scheda completa

Sacerdote Carlo

Carlo Sacerdote e la sua famiglia


Bergamo – San Pellegrino


Scheda di famiglia


Carlo Sacerdote, nato a Bologna il 16 luglio 1892, la moglie Elsa Levi, nata a Ancona il 23 aprile 1901, i figli Luciana, nata a Milano il 7 giugno 1925 e Guido, nato a Bergamo il 9 agosto 1931.

(Capitoli di riferimento: Il censimento degli ebrei a Bergamo / Gli sfollati: nuove presenze ebree italiane nella provincia / Fuggiaschi e clandestini / La spoliazione degli ebrei a Bergamo / La restituzione dei beni).


I Sacerdote[1] erano una famiglia di commercianti milanesi, Carlo con la moglie Elsa Levi si trasferì a Bergamo dove aprì nella Galleria Santa Marta in centro a Bergamo un negozio di abiti e pellicce, negozio che per la qualità della sua sartoria vestì le migliori famiglie bergamasche. 


Racconta Emanuela Sacerdote[2]:


I miei nonni abitavano a Milano dove il papà di mia nonna aveva già due negozi di abbigliamento, avevano conosciuto Bergamo perché andavano a San Pellegrino, allora lì si andava per le acque termali, “si andava a passare le acque”, come si diceva allora. Si sono accorti che a Bergamo non esistevano negozi come a Milano e siccome avevano appena costruito il centro piacentiniano e a loro era piaciuto, avevano deciso di aprire un negozio. Il primo negozio fu il reparto signora, poi in Galleria Santa Marta si liberarono altri locali perché la banca che c’era in quel momento, non ricordo il nome, fallì e mio nonno affittò anche il locale della banca e aprì il reparto uomo che nacque un anno dopo.


Già le prime leggi razziali ebbero immediate conseguente sulla famiglia Sacerdote: Luciana, giovane studentessa[3], aveva frequentato con profitto il suo anno scolastico ed era stata promossa alla classe superiore, ma non potè reiscriversi al Regio Istituto magistrale P. Secco Suardo, dovette iscriversi ad una scuola privata: l’Istituto magistrale parificato “Figlie del S. Cuore di Gesù”[4], l’articolo 3 del R.D.L. 15 novembre l938-XVII, n.1779[5] prevedeva infatti che[6]:


Alle scuole di ogni ordine e grado, pubbliche o private, frequentate da alunni italiani, non possono essere iscritti alunni di razza ebraica. E’ tuttavia consentita l’iscrizione degli alunni di razza ebraica che professino la religione cattolica nelle scuole elementari e medie dipendenti da Autorità ecclesiastiche. 


Luciana e la sua famiglia erano cattolici: ma anche la presenza in una scuola  privata gestita da un ordine religioso non era così pacifica, racconta Emanuela Sacerdote[7]:


Mia zia Luciana non ha mai parlato, ho chiesto all’Alberto[8] (figlio di Luciana, ndr). C’era una signora, di cui non ricordo il cognome, era in classe con lei, una volta mi ha fermato per strada e parlando mi ha detto che mia zia non era iscritta sul registro e quando arrivava qualcuno nell’istituto la nascondevano, perciò deduco che la cosa non sia stata vissuta molto bene.


Anche il fratello Guido[9], che frequentava la scuola elementare fu allontanato, è lui stesso che lo racconta molti anni dopo[10]:  


Io già da qualche tempo ero stato allontanato dalla scuola perché figlio di ebrei (l’essersi convertiti non mi aveva risparmiato questo provvedimento; ricordo ancora il giorno in cui fui allontanato dalla scuola, il Collegio vescovile Sant’Alessandro; non riuscivo a comprendere il motivo per cui non potessi più frequentare la scuola come tutti gli altri bambini, miei compagni di scuola e di giochi).


Emanuela Sacerdote aggiunge un particolare a questo fatto[11]: “ad un certo punto sono entrati in aula e gli han detto che se ne doveva andare e s’era messo a piangere come tutti i bambini, compreso il suo compagno di banco.


L’attività di Carlo ed Elsa non rientrava fra quelle colpite dalle leggi razziali, dovettero però subire episodi di intolleranza con scritte ingiuriose sui muri e sulla pavimentazione di fronte al negozio.


l’Archivio di Stato conserva le denunce del farmacista Guido Levi di Ambivere[12] e di Renato Melli[13], piccolo industriale di Bergamo. E’ da notare che entrambe fecero domanda per essere ammessi alla “discriminazione” di cui all’art. 14 R.D.L. 17 Novembre 1938-XVII, n. 1728[14]. A queste si aggiunse la denuncia di Carlo Sacerdote, come risulta dall’elenco pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 28 novembre 1939 anno XVII:


MINISTERO DELLE CORPORAZIONI


Elenchi delle aziende industriali e commerciali appartenenti a cittadini italiani di razza ebraica


ELENCO C di cui al R. decreto-legge 9 febbraio 1939-XVII, n. 126 


CONSIGLIO PROVINCIALE DELLE CORPORAZIONI DI BERGAMO 


1. Ditta dott. Levi Guido, proprietario dott. Levi Guido fu Sansone, con sede in Ambivere; […] 


2. Ditta “Centrale del latte di Melli Renato”, proprietario Melli Renato di Ugo, con sede in Bergamo, […] 


3. Ditta “Da Levi” di Carlo Sacerdote, proprietario Carlo Sacerdote fu Emanuele con sede in Bergamo, piazza Cavour n. 10, ditta individuale per l’esercizio di vendita al dettaglio di pelliccerie, articoli di abbigliamento e articoli di moda.


Con l’inizio dei bombardamenti anche Carlo decise di mettere al sicuro la famiglia sfollando a San Pellegrino dove avevano preso in affitto una villetta: la città era sede di industrie e con una stazione ferroviaria non lontana dal centro cittadino, ma forse anche per paura di violenze: sul marciapiede e sui pilastri delle vetrine del loro negozio erano state poste a vernice scritte ingiuriose e minacciose. Con loro era anche una delle nonne; racconta Guido[15]:


Mio padre aveva acquistato una villetta: i miei genitori si recavano quotidianamente a Bergamo per attendere ai due negozi di abbigliamento che ivi gestivano. Mia sorella, mia nonna ed io rimanevamo a San Pellegrino, dove conducevamo la nostra vita. Le mie giornate a San Pellegrino si svolgevano in solitudine; la comunità di San Pellegrino, ben conoscendo le origini della mia famiglia, evitava di frequentarmi ed io stesso non avevo amici: probabilmente nella mente delle persone intrattenere rapporti e consuetudine con degli ebrei rappresentava un pericolo e un rischio. Unica famiglia con cui avevamo rapporti era di un oppositore politico, noto avvocato di Bergamo, che probabilmente in virtù delle sue convinzioni politiche e morali aveva condiviso con tutti noi un’affettuosa amicizia (e, infatti, il figlio, mio coetaneo, trascorreva insieme a me tanti pomeriggi, così come i figli del proprietario della clinica Quarenghi di San Pellegrino: evidentemente esistevano ancora uomini che non avevano paura di sfidare il senso comune e la mostruosità di certe leggi.


Mentre i genitori facevano la spola con Bergamo per badare al negozio che gestivano in centro città, Guido[16], che amava i cani, rimase solo con la nonna e per far passare il tempo cominciò a giocare con i cani del nuovo vicino, un carabiniere[17]:


Possedeva due alani arlecchino, una coppia, di nome Dick e Zeila; fin da subito fui attratto da quei due cani enormi (non so se lo fossero realmente o se lo sono nei ricordi di un bambino). I nostri giardini erano divisi da una semplice rete di recinzione e quindi io incominciai a richiamare l’attenzione di questi due cani, portando loro qualche boccone di carne: in breve tempo s’instaurò con Dick e Zeila un rapporto di amicizia, tant’è che un giorno il loro padrone, avendomi probabilmente notato, si avvicina, si presenta (“Mi chiamo Umberto e tu?”) e mi invita a entrare nel suo giardino per giocare con i cani.


Fu questa amicizia a salvare la famiglia: il carabiniere si chiamava Umberto Pinna, e non era un semplice carabiniere, era un sottufficiale dell’OVRA, la polizia segreta fascista, uno che non aveva lasciato il “lavoro”, come del resto gran parte dei membri delle forze dell’ordine, ma che aveva cominciato, forse da tempo, ad operare un distinguo tra quanto si doveva e quanto era giusto fare. Di certo non condivideva la decisione della RSI di consegnare gli ebrei ai tedeschi e uno che faceva il suo mestiere aveva anche un’idea più precisa di cosa questi riservassero agli ebrei, di sicuro era a conoscenza degli eventi nei paesi del lago maggiore, noti come la “Strage di Meina”. Fu lui a bussare una sera alla porta dei Sacerdote:


Buonasera, mi chiamo Umberto Pinna, sono il vostro vicino di casa e amico di suo figlio. Sono un capitano dell’O.V.R.A. (quindi quella dei carabinieri era solo una copertura, in realtà era un graduato della famigerata OVRA, la polizia segreta dell’Italia fascista) e ho ricevuto l’ordine di venirvi ad arrestare domattina con un plotone di tedeschi. Dovete immediatamente allontanarvi, fuggire, avete solo poche ore. Vi ho organizzato un rifugio sicuro nell’abitato di Santa Brigida; lì sarete ospiti di Don Bepo Vavassori che vi ha già preparato dei locali dove sarete ospitati.


