne ricorda oltre ai meriti militari, quelli politici: “ed iscritto al Partito Fascista dai primordi”[8], dato allora facilmente verificabile.


Nel 1927 si stabilì a Bergamo dove fu tra i fondatori della sezione bergamasca dell’UNUCI[9]. Il 30 dicembre 1930 si trasferì a Pisino (penisola istriana) e poi a Imola, è probabile che questi spostamenti corrispondano alle diverse cattedre ricoperte da Ezio Orefice. Rientrato a Bergamo alla fine del 1936 assunse l’incarico di preside del Regio Istituto Magistrale.


Un altro articolo di “L’Eco di Bergamo” del 17 dicembre 1937 in occasione della festa di S. Cecilia al magistrale cita “il preside, Maggiore prof. Ezio Orefice [10], una promozione di grado come ufficiale in congedo. I riconoscimenti per Ezio non si fermano alle promozioni, dalla Gazzetta Ufficiale apprendiamo che “S.M. il Re Imperatore, sentita la Giunta degli Ordini dei SS. Maurizio e Lazzaro e della Corona d’Italia, sulla proposta del Capo del Governo, Primo ministro Segretario di Stato e del Ministro Segretario di Stato per l’Educazione nazionale. Si compiacque nominare con decreti in data Roma 20 aprile 1938-XVI” a cui fa seguito l’elenco delle persone nominate, alla voce “Cavaliere” troviamo “Orefice prof. Ezio, preside Regio Istituto magistrale”. 


Tutto questo non valse a salvarlo da quello che il fascismo aveva decretato essere una tara irreversibile e irriscattabile: l’essere nato ebreo. L’anno scolastico 1938-39 della scuola magistrale si aprì con un nuovo preside: il R.D.L. 5 settembre 1938 n. 1390 aveva ordinato l’esclusione degli insegnanti di razza ebraica dalle scuole del regno. Ezio Orefice, che aveva perlomeno maturato un minimo di anni utili per la pensione, venne forzatamente  collocato a riposo[11].


Non sappiamo come Ezio reagì alla nomina a Cavaliere, ne sarebbe stato sicuramente contento se non fosse che il decreto era stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale[12], e quindi reso esecutivo, il 2 novembre 1938-Anno XVII, quando ormai Ezio era stato privato del suo incarico. 


Racconta Marco:


Mi è stato riferito dai miei fratelli che dovette arrangiarsi per sopravvivere e infatti faceva lezioni private o curava le bozze di stampa di libri di latino o di greco, questo per tirare avanti. 


Il 1 gennaio 1942 Ezio venne promosso tenente colonnello di complemento. L’art. 10 del R-DL 17 novembre 1938 – XVII, n. 1728 prescriveva che “I cittadini italiani di razza ebraica non possono: prestare servizio militare in pace e in guerra” e l’art. 13 che “Non possono avere alle proprie dipendenze persone appartenenti alla razza ebraica: a) le Amministrazioni civili e militari dello Stato”; dopo poco furono approvate le norme che disciplinavano l’esclusione dall’esercito dei militari ebrei: il R-DL 22 dicembre 1938, n. 2111 (convertito il 2 giugno 1939 in legge n. 739), “Disposizione relative al collocamento in congedo assoluto ed al trattamento di quiescenza del personale militare delle Forze armate dello Stato di razza ebraica”: si trattò di una promozione con decorrenza 1942 concessa dopo l’abrogazione delle leggi razziali o, come spesso succede per un qualche buco legislativo, concessa realmente in tale data? Non siamo riusciti ad appurarlo.


Il 13 febbraio 1942 la vita di Ezio venne rattristata dalla morte della moglie Antonietta Nosari.


Ad aiutarlo in quei tristi giorni venne la sorella Lucia, che in quell’occasione conobbe una studentessa che prendeva lezioni di latino dal fratello, Maria Camilla Marcassoli, una ragazza che risulterà fondamentale per la salvezza di Lucia dopo l’8 settembre.


Le leggi razziali avevano messo in discussione l’adesione di Ezio al regime, ma un ulteriore fatto ne sancì il definitivo distacco, difficile collocare l’episodio nel tempo: numerose furono le disposizioni amministrative di divieto che infierirono sulle condizioni degli ebrei emanate nei primi anni 40, ma prima dell’ordine di arresto e sequestro dei beni degli ebrei del 30 novembre 1943, non una proibiva il possesso di automezzi. Si può supporre quindi che il sequestro dell’automobile e della motocicletta di Ezio fosse dovuta o ad una confisca per necessità belliche o ad una misura di sicurezza di guerra, presa in quanto ebreo per impedire movimenti che non potesse essere facilmente controllati dalle autorità: un’offesa intollerabile per il patriota Ezio Orefice. Racconta Marco:


Arrivò una mattina una pattuglia, all’epoca abitava in Città Alta in via Tre Armi, che gli confiscò l’auto e la moto. Mio padre la prese male, molto male, perché, ritenendo di avere sempre fatto il suo dovere nei confronti della sua patria come ufficiale al corso, come studente universitario, come ufficiale degli alpini, ferito, prigioniero e comunque sempre ligio ad un discorso di fedeltà ed onore, vedersi portare via automobile e motocicletta, non tanto per il valore intrinseco dei due mezzi, ma per l’offesa che veniva fatta, tant’è vero che anche dopo la guerra, pur potendo permettersi di acquistare un’altra auto, non lo volle mai fare proprio perché era rimasto il segno di questa cosa.