Pinna quindi oltre ad essere a conoscenza dell’attività di Don Bepo nell’espatrio di militari ed ebrei, cosa non strana se si pensa al suo mestiere, era anche in contatto con lui al punto da poter organizzare la fuga degli occasionali amici. Santa Brigida però divenne dopo un po’ un posto insicuro, forse fu l’imprudenza di Guido a mettere allo scoperto la presenza della famiglia[18]:


Ero l’unico bambino che portava una cravatta in un posto di mon­tagna. Ne andavo orgoglioso e a tutti coloro che mi chiedevano, si complimentavano per la mia cravatta, mostravo il retro dove c’era il marchio Sacerdote e dicevo “Le confezioniamo noi, abbiamo un negozio a Bergamo”. Qualcuno proprio per via di quel cognome sul cravattino denunciò la presenza della famiglia Sacerdote a Santa Brìgi­da.


Fu Pinna ad avvisarli che il loro rifugio era stato scoperto e che dovevano subito scappare, un taxista amico di famiglia li venne a prendere, mentre scendevano verso Bergamo incrociarono le auto che stava salendo a prelevarli.


Fu ancora Pinna che si fece carico della soluzione definitiva: la fuga in Svizzera. Due auto portarono Umberto Pinna, la famiglia Sacerdote e tre oppositori politici a Varese, dove stettero per due giorni. Umberto al primo piano prendeva contatto con i contrabbandieri che dovevano portarli al confine, coprendosi col suo lavoro: reclutava volontari per l’esercito della RSI; al secondo rimanevano nascosti i suoi “ospiti”. Umberto non si limitò ad accompagnarli dai contrabbandieri, li seguì nel tragitto verso il confine, sventando anche un tentativo di taglieggiamento dei fuggiaschi operato dalle guide[19]:


Dopo questo “incidente” la marcia proseguì; arrivati nei pressi della linea di confine, non senza difficoltà dovute anche alla presenza dell’anziana nonna, mio padre si fermò e mi spiegò bene cosa ora dovevamo fare e mi disse: “Guido, da qui in avanti corri, corri più veloce che puoi, se senti degli spari, anche se vedi cadere me o la mamma, tua sorella o la nonna, non fermarti, non voltarti, pensa solo a raggiungere la rete e a superarla”. Fortunatamente non accadde nulla di tutto questo: tutti riuscimmo ad attraversare il confine, sani e salvi. Abbracciamo Umberto, ben consci che aveva messo a repentaglio la propria vita per aiutarci. Forse non lo avremmo più rivisto.


Non fu così, tornati in Italia dopo la guerra, Carlo Sacerdote venne a sapere che Umberto Pinna era sotto processo in quanto agente dell’OVRA, fu la sua testimonianza a farlo assolvere.


I Sacerdote poterono fuggire, i loro beni no e vennero sequestrati. I Sacerdote a Bergamo possedevano due negozi d’abbigliamento, uno in via Crispi 2 e l’altro in Piazza Ettore Muti 10[20], parte delle merci, pellicce in particolare, erano state “sfollate”, con regolare autorizzazione della Camera di commercio, in locali della villa acquistata a San Pellegrino dalla moglie. In provincia di Bergamo si trovava anche il fratello di Elsa, Graziano, che viveva a Milano dove aveva aperto in piazza S. Maria Beltrade 2 un negozio di pellicceria. Graziano aveva ottenuto la discriminazione con decreto 1066/12163 del 14 luglio 1939, ed era in rapporti anche d’affari con Carlo Sacerdote. I bombardamenti avevano danneggiato il negozio di piazza Beltrade e Graziano aveva depositato le proprie pellicce in un edificio rurale di sua proprietà in comune di Valbrembo (BG). I loro beni, ammontanti a cifre consistenti dato l’alto valore delle merci trattate, furono oggetto di particolari attenzioni da parte di militi e funzionari legati alla RSI. 


Le Pellicce di Valbrembo


La ricerca e la cattura degli ebrei milanesi era cominciata ad opera degli occupanti tedeschi con un’azione contemporanea a quella nel ghetto di Roma, il 16 ottobre 1943 e aveva portato alla cattura di 200 persone, Graziano come molti aveva dovuto rendersi irreperibile, non abbiamo però notizie su come si sia salvato, è certo che rimase in contatto con le dipendenti del cognato.  


Sappiamo molto di più delle sue pellicce: Graziano aveva “sfollato” il proprio magazzino nella casa rurale che possedeva a Valbrembo, il trasferimento fatto ben prima dell’8 settembre, non era un segreto, e qualcuno era riuscito a farsi rivelare dove erano state depositate e si era mosso per cercare di impadronirsene. L’informazione ci giunge direttamente dal comandante del Gruppo Bergamo della Legione Territoriale Carabinieri Milano, maggiore Guglielmo Battaglia, che il 30 dicembre 1943 relazionò al Capo della Provincia[21]:


Il 13 corrente, verso le ore 10,30 in Valbrembo, nell’abitazione di Corna Clemente di Battista, d’anni 47, ivi residente presentavasi sette-otto individui, giunti in luogo con due camioncini chiedendo al Corna la consegna di un certo quantitativo di pellicce che costui doveva detenere nella propria abitazione perché avute in consegna da tal LEVI Graziano di Milano non meglio identificato. Alla risposta negativa del Corna, gli sconosciuti chiesero di visitare i locali d’abitazione, visita che venne loro accordata senza rinvenire la merce che cercavano. Il Corna riferì agli sconosciuti che al n° 11 della stessa via, con probabilità, si trovavano depositate delle pellicce che il Levi nel decorso mese di luglio aveva ivi trasportato da Milano per aver avuto la casa sinistrata. Chiesero al Corna di essere accompagnati al predetto stabile, indi lo lasciavano in libertà, soggiungendo che sarebbero ritornati nella notte successiva con i militari tedeschi o con i carabinieri per procedere al sequestro della merce stessa. Dalle indagini subito eseguite dal comandante la stazione di Almè con Villa, è risultato che effettivamente in un locale dello stabile suddetto vi sono depositate pellicce per il valore di circa un milione di lire. La chiave del locale è in consegna al contadino Arzuffi Riccardo di Angelo, d’anni 40, il quale ha riferito che detta merce appartiene alla ditta Levi Graziano fu Primo Alessandro, nato ad Ancona e domiciliato a Milano il quale è pure proprietario di una parte dello stabile nonché di circa 170 pertiche bergamasche di terreno coltivato a mezzadria da due famiglie abitanti a Scano al Brembo. Allo scopo di evitare che le persone rimaste sconosciute e presentatesi all’abitazione del Corna per il ritiro della mer­ce potessero ripetere il tentativo, è stato disposto un servizio di vigilanza da parte dei militari dell’arma. Ritenendo che il Levi appartenga alla razza ebraica e, per­tanto, sia soggetto ai provvedimenti di sequestro dei beni, se ne riferisce perché vengano impartite in merito urgenti disposizioni. Il Levi abita a Milano in via Stradivari n° 7, con negozio sinistrato in piazza S. Maria Beltrame[22] n°2.


 I beni di Levi Graziano, custoditi in una abitazione vicina, si salvarono dalla cupidigia dei malintenzionati milanesi, non da quella della Repubblica Sociale italiana: vennero sottoposti a confisca dal capo della Provincia con decreto del 3 aprile 1944[23].


Carlo Sacerdote e il sequestratario F.R.


I beni di proprietà degli ebrei in fuga non facevano evidentemente gola alla sola RSI, molti cercarono di approfittarne e qualche traccia è rinvenibile nei fascicoli della Prefettura, abbiamo già visto i “militari germanici” impadronirsi dell’argenteria di Renzo Guastalla, una nota dell’Egeli ci dà conto anche di un furto in casa Sacerdote, l’Egeli il 7 febbraio 1945 informava la Prefettura[24]:


Ditta Sacerdote Carlo – Bergamo.

Il Dr. FR, nostro delegato per i beni confiscati all’ebreo segnato in oggetto, con sua lettera in data 24/1/44, ci comunica che avendo avuto sentore che nell’ex appartamento Sacerdote – Via Verdi, 2 – Bergamo, esistevano dei mobili, ex proprietà dell’ebreo di cui all’oggetto, si è recato sul posto ed ha appreso che il mobilio di cui trattasi è stato in parte venduto alla spicciolata da militari tedeschi e dal custode dei mobili stessi.

Si prega pertanto codesta Prefettura di volersi interessare pel recupero delle suddette attività, dopodiché emettere regolare decreto di confisca.

Si prega inoltre di volerci cortesemente comunicare il nominativo del custode a cui erano affidati i mobili di cui trattasi.


Se quella del custode era stata sicuramente una sottrazione non autorizzata, non siamo sicuri che lo sia stata quella tedesca: nell’edificio di via Verdi 2 all’ultimo piano si erano insediati ufficiali tedeschi e già il 27 settembre 1943, a spese dei Sacerdote, era stata fatta una prima requisizione: 1 asse da stiro, 20 sedie, 4 poltroncine, 2 portavasi, 1 divano, 4 tavoli, 2 sgabelli, 2 cuscini,  4 coperte, 4 tappeti, 4 quadri, a quest’ultima voce una nota dei Sacerdote aggiunge “d’autore (Maggi)[25].


Questo elenco fa pensare ad una requisizione operata per completare l’arredamento dell’appartamento al piano superiore. Fuggiti i Sacerdote, non è però escluso che i militari tedeschi abbiano pensato di poter approfittare anche del resto.


I Sacerdote non furono oggetto solo di alcuni furti, ma furono al centro di un grave episodio di malversazione. Oltre ai beni immobiliari vennero sottoposte a confisca anche le attività di Carlo Sacerdote: i suoi due negozi, la merce in essi contenuta e la merce depositata nella villa di San Pellegrino. La signora Vanoli, fedele dipendente dei Sacerdote, che su richiesta di Carlo si era trasferita nella villa di San Pellegrino per sorvegliarla durante la loro permanenza in Svizzera, rese dopo la guerra una vivace testimonianza della “perquisizione” della villa ad opera dei militi fascisti[26]:


ha trovato la cognata in lacrime e spaventatissima, perché nel pomeriggio un gruppo di militi delle brigate nere, armati di mitra e di bombe a mano, erano entrati di prepotenza in casa, e con minacce di morte, volevano sapere da lei dove si trovava la camera murata nella quale i Signori Sacerdote avevano nascosto le loro cose private e personali di maggior valore […]


Al sequestro seguì in data 21 dicembre 1943 la nomina di un commissario liquidatore nella persona del dr. FR che si attivò per acquisire tutti gli elementi del suo mandato. Il 25 gennaio il liquidatore fece trasferire tutta la merce immagazzinata a San Pellegrino in un negozio del centro. Il 26 gennaio una lettera del Ministero delle Finanze invitò i Consigli Provinciali della Economia a richiamare l’attenzione “dei sequestratari, sindacatori e liquidatori di aziende nemiche” sulla prossima pubblicazione, il 10 febbraio, di un decreto del duce in materia e dette disposizione affinché i sequestratari, sindacatori e liquidatori mantenessero i loro poteri e si preparassero per la consegna all’Egeli dei beni e a rendicontare la propria attività. Il 4 febbraio 1944 venne emanato il Decreto del Duce che regolava la confisca dei beni degli ebrei e la loro consegna all’Egeli per la gestione.


Gli atti non riportano una risposta. Il 26 gennaio FR fece chiamare le dipendenti ai negozi, chiusi ormai da tre mesi, per assistere all’inventario generale di tutte le merci. Erano presenti anche due periti, uno per la “biancheria, vestiario e generi diversi”, e una per la pellicceria. Ma mentre nessuno contestò la perizia su “biancheria, vestiario etc.”, da subito le dipendenti fecero osservare che la perito sulla pellicceria assegnava alla merce valori che giudicavano irrisori, ma le loro proteste non vennero ascoltate. 

Le commesse, d’accordo con Graziano Levi con cui erano in contatto, si recarono anche in Prefettura per presentare una richiesta di acquisto dei negozi, compresi merce e mobilio, ma la loro richiesta venne ignorata.


La perizia attribuì alle merci presenti in negozio il valore complessivo di £ 2.026.971, una successiva perizia, fatta effettuare il 24 agosto 1945 ad un perito esperto iscritto alla Corte d’appello di Milano dai Sacerdote, assegnava alla merce un valore a prezzi correnti del gennaio 1944 di £ 9.041.183.


Per dare un’idea del merito delle due perizie, ci supporta quella fatta dalla perita a confronto con quella del perito esperto su alcuni elementi recuperati:


13 pelli coniglio bianco £ 390 contro 1000

21 pelli coniglio assortiti £ 1470 contro 2100

5 pelli coniglio grigio £ 350 contro 350

14 pelli coniglio stampato £ 350 contro 350

4 pelli coniglio nero £ 100 contro 100

8 pelli coniglio nero £ 200 contro 200

10 pelli coniglio grigio £ 250 contro 250

78 pelli coniglio rasato £ 1950 contro 7.800

140 pelli coniglio l.p. £ 3.500 contro 11.200

170 pelli coniglio l.p. £ 4.250 contro 13.600

176 pelli coniglio grigio £ 4.400 contro 14.080

260 pelli coniglio stampati 6500 contro 13.000


Totale 23.710 contro 64.030


Come si evidenzia da questo piccolo campione, mentre i pezzi di poco valore furono stimati con esattezza anche dalla prima perizia, quelli di valore furono gravemente sottostimati nella prima perizia, al punto dal non poter escludere il dolo.


Il 7 febbraio, in contrasto con le nuove prescrizioni di legge, FR scrisse al Capo Provincia chiedendo l’autorizzazione a procedere alla vendita delle merci in magazzino, nel frattempo riunite nei negozi di Bergamo, autorizzazione che venne sollecitata il 25 febbraio. Non è escludibile che vi fosse stato un assenso tacito alla messa in vendita della merce, come sostenne FR, ma agli atti non risulta alcuna autorizzazione della Prefettura, mentre risulta il decreto di confisca dei beni che nel testo prevedeva che i beni fossero “trasferiti per la gestione all’Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare, incaricato dallo Stato di amministrarli e di alienarli con le norme che saranno a suo tempo stabilite dal Ministero delle Finanze.


Il 4 marzo 1944 la Federazione Fascista Lavoratori dell’Industria scrisse al commissario liquidatore riguardo alla vendita delle merci della Ditta Sacerdote:


in relazione a quanto sopra ci facciamo premura avvertirvi che il Capo della Provincia e il Commissario Federale dei Fasci Repubblicani si sono impegnati a porre a diretta disposizione dei consumatori, rappresentati dalle organizzazioni sindacali, tutte le attività esistenti presso la Ditta a margine ad esclusione della pellicceria.


FR malgrado l’assenza di una autorizzazione scritta e forse sulla base di un’intesa verbale, procedette comunque ad aprire la vendita basata sui prezzi periziati. Da alcuni appunti di Carlo Sacerdote, basati probabilmente sui rendiconti del liquidatore, possiamo conoscere alcuni degli acquirenti del vestiario, il Comune di Bergamo, in primis, per £ 31.297, ma poi tre destinatari di cui possiamo sicuramente escludere che appartengano alle categorie dei lavoratori dell’industria: il Signor Podestà, il Vice Segretario Generale, il Segretario Generale, che acquistarono per complessive £ 11.747,75.


Possiamo comunque escludere che anche le pelli vendute al minuto sulla base dei prezzi stabiliti dalla perito di fiducia di FR, signora MD, possano essere servite a riscaldare poveri sinistrati, almeno a giudicare da un elenco di nominativi tra cui figurano oltre lo stesso FR, sua madre, il cognato e due suoi colleghi; la stessa perito MD ritenne conveniente acquistare numerosi capi.


Fra gli acquirenti anche il Commissario Federale del PFR di Bergamo, a cui FR scrisse in data 11 marzo 1944 con lettera riservata e personale: “poiché la merce della ditta in parola è molta, ci sarà da accontentare quelle persone, e quelle categorie che verranno da te designate ad effettuare eventuali acquisti.


La fretta con cui FR procedette alla vendita fu giustificata alla Prefettura nella lettera del 7 febbraio 1944 con l’urgenza di pagare alcune spese ammontanti a £ 43.000, motivazione che venne contestata dai Sacerdote che evidenziarono che sui conti correnti della ditta a quel momento esisteva una giacenza di £ 40.000, con uno scoperto di sole £ 3.000 che non poteva giustificare tale fretta. È più plausibile pensare alla volontà di poter disporre della merce prima che l’Egeli potesse intervenire a reclamarne la consegna e imporre diverse modalità di vendita, che non avrebbero consentito l’acquisizione di merce a prezzi irrisori come fatto da FR e dai suoi conoscenti. In una lettera del 21 marzo al Capo della Provincia e per conoscenza all’Egeli e al Commissario Federale di Bergamo FR informava che “a seguito di analoga deliberazione dell’Egeli provvederò in settimana a passare le consegne” e comunicava che a seguito di tale provvedimento aveva dovuto sospendere le vendite delle merci dei negozi in Bergamo, e aggiungeva:


Mi permetto far presente che le vendite di dette merci secondo le disposizioni impartitemi da V. E., e che avevano avuto analoga approvazione del Commissario Federale di Bergamo, riscuotevano la generale simpatia e approvazione della cittadinanza e che la improvvisa sospensione della stessa ha dato luogo a palesi malumori, anche per la preoccupazione dei consumatori che la detta merce possa subire sensibili aumenti prima di arrivare all’acquirente.


Vale la pena ricordare che i negozi della ditta Sacerdote erano negozi di lusso, che i beni in vendita non erano certo destinati a poveri operai o a sinistrati e chi fossero gli acquirenti beneficiati dai prezzi irrisori è ben indicato nei passi precedenti. La lettera autodenuncia anche il fatto che FR è ben cosciente che i prezzi a cui ha effettuato le vendite sono ben inferiori al loro valore di mercato. 


In un appunto manoscritto probabilmente da Carlo Sacerdote, che lo seppe dal dottor B.G., funzionario dell’Egeli il 26 maggio 1945, è annotato: “il dott. R., quando seppe che l’incarico di curatore doveva passare alla Cassa di Risparmio, fece intervenire a suo favore la Prefettura e la federazione fascista le quali scrissero all’Egeli”, da un altro appunto che riporta la cronologia dell’intera vicenda, veniamo a conoscenza che la Prefettura propose all’Egeli di confermare il dott. FR sequestratario dei beni Sacerdote, proposta che l’Egeli accettò nominandolo il 9 giugno 1944[27].