Dopo l’8 settembre e l’arrivo dei tedeschi Ezio[13] comprese di essere in una situazione di pericolo, decise quindi di provare a raggiungere, con i figli Emanuele e Vittoria, le zone liberate dall’avanzata degli anglo-americani. Raggiunta in treno Rimini, proseguì con mezzi di fortuna fino ad Ascoli Piceno, ma lì si dovette fermare: il fronte si era stabilizzato sulla linea del Volturno ed era troppo pericoloso cercare di superare le linee tedesche. Ad Ascoli lo aiutarono dei conoscenti: i Cingoli Foa, una famiglia di ebrei del luogo. Ezio entrò anche in contatto con il movimento resistenziale e partecipò alla resistenza cittadina. Anche Emanuele collaborò con il padre: assieme ad altri ragazzi e ragazze organizzò “gite in bicicletta”, il cui scopo era aiutare aviatori o paracadutisti, costretti ad atterrare dietro le linee, a prendere contatto con la resistenza e a trovare un rifugio sicuro. 


Ascoli venne liberata tra il 18 e il 20 giugno dalle truppe del Corpo Italiano di Liberazione; Vittoria, la figlia maggiore, studentessa universitaria con un’ottima conoscenza dell’inglese diventò per alcuni mesi interprete presso l’amministrazione inglese. Ezio venne nominato provveditore agli studi di Ascoli. Fu durante lo svolgimento di questo incarico che conobbe Lucia Tomassi Galanti[14], segretaria del liceo classico locale. Ezio e Lucia si sposarono ad Ascoli il 25 agosto del 1945. Ezio Rientrò a Bergamo nell’ottobre 1945, ma l’accoglienza non fu quella che si aspettava: in città pesava ancora il suo passato fascista e fu sottoposto al processo di epurazione, cosa che lo amareggiò non poco, ma da cui poté uscire indenne ed essere reintegrato nel suo ruolo di insegnate. È morto durante un periodo di vacanze a Grottamare (AP) il 13 luglio 1959.






[1] Antonio Locatelli fu abbattuto sopra Fiume il 15 settembre 1918, catturato fu trasferito al campo di prigionia di Sigmundsherberg, dove si trovava anche Ezio Orefice.


[2] ASBg, b.e. 1, f. 46, lettera dell’Intendenza di Finanza alla Prefettura in data 26 giugno 1944; da ora in avanti l’Archivio di Stato di Bergamo verrà indicato con: ASBg, mentre i documenti del carteggio citato con: Gab. Pref. b.e.1 per il primo faldone e b.e.2 per il secondo faldone.


[3] Le notizie sulle vicende della famiglia di Ezio Orefice sono state raccolte da Silvio Cavati in un’intervista al figlio Marco il giorno 23 aprile 2019. Archivio personale di Silvio Cavati. Marco è figlio del secondo matrimonio di Ezio Orefice ed è nato nel 1947, alla morte del padre aveva solo 12 anni, forse per questo il padre gli raccontò delle sue vicende di guerra, ma mai della sua persecuzione come ebreo. Ha potuto conoscere il resto delle vicende del padre dal racconto della madre e dei fratelli Emanuele e Vittoria. Un’altra importante fonte di notizie sulle vicende di Ezio Orefice durante la 1° Guerra Mondiale è il suo Diario di prigionia dove racconta le vicende dai giorni immediatamente precedenti la cattura fino al trasferimento a Sigmundsherberg. Enrico Ghizzardi, in appendice a II magnifico Quinto… non fu mai vinto, Novecento Grafico, Bergamo 2004, pp. 219-299.


[4] Il ferimento avviene a quota 1425 il Val Posina (denominazione attuale) situata nel territorio di Posina (VI). Cfr. Enrico Ghizzardi, Il magnifico Quinto… non fu mai vinto, op. cit., pp. 221-222, dalle stesse pagine, sono tratte le notizie che ricostruiscono la carriera militare di Ezio Orefice. 


[5] Cfr. Enrico Ghizzardi, Il magnifico Quinto… non fu mai vinto, op. cit., p. 229.


[6] Cfr. Enrico Ghizzardi, Il magnifico Quinto… non fu mai vinto, op. cit., p. 236.


[7] Cfr. Enrico Ghizzardi, Il magnifico Quinto… non fu mai vinto, op. cit., p. 248.


[8] ASBg, Gab. Pref. b.e. fasc. 45, ricorso al Capo della Provincia di Bergamo in data 10 maggio 1944 da parte di Caterina Nosari contro il sequestro dei beni del nipote Orefice Emanuele.


[9] Cfr. Gli ufficiali in congedo e le autorità alla “Legnano” per i 60 anni dell’UNUCI, L’Eco di Bergamo, 12 maggio 1990. L’Unione Italiana Ufficiali in Congedo nasce nel marzo 1919 ad opera di 14 veterani della prima guerra mondiale col nome di Unione Lombarda Ufficiali con finalità morali e riceve un primo riconoscimento ufficiale nel contesto della Federazione Italiana dei Militari in Congedo durante una cerimonia in Campidoglio nel 1922 col nome di Associazione ufficiali in congedo, che verrà poi ufficialmente riconosciuta dallo stato come UNUCI nel 1926.


[10] La festa ceciliana del R. Istituto Magistrale, L’Eco di Bergamo, 17 dicembre 1937.


[11] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1,  fasc. n. 46. La notizia si desume dalla lettera dell’intendenza di Finanza alla Prefettura di Bergamo in data 26 giugno 1944.


[12] Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 250 del 2 novembre 1938, p. 9.


[13] Le notizie sono tratte dall’intervista a Marco Orefice citata.


[14] Lucia Tomassi Galanti è nata ad Ascoli Piceno il 12 dicembre 1900.