Confermato liquidatore, FR dovette però seguire le disposizioni dell’Egeli che, con lettera del 22 luglio 1944, prescriveva la vendita al minuto delle merci di scarso valore, ma con una maggiorazione del 50% dei prezzi inventariati, e la vendita in uno o più blocchi della restante, in particolare la pellicceria, mediante licitazione privata; a mezzo licitazione privata dovevano essere venduti anche i due negozi. Che i prezzi di perizia fossero eccessivamente bassi si può tranquillamente evincere anche dal verbale in data 16 gennaio 1945 di apertura delle offerte e di assegnazione di uno dei lotti a licitazione privata: l’offerta vincente propose un prezzo d’acquisto superiore dell’80% a quello di perizia: l’acquirente doveva comunque ritenerlo un ottimo affare.

Oltre alle merci, vennero messi in vendita anche i negozi: si trattava di locali situati proprio nel centro di Bergamo, sotto i portici del “Sentierone”, il luogo del passeggio di tutta la borghesia bene e dei politici della città, una delle migliori posizioni commerciali del centro cittadino. 


Già il 4 aprile 1944 FR, non ancora riconfermato, segnalò all’Egeli di aver avuto la visita del signor DM interessato all’acquisto dei negozi, ma non della merce. 

La citata lettera del 22 luglio 1944 autorizzava alla vendita anche separata dei due negozi. Il 2 giugno 1944 FR trasmise all’Egeli la richiesta di DM di rilevare la merce presente nei negozi. DM era un negoziante di Bologna che aveva avuto il negozio sinistrato dai bombardamenti e stava cercando di aprire un’attività in Bergamo, rilevando una licenza già esistente. 


Mi pregio trasmetterVi l’unita richiesta di rilievo di tutta a merce esistente nei negozi della Ditta Sacerdote Carlo di qui pervenutami da parte del signor DM. 

Il DM, che aveva un negozio di generi di abbigliamento in Bologna, è stato sinistrato dalle recenti incursioni aeree e trovasi attualmente senza occupazione e senza possibilità di avere una nuova licenza commerciale onde aprire qui un altro esercizio essendogli stata negata dalle autorità locali la nuova licenza per ragioni statistiche. 

Poiché la proposta del DM mi sembra conveniente, mi permetterei proporVi di prenderla in attenta considerazione, tanto più che questi è anche in possesso di un contratto di affitto per i locali di Via Crispi 2 con la Società proprietaria dello stabile, contratto regolarmente registrato in data 6-1-1944. 

Allo scrivente non sono a tutt’oggi pervenute altre proposte di acquisto. Quelle presentate all’Istituto di Credito Fondiario delle PP.LL. da me ritirate, riguardano le seguenti Ditte: 


Tasca Giovanni – Dolci Cesare – Ditta C.A.F.E.M. – Zenoni Giovanni – Vanoli Angiola e Zambelli Cesira. 


Le prime tre Ditte sono già in possesso di negozi di vendita e relative licenze e quindi non verrebbero danneggiate anche se le attività Sacerdote non verranno assegnate a loro. 


La Ditta Zenoni non è del ramo ed è palese che lo farebbe unicamente a titolo di speculazione. 


Le Signorine Vanoli Angela e Zambelli Cesira, come è detto nella domanda, sono le due procuratrici e persone di fiducia della Ditta Sacerdote e potrebbero eventualmente essere accontentate mediante la cessione alle stesse da parte del signor DM del negozio di pellicceria in Piazza Ettore Muti 10, dopo il realizzo della merce. Da quanto questi mi ha esposto il negozio di Piazza Ettore Muti non verrà da Lui condotto, non essendo la pellicceria un genere di commercio trattato dalla sua ditta.


Da una lettera dell’Egeli del 20 dicembre apprendiamo accidentalmente che DM il 30 novembre 1944 aveva presentato una propria offerta al Ministero delle Finanze.

La cosa non sembra avere ufficialmente seguito, non vi sono altre carte in proposito fino al 20 dicembre 1944, data in cui l’Egeli inviava nello stesso giorno ben tre lettere dando precise disposizioni per la immediata destinazione dei negozi Sacerdote, il motivo sono le pressioni della Prefettura che: 


considerato che molti negozi della città sono stati in questi ultimi tempi, o sono per essere requisiti per adibirli a sedi di organizzazioni politiche e militari o per altri scopi ha dato disposizioni a questo ente affinché sia dato modo di effettuare immediatamente la riapertura dei due negozi ex Sacerdote […] dando in proposito le seguenti disposizioni;


Premesso che per i locali del negozio di via Crispi è pendente un provvedimento di requisizione a favore dell’Unione Professionisti e Artisti, la Prefettura ha in definitiva stabilito che alla suddetta Unione Professionisti venga concesso solo parte dei locali stessi affinché i rimanenti vengano ceduti alla Ditta DM la quale eserciterà in essi uno spaccio autorizzato, secondo le norme vigenti in materia.

I locali del negozio di Piazza Muti saranno invece ceduti in parte all’Ufficio Propaganda dell’Esercito Tedesco, ed in parte alla ditta G. secondo definitive disposizioni che si stanno prendendo in Prefettura.


Una successiva lettera pari data conteneva disposizioni per il ricovero provvisorio delle merci depositate nei negozi nel solo negozio di via Crispi. Dello stesso giorno è una terza lettera che dettagliava le istruzioni per la cessione del negozio di via Crispi alla ditta DM, che già ne aveva stipulato il contratto di affitto, valutando i mobili in essa contenuti per £ 70.000; curiosamente non vi è alcun accenno all’altro negozio né alla ditta G., né si trova nelle carte alcun altro accenno a quest’ultima ditta a parte la testimonianza delle dipendenti dove si afferma che fu ceduto ad un signor (nominativo cancellato) di Seriate per l’irrisoria cifra di £ 220.400.


Sempre nell’appunto manoscritto sopra citato è riportata la seguente annotazione:

Il dottor B. G. dello Egeli di S. Pellegrino, disposto a testimoniare in giudizio, il 26/5/1945 mi disse quanto segue: il DM ha versato somme al rag. B. E. dello Egeli allo scopo di essere favorito; il DM andò a San Pellegrino parecchie volte a confabulare con B. E. allo scopo di cui sopra.


L’interessamento di B. E. deve essere stato molto attivo, visto che come dichiarato dalla memoria degli avvocati di Carlo Sacerdote, ma anche dalle controparti, e riportato nella sentenza del tribunale, si spinse fino a Lugano, dove si era rifugiato Carlo Sacerdote, per ottenere un suo avvallo alla vendita dei negozi e delle merci a DM, avvallo rifiutato da Carlo che “si riservava al suo ritorno di agire contro chiunque si fosse reso corresponsabile”, decisione che aveva già messo a conoscenza delle proprie dipendenti con una lettera inviata poco tempo prima. B. E. riferisce ai suoi mandanti una versione diversa: “che la cosa non lo interessava né preoccupava in quanto che egli sarebbe stato indennizzato dallo stato per quanto sarebbe avvenuto”, affermazione poco plausibile se interpretata come nullaosta osta a procedere, plausibile se invece posta a corredo della precedente e in risposta ad un’eventuale obiezione di B. E. sul fatto che si sarebbe comunque proceduto anche senza il suo consenso, come previsto dalla legge.


I Sacerdote rientrarono a Bergamo poco dopo la liberazione e si trovarono a non avere nemmeno un luogo dove andare a dormire: la loro casa era stata confiscata e occupata, soldi non ne avevano più: l’urgenza della fuga non aveva consentito di realizzare valori da portare in Svizzera e quello che era riuscito a portare era servito per pagare i passatori e per le esigenze dell’anno di esilio, i conti correnti, tutti i loro beni erano stati confiscati e, malgrado i decreti di revoca, erano ancora nelle mani dell’Egeli e non prontamente disponibili, anche l’alloggio era stato requisito. Gli dette un primo aiuto il sig. Guzzi, proprietario dell’albergo Moderno[28], appena fuori la stazione, che gli concesse gratuitamente una camera tra quelle destinate al personale, dove Carlo, Elsa e i loro figli poterono trovare riparo per alcune settimane e dove poterono cucinare con un fornello portatile. Spesso alla sera poterono scendere al ristorante e mangiare gratuitamente. Carlo fu sempre grato di questo aiuto e appena poté ripagò quanto ricevuto[29].


Il recupero dei beni 


Le vicende di Carlo Sacerdote e Elsa Levi costituiscono un esempio delle difficoltà che una famiglia ebrea, che al momento della fuga godeva di una discreta agiatezza, dovette affrontare al ritorno dalla clandestinità o dalla fuga in Svizzera. Carlo non ha lasciato memorie delle proprie vicende, ed anche il figlio Guido ha raccontato solo in tarda età quanto gli capitò da piccolo, ma ha raccontato soprattutto le circostanze della fuga per ringraziare le persone che avevano contribuito alla sua salvezza, mentre non ha mai parlato delle vicende economiche della famiglia.


I decreti relativi ai beni dei Sacerdote, confiscati con decreti del Capo della Provincia n. 4352 del 29 febbraio 1944 e n. 4865 del 3 marzo 1945, vennero revocati dal Prefetto della liberazione rispettivamente il 3 e il 4 maggio 1945: “Il Credito Fondiario della cassa di risparmio delle provincie lombarde, delegato del cessato Egeli per la conservazione e la amministrazione dei beni ebraici nella Provincia di Bergamo, e la Intendenza di Finanza per la parte di rispettiva competenza, sono incaricati di darne esecuzione”. In data 25 maggio 1945, su richiesta di Carlo Sacerdote rientrato dalla Svizzera, con decreto n. 2506 “Viene revocata la requisizione dell’appartamento situato nello stabile di proprietà del Sig. E. Sesti situato nel Comune di Bergamo, via Verdi 2, già in affitto al Sig. Sacerdote Carlo che rimane pertanto a completa disposizione dello stesso.[30]


Il 29 maggio il Prefetto revocò altri due decreti: il 4541 del 28 febbraio del 1944 che confiscava la proprietà rurale di Rocca del Colle, i due negozi di via Crispi e via Muti, i beni mobili lasciati nella Villa Nina e alcuni crediti bancari e revocò anche la requisizione della parte dei negozi che era stata consegnata alle truppe tedesche.


Può sembrare che tutto procedesse per il meglio, ma il percorso della burocrazia era molto meno rapido di quanto le esigenze delle persone avrebbero richiesto, i Sacerdote per un periodo si dovettero adattare ad abitare nel negozio, in attesa di poter rientrare nella loro casa. Carlo poteva vantare un contratto di affitto del negozio per tre anni, stipulato con la proprietà prima dell’8 settembre e quindi immediatamente vigente cessata la requisizione ad uso militare; da una lettera all’Egeli di Carlo in data 7 ottobre 1946 apprendiamo che GD Aveva reso già nel giugno 1945 il negozio di “Galleria Crispi (reparto abbigliamento da uomo) “e più precisamente dei locali e del mobilio di arredamento, nello stato e condizioni in cui il GD lo aveva avuto quando se ne era reso acquirente.” 


Si deve arrivare al 27 settembre 1945 per poter avere notizia di un primo rimborso: in quel giorno il Credito Fondiario della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde operò una prima restituzione di £ 1.000.000 come acconto sul saldo di gestione dei beni Sacerdote[31]. Le normative emanate erano inoltre carenti relativamente alla restituzione dei beni confiscati dalla RSI: una comunicazione dell’Egeli in data 27 luglio 1945 informò Carlo che:


Con riferimento a Sua del 24 luglio, comunico che attualmente non è possibile procedere allo svincolo e pagamento delle somme ricavate dai beni confiscati e versate sui conti correnti dell’Egeli, come si è verificato per il ricavato della merce proveniente dalla di Lei azienda: e ciò in quanto questo Ente deve ricevere in proposito istruzioni di carattere generale da emanarsi urgentemente e prossimamente dal Ministero del Tesoro.


Una nota a mano aggiunta in calce riferisce che il Commissario dell’Ente “assicura che è allo studio una legge per la restituzione dei beni immobili e mobili confiscati (la prima legge si riferisce agli espropri).”


A gennaio 1945 Carlo Sacerdote cominciò ad avere una visione più completa dei danni subiti: oltre ai mobili sequestrati confiscati e malridotti di Villa Nina, il cui costo di riparazione ammontava a £ 110.000, la perizia che fece effettuare sulle merci lì sequestrate ne calcolò il valore a £ 7.680.000 ai prezzi correnti al 1 gennaio 1944.


Il 14 febbraio del 1946 Carlo ricevette dall’Egeli copia della contabilità della gestione dei suoi beni ad opera di FR, e subito si rese conto del danno che gli era stato inflitto dai comportamenti del sequestratario e poi liquidatore della sua azienda. Raccolte le testimonianze delle sue dipendenti, iniziò un’azione legale contro di lui e la perita MD: il 27 giugno 1946 tramite i suoi legali venne presentata una “Comparsa conclusionale degli attori”, che era stata preceduta da una memoria.  


La “Comparsa conclusionale” svolgeva il ragionamento giuridico che sosteneva le richieste degli attori in causa, cioè i Sacerdote, contro i convenuti, cioè FR e MD, partendo dalla norma cardine del D.L.L. 5 ottobre 1944 n. 249 che dichiarava “privi di efficacia giuridica” i provvedimenti legislativi, le norme regolamentari, gli atti di governo, le confische e i sequestri disposti da qualsiasi organo amministrativo o politico della RSI ed in genere tutti gli atti amministrativi emanati sulla base di leggi e regolamenti emanati dal governo repubblicano.


Sostenevano gli avvocati “per le disposizioni antisemite della RSI e per gli atti amministrativi da esse dipendenti, si è avuta una radicale dichiarazione di inefficacia giuridica, ovvero di nullità in quanto manifestazioni di un governo sprovvisto di legale sovranità. Distinzione, questa, di carattere fondamentale anche agli effetti del presente giudizio.” I due provvedimenti normativi: del 30 novembre 1943, ordinante il sequestro, e del 4 gennaio 1944, ordinante la confisca dei beni ebraici, e i correlati atti amministrativi, il decreto 21 dicembre 1943 di sequestro e il decreto 28 febbraio 1944 di confisca dei beni Sacerdote, sostenevano gli avvocati, sono privi di efficacia giuridica e quindi nulli.


Gli avvocati facevano però subito notare che il commissario dr. FR non si era nemmeno attenuto a quei provvedimenti ed a quegli atti in quanto, anziché provvedere alla semplice conservazione dei beni sequestrati ed al loro successivo trasferimento all’Egeli, li aveva direttamente alienati nel marzo 1944, quando era già in vigore il decreto del duce 4 gennaio 1944 che ordinava il trasferimento dei beni ebraici all’Egeli per l’amministrazione e per l’eventuale alienazione.

La memoria difensiva aveva eccepito in merito che non potevano chiamarsi in causa FR e MD In quanto avevano agito per mandato, cioè per conto dello Stato, onde non loro, ma il mandante era stato responsabile e quindi passivamente legittimato in causa.


Obiettavano gli avvocati:


5. […] questa eccezione non ha alcun fondamento perché, anche considerata la questione sotto l’aspetto puramente privatistico, essa muove dalla premessa che fra i coniugi Sacerdote e lo Stato esistesse, o potesse esistere un rapporto contrattuale: ché solo su questa premessa le obbligazioni assunte dai mandatari potrebbero considerarsi trasferite sullo Stato mandante. Ma tale premessa è erronea perché i coniugi Sacerdote sono rimasti, e sono tuttora, estranei ai provvedimenti di sequestro e di confisca adottati a loro carico e quindi a tutti gli atti posti in essere per attuarli. Di fronte allo Stato (seppure di Stato può parlarsi riferendosi allo pseudo governo della sedicente RSI) gli attori sono evidentemente terzi, onde le loro richieste non possono che fondarsi su di una responsabilità extra contrattuale; non quindi gli articoli 1388 e 1711 potrebbero regolare questa materia, ma l’art. 2049 c.c. a norma del quale i committenti sono responsabili dei fatti illeciti dei loro commessi nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti. Ma se (in tesi) sussiste la responsabilità indiretta del committente, non per ciò viene meno quella del commesso, al quale in ogni caso incombe la responsabilità diretta del fatto illecito (art. 2043 C.C.): la responsabilità farebbe quindi carico ad entrambi. Che poi nel caso, come si assume ex adverso, vi sia stata ratifica da parte dello Stato mandante (ma ciò non risulta) non può avere alcun rilievo né comunque influire sui diritti dei coniugi Sacerdote; sarebbe invero antigiuridico sostenere che i rapporti interni fra mandante e mandatario possano sottrarre al terzo danneggiato una parte della sua legale garanzia che è costituita appunto dalla responsabilità dell’autore del fatto illecito oltreché del suo committente. 


Gli avvocati dei Sacerdote passavano quindi ad esaminare il secondo possibile aspetto che la vicenda apriva sul piano giuridico: 


6. – Ma anche considerata sotto l’aspetto pubblicistico, la questione non consente risultato diverso. È vero che, nel nostro ordinamento amministrativo, non vengono in considerazione le persone fisiche, ma funzioni ed uffici, onde è normalmente da escludersi la responsabilità del singolo funzionario. Ma questo principio trova applicazione solo se il funzionario abbia agito nei limiti delle proprie incombenze, con l’osservanza delle norme e senza colpa, negligenza o dolo; in caso contrario anch’egli è responsabile verso i terzi. 


E quindi la responsabilità ricadeva sul mandatario in quanto: 


È bene evidente che deve “trattarsi di injuriae che non possono farsi risalire all’ente pubblico giacché sarebbe questi altrimenti tenuto direttamente al risarcimento. Debbono essere esse invece colpe commesse come privati individui, sia pure nell’esercizio di una pubblica funzione ed a causa di questa. 


E successivamente si specificava che:


l’azione promossa dai coniugi Sacerdote com’e stato già detto e come si chiarirà meglio più avanti, è fondata non già sul fatto in sé della confisca e del pregiudizio che ne è derivato, ma appunto sul personale operato del dr. FR e della MD; i quali, per avere agito fuori dei limiti dell’incarico e comunque con grave negligenza (e forse con dolo), hanno provocato danni che sarebbero stati altrimenti evitati. 


7. -Giova però subito soggiungere che la tesi della responsabilità del funzionario verso i terzi è stata esaminata in linea puramente accademica e al fine di dimostrare che la responsabilità dei convenuti sussisterebbe ugualmente, quandanche volesse considerarsi lo pseudo governo della sedicente RSI quale governo legittimo e quindi soggetto di diritto amministrativo. Ma così non è […].


E ancora a sostegno della nullità degli atti e delle norme e quindi della responsabilità individuale dei convenuti, riferendosi al D.L.L. 5 maggio 1946 n. 393, che disciplinava la materia della rivendicazione dei beni confiscati sequestrati o comunque tolti ai perseguitati per motivi razziali sotto il governo della RSI: 


Ivi la responsabilità dello Stato è appunto circoscritta alla restituzione di quei beni che fossero ancora in possesso dello Stato stesso e delle somme ricavate dalla loro alienazione. Ogni altra azione è esclusa, mentre la circostanza che i proprietari possano rivendicare i loro beni “da chiunque li possiede o detiene” (art. 1) è la riprova che lo Stato – lo Stato legittimo – non riconosce efficacia alle alienazioni compiute dal sedicente governo della RSI e dai suoi organi, ché, diversamente, il terzo acquirente sarebbe stato messo al riparo da tali rivendicazioni e solo lo Stato avrebbe assunto la responsabilità del risarcimento […] Niun dubbio pertanto che la responsabilità dei convenuti – e quindi la loro legittimazione passiva – sussiste, comunque voglia considerarsi la loro posizione giuridica nei confronti del governo ribelle al cui  servizio essi credettero di mettersi.


Ed ai convenuti veniva quindi addebitato:


Come si è detto, le colpe dei convenuti sono concorrenti, e consistono nell’avere essi provocato, con la loro opera, la svendita delle merci dei coniugi Sacerdote: può dirsi anzi che l’evento dannoso non avrebbe potuto verificarsi se entrambi non vi avessero concorso. Se infatti la Signora MD non avesse con colpa gravissima e forse con dolo, attribuito alle merci un valore tanto inferiore a quello reale […].


Il documento si concludeva con le richieste degli attori: 


I. Dichiararsi tenuti e quindi condannarsi, in via tra di loro solidale, la signora: MD ed il dr. FR a rifondere ai coniugi Sacerdote i danni da questi subiti per l’opera dei suddetti MD e FR nelle rispettive qualità di perita e di commissario liquidatore delle merci di proprietà Sacerdote sequestrate, confiscate e vendute in Bergamo al tempo della sedicente repubblica sociale italiana; danni da determinarsi nella differenza fra il prezzo riscosso e quello che avrebbe potuto e dovuto essere ricavato dalla vendita, quale verrà in causa stabilita con gli interessi legali dal tempo delle vendite o quanto meno dalla domanda giudiziale. 


II. Dichiararsi tenuta la signora MD a restituire ai coniugi Sacerdote le merci da essa acquistate il 6 marzo 1944 nell’occasione di cui sopra, e cioè: n. 24 pelli di persiano; n. 3″ castori grandi; n. 3 volpe rosse Kamciatka; n. 28 Sckuns, oppure, in difetto di restituzione entro 10 giorni dalla notifica della emananda sentenza, condannarsi ora per allora essa signora MD a pagare ai coniugi Sacerdote il controvalore attuale delle merci stesse, quale verrà in causa stabilito; tenuto conto, in entrambi i casi, della somma di £ 146.500 versata per l’acquisto, da essa signora. 


III. Condannarsi la signora MD nonché il dr. FR in via solidale, al pagamento di tutte le spese ed onorari del giudizio, costo e tasse di sentenza, inerenti e successive.


È a questo punto importante capire come le ragioni del diritto e i tempi della giustizia non coincidano con le esigenze dei perseguitati: i Sacerdote avevano l’esigenza di rientrare al più presto in possesso dei loro beni, oltre che delle merci, anche del denaro e di realizzare per poter riavviare l’attività: un anno e mezzo di esilio e mesi senza poter esercitare nel concreto le loro attività commerciali si facevano certo sentire sui bilanci della ditta e della famiglia. La transazione che devono aver raggiunto con FR nel periodo intercorso fra il deposito della “comparsa conclusionale” e l’udienza è probabilmente motivata da queste esigenze, era rimasta invece in causa MD.


Vale la pena riportare per intero il ragionamento giuridico che sviluppò il collegio giudicante nella sentenza[32] depositata il 31 luglio 1946:


[…] Che la trattazione della causa va divisa in due parti, l’una attinente all’esecuzione dell’incarico del Dr. FR per quanto riguarda la nomina della MD e la perizia fatta da costei, l’altra attinente agli acquisti in proprio fatto dalla MD. Esse hanno una diversa regolamentazione.


1° Per quanto attiene alla prima parte della disputa, il Collegio deve dar atto che dai documenti prodotti risulta come il Dr. FR ebbe l’incarico di amministrare i beni degli attuali attori e di realizzarli con i criteri di una sana tecnica commerciale.


In ottemperanza di tale incarico egli nominò la MD perita per quanto riguardava il reparto pellicceria e procedette il 26 gennaio 1944 all’inventario della merce. L’incarico gli venne dato dal Capo della Provincia dell’epoca e gli venne confermato dall’Egeli, l’Ente che era preposto a tali liquidazioni per legge 9 febbraio 1939 n° 126.

Tale Ente ebbe a dargli delle disposizioni che concordavano con quelle cui si era attenuto fino allora, di vendere cioè la merce di minor valore al minuto e la merce di valore maggiore a blocchi a mezzo licitazioni private. Con tali disposizioni l’Egeli nel confermare l’incarico all’incaricato del Capo della Provincia evidentemente confermava e ratificava l’operato di costui per tutta la parte anteriore al reincarico. È certamente quindi compreso in tale operato anche la nomina della MD la quale era ex pellicciaia, persona di competenza riconosciuta dagli stessi attori, e fece prezzi che non potevano essere molto alti dato il blocco dei prezzi dell’epoca e la generale politica del momento di favorire cioè le categorie meno abbienti e che non furono certamente molto inferiori all’effettivo, se a distanza di vari mesi davanti al Notaio [illeggibile] si poteva vendere la pellicceria e la merce pregiata con una maggiorazione dell’80% su quelli di perizia. Ora se anche l’assenza di colpa in eligendo da parte del Dr. FR ha o meglio avrebbe bisogno, di un maggior esame istruttorio, tale esame viene precluso dalla ratifica dell’operato del Dr. FR e della MD avvenuto, come si è detto, da parte degli organi superiori, e specie dall’Egeli, organo costituito a mezzo legge costituzionale, che continuò la sua attività anche nel periodo della sedicente Repubblica Sociale Italiana.


Se questi sono i fatti e gli attori non offrono la prova del contrario, se non per quanto attiene a particolari di solleciti delle vendite e di vendite avvenute contro le disposizioni del primo mandante, che però sono coperte dalla ratifica del secondo mandante, chiara appare la risoluzione della questione sotto il profilo giuridico.


Chiaro risulta da tutta la esposizione qui fatta che non si può parlare minimamente di rapporto privatistico, bensì che tutto debba qui porsi su un piano pubblicistico.

Invero gli attori lo negano e tentano di dimostrare una diversità sotto il profilo legislativo di tutta la legislazione concernente gli ebrei prima dell’8 settembre 1943 e dopo tale data, nei confronti delle quali due parti si sarebbe provveduto rispettivamente ad abrogare regolarmente le leggi costituzionali e a dichiararne la nullità completa, l’inesistenza giuridica, onde tutto quello che sarebbe stato fatto in quel periodo sarebbe caduto in illecito giuridico.


Di qui quindi la possibilità di colpire anche il mandatario senza perseguire il mandante (il collegio non si sente di condividere tale tesi). Esso non ravvede il lato dell’illecito penale o civile, della responsabilità extracontrattuale, laddove, non di rapporti che siano semplicemente privatistici si tratta, ma di rapporti pubblici, di rapporti d’imperio, che si collegano ai principi di diritto amministrativo che presiedono ogni stato.


E ciò sotto un triplice profilo di considerazioni. 

 

a) Anzitutto è ormai stato da vari giudicati (Cass. 18 aprile 1945 – Tribunale di Bologna 4 luglio 1945 – Tribunale di Cremona 15 novembre 1945) affermato con rigorosità e impeccabilità di argomenti che la sedicente Repubblica Sociale fu uno stato di fatto, che il diritto non può misconoscere e ignorare e che fece sorgere quelli che normalmente sono ritenuti rapporti di imperio fra stato e cittadini. In tal senso è non solo tutta la legislazione ma anche tutta la giurisprudenza.


La legislazione, in quanto è stato osservato che non di nullità, ma di inefficacia parla la legge sull’assetto della legislazione nei territori liberati. L’inefficacia non è l’inesistenza giuridica, e la stessa dichiarazione legislativa di inefficacia (sono privi di efficacia) implicitamente presuppone la esistenza giuridica di quegli atti, che sarebbe assurdo dichiarare l’inefficacia del provvedimento o non riconoscere uno stato, laddove quei provvedimenti non esistessero. La dizione di “sedicente” usata dal legislatore altro non dice che la origine illegittima dello stato fascista post 8 settembre 1943, la considerazione politica più che giuridica che ne fa lo Stato Italiano e sotto il punto di vista giuridico la mancanza di riconoscimento dello stato stesso del valore giuridico degli atti attraverso cui quello stato illegittimo si espresse.

Il legislatore insomma, questa è l’opinione prevalente in giurisprudenza, a differenza di qualche ancora dissenziente teorico, ha realisticamente preso atto di quello stato di fatto, che, a iattura d’Italia, venne a formarsi nel territorio nazionale, e, in parte ha accettato e notificato quello che fu fatto di pubblico in quel periodo, e in parte ha misconosciuto quei provvedimenti con la conseguenza però che tale misconoscimento ai fini del diritto transitorio ha valore solo dal momento in cui la legge misconoscente entra in vigore. Da qualunque punto lo si veda, non si può negare la essenza statuale di quel potere. Non vi è insomma il vuoto giuridico dall’8 settembre 1943 alla liberazione. Vi sono rapporti giuridici pubblicistici che, prima di fatto, assurgono poi alla dignità giuridica e il diritto non può non tenerne conto. Chiari segni di tanto sono, nella legislazione il condono in materia annonaria per i reati di omesso conferimento per i prodotti il cui conferimento venne ordinato da provvedimenti della Repubblica Sociale, laddove, se quei provvedimenti nessun valore giuridico avessero avuto, fuori di posto sarebbe stato il condono, ma si sarebbe dovuto assolvere perché il fatto non costituisce reato, nella giurisprudenza tutto quell’insieme di giudicato che conferiscono la qualifica di pubblico ufficiale a coloro che tale qualifica rivestivano in quell’infausto periodo, a voler indicare solo i sintomi più salienti. Esistenza quindi sotto il punto di vista giuridico, anche se colpita dalla inefficacia per lo stato italiano, a partire però solo dall’entrata in vigore del D.L.L. 5 ottobre 1944 n. 249.


Tale caratteristica di rapporti, per cui vano sarebbe negare il carattere di imperio, ha una conferma proprio nel campo della legislazione che man mano sta reintegrando i cittadini ebrei nei loro diritti civili e politici. In questa legislazione non solo vi è per molti rapporti il mantenimento dello stato di fatto creato sotto l’impero della sedicente Repubblica Sociale (art. 3, ult. Capov. e 5 D.L.L. 5 ottobre 1944 n° 252 art. 1, comma 1° parte seconda D.L.L. 5 maggio 1945 n° 383) ma vi è pure, contro l’assunto degli attori la continuità giuridica tra quello stato illegittimo e lo Stato Italiano, per cui questo risponde e i cittadini hanno diritto di ripetere per quanto è stato fatto sotto di quello (art. 2,3,4 D.L.L. 5 maggio 1946 n° 383).


E infine l’Egeli viene mantenuto in vigore per i compiti ad esso demandato per quei casi di reintegrazione dei cittadini perseguitati per motivi razziali (art. 2 D.L.L. 5 ottobre 1944 n° 252).


b) Il parlare quindi di responsabilità extra-contrattuale, di responsabilità da illecito in tali rapporti legislativamente disciplinati e tutelati, appare al Collegio come un vero assurdo. Basti pensare che per l’art. 7 D.L.L. 5 maggio 1946 l’amministratore dei beni non alienati e dei beni alienati sino al momento dell’alienazione può presentare il conto della sua gestione, per dedurre la incompatibilità di un tale fatto, nemmeno sotto il profilo quasi contrattuale della gestio honorum, con il voluto carattere illecito dei rapporti, che se tale fosse sarebbe fulminato dal principio “homo de improbitate sua consequitur gestionem”.


In quella situazione statuale illegittima non sarebbe concepibile giuridicamente che una sola specie di illecito, il collaborazionismo. Ora poiché, anche se l’incarico venne liberamente accettato, tale reato non può ravvedersi in nessuna delle tre forme: militare, politico, economico, bisogna dedurre che i mandatari di organi pubblici in quel tempo per quanto concerne la gestione in esame, furono per il normale esercizio delle loro funzioni paragonabili ai pubblici funzionari, sia pure occasionali, la cui responsabilità è per dottrina pacifica limitata ai casi di dolo o colpa grave e naturalmente cade quando vi sia stata la ratifica da parte degli organi superiori, subentrando allora il concetto della riferibilità alla pubblica amministrazione. Per tale capo quindi non v’è possibilità giuridica di perseguire civilmente il Dr. FR e la sig.ra MD.


2° Diversa invece è la soluzione da dare alla seconda parte del problema qui agitato.

È risultato in modo pacifico per l’ammissione degli stessi convenuti che essi acquistavano in proprio parte dei beni che loro vennero affidati per la amministrazione, per la stima e per la vendita. Di tale grave indelicatezza si è accorto il Dr. FR il quale ha restituito tutto quanto da lui comperato, e sicché gli attori per tale lato nulla chiedono nei suoi riguardi. Resiste invece la MD, offrendo solo una parte della merce comperata, poiché l’altra da lei è stata venduta.

Per tale lato l’azione qui intentata è pienamente valida.


Per l’art. 1471 CC. N. 2 non possono comperare gli ufficiali pubblici rispetto ai beni che sono stati venduti per mezzo del loro ministero, e la vendita è colpita di nullità, per la contrarietà a norme imperative (Art. 1418 CC.) le quali nella specie sono non solo l’art. 1471 citato ma anche l’art. 324 c.p. il quale prevede il reato di interesse privato in atti di ufficio, reato ora amnistiato, ma la cui esistenza forma il substrato della chiara responsabilità d’ordine extracontrattuale in cui è caduta la convenuta MD. La quale come incaricata di una perizia da parte di Ente pubblico è da considerarsi un pubblico ufficiale, come dottrina unanimemente insegna.


Stante la sua responsabilità extra contrattuale, ne deriva non solo l’obbligo di restituzione della merce che fosse ancora in possesso della convenuta, ma anche il risarcimento ai prezzi di mercato correnti al momento della sentenza definitiva emananda del valore delle pelli che furono dalla MD vendute, quando ne era venuta in possesso illecitamente.


Risarcimento al prezzo economico e non a quello politico o di blocco, perché nella responsabilità extracontrattuale si deve risarcire tutto il danno in concreto arrecato e si deve dare la possibilità al danneggiato di vedersi risarcito di tutto anche quando scelga la forma del risarcimento, non potendo equamente rimanere svantaggiato nei confronti di altro danneggiato che nelle stesse condizioni richiede il risarcimento in forma specifica (art. 2068 C.C.). Né vale in proposito quanto si sostiene in causa, che cioè non è possibile in tale materia che la semplice azione di rivendicazione, in quanto è solo tale azione che prevede il legislatore. Tesi esatta, in quanto sarebbe fuor di luogo un regolamento legislativo di rapporti che sono la conseguenza di quella nullità, comminata dal n. 2 dell’art. 1 del D.L.L. 5 ottobre 1944 n° 429, qualora non si fosse voluto limitare il campo delle azioni esperibili, ma che presuppone il regolare svolgimento a norma delle leggi civili e penali delle operazioni di vendita. Nella specie vi è la illiceità della provenienza della merce comperata dalla MD, e pertanto la sua responsabilità non è limitata a quei capi che sono ancora in suo possesso ma tutti i capi che come quelli furono da essi acquistati in quelle illecite condizioni.


La MD eccepisce che si trattava di merce sciupata e di diminuito valore. Ma ciò sarà oggetto dell’esame testimoniale e peritale che apposita ordinanza sarà deferito al Giudice Istruttore.

P.Q.M.


Il Tribunale di Bergamo parzialmente pronunciando nella causa instaurata da Carlo Sacerdote e Levi Elsa

contro Dr. FR e MD 

con citazione 11 ottobre 1945 – reietta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione – assolve Dr. FR e MD dalle domande di cui al capitolo 1° delle conclusioni della citazione introduttiva al giudizio.

Rimette al definitivo ogni liquidazione delle spese di causa. Così deciso in Bergamo il 16/7/1946.


La sentenza di fatto da torto al ragionamento degli avvocati dei Sacerdote: la sola colpa che può essere attribuita ai due convenuti è l’interesse privato in atti d’ufficio, reato penale che ricade sotto i termini dell’amnistia, ma di cui continuano a sussistere gli obblighi civili di risarcimento, obblighi già soddisfatti da FR, ma che continuano a sussistere per MD, con conseguente rinvio al Giudice Istruttore.


È solo quindi la conclusione del primo round, non sappiamo se ci fu un seguito, o se, oltre che con FR, si giunse anche per MD ad una transazione, la figlia di Guido afferma che molte carte furono dal padre distrutte e molte dalla madre alcuni anni dopo.


Oggi non sarebbe andata così, il principio della legittimazione gerarchica del sottoposto da parte dell’autorità superiore è stato superato da nuovi ordinamenti e la responsabilità individuale del pubblico funzionario mantiene intatto il suo valore anche se il superiore accetta e convalida il suo comportamento.


Non riusciamo a sapere dalle carte del fondo quale soddisfazione poterono avere i Sacerdote dall’Egeli, oltre a quanto incassato dalla vendita all’asta e al recupero delle merci vendute al dettaglio da FR prima dell’intervento dell’ente, possiamo però supporre che il danno provocato dalla infausta perizia non poté essere rimediato, così almeno fa pensare un decreto dell’Intendenza di Finanza di Bergamo prot. n. 60 c/c n. 1879 in data 10 dicembre 1971 in risposta ad una istanza presentata da Carlo Sacerdote.


L’istanza è motivata da una nuova legge, la 29 settembre 1967, n. 955, che prevedeva all’art. 2:

Oltre ai danni causati dai fatti di guerra previsti dall’art. 3 della legge 27 dicembre 1953, n. 968, sono ammessi a risarcimento purché non siano già regolati da altre leggi, anche i danni verificatisi in dipendenza:


[…] b) di confische, sequestri o liquidazioni coatte, purché comprovate da atti formali, verificatisi, in periodo bellico, anche a seguito di persecuzioni razziali;

e all’art. 27

Limitatamente alle ipotesi di cui all’art. 2 della presente legge, sono valide le denunce già presentate ed è ammessa la presentazione di nuove denunce con richiesta di indennizzo o di contributo alle competenti Intendenze di finanza od al Ministero del tesoro […] 

I provvedimenti emessi e divenuti definitivi prima dell’entrata in vigore della presente legge non sono suscettibili di revisione. Si procederà a nuova liquidazione o integrazione su domanda degli interessati, […]


Carlo, vista la necessità di capitali per riavviare la ditta, aveva accettato dall’Egeli la somma che questa aveva ricavato dalla vendita coatta dei beni commerciali del negozio (pelli e confezioni), e aveva poi intentato la causa contro FR e MD il cui esito abbiamo sopra visto.  Non gli rimaneva a questo punto che cercare di rivalersi verso lo stato ed aveva effettuato la denuncia della confisca dei suddetti beni in data 31 dicembre 1946[33] al fine di ottenere dallo stato il giusto indennizzo. La richiesta era però stata respinta dalla Commissione tecnico-amministrativa della provincia “per avere il denunciante percepito la somma di £ 2.008.703, versata dalla Egeli quale ricavato della vendita coatta dei beni di cui sopra.” La nuova legge gli aveva permesso di chiedere il riesame della denuncia. L’istanza però viene respinta, visto il parere della Commissione tecnico-amministrativa della Lombardia così formulato: “nulla compete dovendosi egli ritenere tacitato per il danno lamentato in virtù della corresponsione da parte dell’Egeli della predetta somma”.


Non furono solo questi i danni subiti dai Sacerdote, diverse carte relative a pratiche di rimborso, che non sappiamo se andate a buon fine, portano date degli anni 50.

Non è azzardato ipotizzare che, anche se fu tutto conforme alle leggi, giustizia fu fatta solo parzialmente e che i danni subiti da Carlo e dalla sua famiglia non furono che parzialmente indennizzati, fu la loro operosità e capacità imprenditoriale a permettergli di riconquistare quella posizione di simbolo dell’eleganza cittadina che hanno ricoperto fino alla definitiva chiusura dell’attività nel 2013.


Quello che nessuno poté risarcire al figlio Guido fu il timore di un rigurgito dell’antisemitismo, timore che lo accompagnò, non senza ragione, per tutta la vita.






[1] I Sacerdote, Carlo, la moglie Elsa Levi e la figlia Luciana giungono il 27 ottobre 1930 a Bergamo, dove nascerà Guido il 9 agosto 1931.


[2] Intervista a Emanuela Sacerdote, figlia di Guido Sacerdote, effettuata da Silvio Cavati il 17 maggio 2019 a Bergamo. Archivio personale di Silvio Cavati.


[3] Luciana Sacerdote è nata a Milano il 7 giugno 1925, giunge e Bergamo assieme alla famiglia da Milano il 7 ottobre 1930.


[4] Cfr. Gli esami nelle scuole, L’Eco di Bergamo, 27 settembre 1938; Cronache scolastiche, 4 luglio 1939; di lei il giornale ci darà ancora una notizia a causa di una caduta in bicicletta occorsale nel 1941: Alla guardia medica dell’ospedale, 16 giugno 1941.


[5] Il R.D.L. 15 novembre l938-XVII, n.1779 reca quale titolo “Integrazione e coordinamento in unico testo delle norme già emanate per la difesa della razza nella Scuola italiana” e fa seguito al R.D.L. 5 settembre 1938 – XVI, n. 1390.


[6] Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, 20 novembre 1938, n. 272.


[7] Intervista a Emanuela Sacerdote, cit.


[8] Alberto Fortis, figlio di Luciana Sacerdote.


[9] Guido Sacerdote è nato a Bergamo il 9 agosto 1931.


[10] Guido Sacerdote: 1943, la nostra fuga e quell’uomo della polizia fascista che ci salvò, BergamoNews, 27 gennaio 2018, https://www.bergamonews.it/2018/01/27/guido-sacerdote-1943-la-nostra-fuga-quelluomo-della-polizia-fascista-ci-salvo/274259/.


[11] Intervista a Emanuela Sacerdote, cit.


[12] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 28, Denuncia delle aziende, ricevuta dal Cons. Prov. delle Corporazioni in data 11 aprile 1939.


[13] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 40, Denuncia delle aziende, ricevuta dal Cons. Prov. delle Corporazioni in data 2 maggio 1939.


[14]Art. 14: Il Ministro per l’Interno, sulla documentata istanza degli interessati, può, caso per caso, dichiarare non applicabili le disposizioni degli articoli 10 e 11, nonché dell’art. 13, lett. h): a) ai componenti le famiglie dei caduti nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola e dei caduti per la causa fascista; b) a coloro che si trovino in una delle seguenti condizioni: 1) mutilati, invalidi, feriti, volontari di guerra o decorati al valore nelle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola; 2) combattenti nelle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola, che abbiano almeno la croce al merito di guerra; 3) mutilati, invalidi, feriti della causa fascista; 4) iscritti al Partito Nazionale Fascista negli anni 1919 – 20 – 21 – 22 e nel secondo semestre del 1924; 5) legionari fiumani; 6) abbiano acquisito eccezionali benemerenze, da valutarsi a termini dell’art. 16.  Nei casi preveduti alla lett. b), il beneficio può esteso ai componenti la famiglia delle persone ivi elencate, anche se queste siano premorte. Gli interessati possono richiedere l’annotazione del provvedimento del Ministro per l’interno nei registri di stato civile e di popolazione.  Il provvedimento del Ministro per l’interno non è soggetto ad alcun gravame, sia in via amministrativa, sia in via giurisdizionale.


[15] Guido Sacerdote: “1943, la nostra fuga e quell’uomo della polizia fascista che ci salvò”, op. cit.


[16] Guido Sacerdote ha abitato in Bergamo fino alla morte avvenuta a 77 anni nel 2008.


[17] Guido Sacerdote, 1943, la nostra fuga e quell’uomo della polizia fascista che ci salvò, Bergamo News, op. cit.


[18] Don Bepo ci salvò dai lager nazisti, L’Eco di Bergamo, 28 gennaio 2005.


[19] Guido Sacerdote: “1943, la nostra fuga e quell’uomo della polizia fascista che ci salvò”, op. cit.


[20] A Ettore Muti, gerarca fascista morto in circostanze poco chiare ufficialmente durante un tentativo di fuga dopo l’arresto operato dai carabinieri nella notte fra il 23 e il 24 agosto 1943, nel dicembre del 1943 venne intitolata l’allora piazza Vittorio Emanuele III, ora piazza Vittorio Veneto.


[21] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 26. 


[22] Il nome esatto della piazza è Santa Maria Beltrade.


[23] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 26, decreto del Capo della provincia, n. 4540 del 3 aprile 1944.


[24] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 58.


[25] L’originale del documento intestato Dienstelle L 24 238 Luftgaupostamt Munchen II, datato 27 settembre 1943 e firmato da un tenente è conservato dalla figlia di Guido Sacerdote e in copia nell’archivio personale di Silvio Cavati. L’autore del quadro è probabilmente Cesare Maggi (Roma, 1881 – Torino, 1961), pittore paesaggista.


[26] La famiglia Sacerdote ha depositato presso la Fondazione Bergamo nella Storia un fascicolo contenente incartamenti relativi al sequestro dei loro beni e a quanto dovettero fare per rientrarne in possesso, a questo fascicolo appartengono i documenti citati in questo capitolo; nelle fotocopie degli atti processuali depositati sono stati cancellati tutti i nominativi citati: il figlio Guido non voleva che si potesse risalire alle persone coinvolte, i cui figli erano ancora residenti in Bergamo ed erano probabilmente ignari dei comportamenti dei genitori. In altre carte documentali abbiamo potuto identificare i principali attori della causa, ma rispetteremo la discrezione di Guido citando solo le iniziali. Tutte le vicende riportate si basano sulle carte contenute in questo fascicolo, e in particolare sulla testimonianza della dipendente signora Angela Vanoli, sulla memoria accusatoria degli avvocati dei Sacerdote al Tribunale di Bergamo con intestazione “Comparsa conclusionale degli attori” e sulle copie della corrispondenza intercorsa fra il liquidatore e i vari enti e interlocutori. Tutti i documenti citati in questo capitoletto, salvo specifiche indicazioni, sono conservati in questo fascicolo.


[27] Fondazione Bergamo nella Storia, fondo Sacerdote; l’appunto relativo alla testimonianza del funzionario dell’Egeli è manoscritto, la cronistoria dei fatti è a sua volta manoscritta, ma è stata successivamente trascritta a macchina.


[28] L’Albergo Moderno era situato nell’attuale viale Papa Giovanni XXIII n. 118. 


[29] Il fatto mi è stato raccontato da Emanuela Sacerdote, nipote di Carlo, nel corso di un colloquio.


[30] I documenti citati nel presente capitolo, salvo diversa indicazione, sono tutti conservati nel Fondo Sacerdote già citato.


[31] Della consegna della somma è redatto apposito verbale in data 27 settembre 1945 conservato nel Fondo Sacerdote già citato.


[32] Fondo sacerdote, Il Tribunale Civile e Penale di Bergamo sezione 2, n. 67 sent. 1946, n. 470 R.G. 1945, n. 2662 Cron. n. 232 Rep.


[33] La denuncia non compare nel carteggio Sacerdote, ma è citata nel decreto dell’Intendente di Finanza di Bergamo in data 10 dicembre 1971 che nega a Carlo Sacerdote il risarcimento chiesto.