scheda completa

Zimet Fischel

La famiglia Fischel Zimet

 

San Giovanni Bianco – Serina

 

Scheda di famiglia e percorso di internamento

 

Fischel Zimet (IG), nato a Radauti (RO) il 26 gennaio 1898, con la moglie Rosalia Fischbein (IG), nata a Rzeszow (PL) il 30 luglio 1900 e la figlia Regina (IG), nata a Lipsia (D) il 26 novembre 1931; giunsero in Italia a Trieste, poi a Bengasi; furono internati a Ferramonti il 16 settembre 1940. Furono confinati a San Giovanni Bianco (BG) il 24 ottobre 1941 poi a Serina nel novembre 1942, dove erano presenti il 30 novembre 1943.

(Capitoli di riferimento: Gli “internati liberi” in provincia di Bergamo / Fuggiaschi e clandestini)


Gli Zimet abitavano da tempo a Lipsia dove Fishel aveva un importante esercizio commerciale, i cui introiti garantivano alla famiglia una vita agiata. Tra il 9 e il 10 novembre 1938 ad opera delle SS in tutta la Germania si scatenò il pogrom antiebraico voluto da Goebbels e conosciuto come “Notte dei cristalli”, nello stesso mese alcuni parenti di Rosalia furono espulsi verso la Polonia, questo li decise a fuggire verso l’Italia. Già alcuni altri membri della famiglia estesa erano fuggiti con l’intenzione di raggiungere la Palestina. Fischel, temendo problemi nell’emigrazione con documenti tedeschi, riuscì a farsi rilasciare dall’ambasciata di Romania i passaporti, oltre che per sé anche per la moglie e la figlia, e a raggiungere l’Italia nel luglio del 1939. A Milano Fischel fu fra gli organizzatori del viaggio verso la Palestina, che dovette però interrompersi a Bengasi allo scoppio della guerra per concludersi con l’internamento e il ritorno in Italia, prima nel carcere di Napoli, poi a Ferramonti e infine a San Giovanni Bianco[1]


A San Giovanni Bianco ritrovarono alcuni ebrei conosciuti a Ferramonti, fra cui Erwin Schrecker che aveva insegnato nella scuola di Ferramonti e che continuò a dare lezioni a Regina. A San Giovanni Bianco trovarono alloggio in casa della signora Zanchi con cui strinsero una cordiale amicizia. Fischel riuscì a integrare il magro sussidio dando lezioni di tedesco. Fece inoltre molte conoscenze: spesso incontrava, e con lui discuteva di politica, il signor Cima, proprietario dell’omonima cartiera, e altri residenti con cui intraprese cordiali rapporti. Non tutti però gradivano la presenza di tutti quegli ebrei in paese, alla fine di novembre del 42 giunse ai carabinieri del posto l’ordine di trasferimento per otto degli ebrei internati tra cui i membri della famiglia Fischel. Zimet chiese al comandante la stazione dei carabinieri il motivo del trasferimento, gli fu risposto sottovoce “Una donna ha denunciato a Bergamo che gli ebrei mangiano tutto il cibo del paese!” (Regina Zimet)[2]La denunciante era la moglie tedesca del segretario politico del fascio locale. Dopo il trasferimento a Serina Fischel riuscì a trovare lavoro, ovviamente non ufficializzato, presso il negozio di abbigliamento di Serafino Cortinovis e della moglie e strinse rapporti di amicizia con numerosi residenti e alcune famiglie sfollate[3].


Il 30 novembre 1943 il maresciallo comandante la stazione dei carabinieri di Serina ricevette il telegramma con l’ordinanza n. 5 di Buffarini Guidi che ordinava l’arresto di tutti gli ebrei, a qualsiasi nazionalità appartenessero. Il maresciallo convocò le tre famiglie internate a Serina, Regina Zimet-Levy[4], presente a quella convocazione, ha raccontato la vicenda:


In quel silenzio angosciato sentii la voce di mio padre, che diceva “Signor maresciallo, pensando logicamente, deve esserci un errore: volete arrestare persone già arrestate? Noi siamo confinati civili di guerra e ci presentiamo tre volte al giorno qui in caserma per firmare la nostra presenza. Signor comandante, vi prego, andate domani mattina da solo a Bergamo per informarvi se questa nuova legge riguarda anche noi, Nel frattempo lasciateci andare a casa: se volere, mandate due carabinieri a sorvegliarci. Almeno staremo al caldo… qui con questo freddo ci ammaleremo tutti!”, Con queste parole papà cercava di guadagnare tempo. 

Il maresciallo, che aveva piena fiducia in mio padre, disse dopo un momento di riflessione “Va bene, quest’ultimo favore ve lo faccio. Andate tutti a casa vostra e domani durante il giorno chiedete se sono tornato; non c’è bisogno dei carabinieri, vi credo anche sulla parola” … Verso sera, mentre eravamo seduti nella nostra cucina con le altre due famiglie internate, entrò improvvisamente il maresciallo. Fummo sorpresi che fosse venuto personalmente, ma tacemmo; lui vide la disperazione sul nostro viso e disse alle altre due famiglie che potevano tornare alle loro case, per preparare i bagagli e aspettare il suo ritorno da Bergamo. Tutti lo ringraziarono e papà lo accompagnò fuori, ma tornò solo dopo un’ora, dicendoci che c’era una via di scampo “Preparatevi vestiti caldi per questa notte e scarpe comode per una lunga marcia; verso le undici degli amici verranno a prenderci.” Io ero tutta contenta, invece le altre due famiglie non erano del nostro parere. Una delle donne, per decidere cosa fare, accese un fiammifero dopo l’altro, dicendo “Si, no, si, no, si, no… non possiamo scappare! Andrà tutto male: io, mio marito e mia sorella restiamo”. II mio maestro disse che non voleva fare nulla contro la legge, inoltre temeva che sua moglie prendesse un raffreddore camminando di notte: insomma, non volevano fuggire.

 

Il maresciallo impiegherà ben tre giorni per andare e tornare, in tutta evidenza, benché non venga riferito per ovvi motivi di prudenza, durante l’ora di colloquio con Fischel Zimet non solo gli aveva consigliato la fuga, ma gli aveva anche indicato a chi rivolgersi. Né gli Stolzberg né gli Schrecker, sottovalutando la gravità della situazione, colsero l’occasione che poteva salvargli la vita. 

Fischel invece era deciso alla fuga e quei tre giorni gli permisero di rimediare, Regina ci racconta come[5]:


Papà andò nuovamente nel piccolo negozio dove la sera prima avevano promesso di aiutarci a scappare. Nando, il padrone, era un partigiano. Come la sera prima il suo amico Giuseppe si trovava da lui e vedendo mio padre domandò sorpreso: “Ma non siete fuggiti l’altra sera?”. Allora papà gli raccontò come le altre famiglie ce lo avessero impedito e concluse: “Ma io ho una bambina, dobbiamo cercare di salvarci!”, Giuseppe pensò per un momento e disse: “Se possibile tenetevi nascosti per due giorni, parto subito per Bergamo e organizzerò la vostra fuga in Svizzera; tornerò al massimo fra due giorni: è l’unica e l’ultima occasione per voi!”.

 

Era notte quando due giovani del paese vennero a prelevarli dal provvisorio rifugio e li accompagnarono attraverso i boschi verso la stazione ferroviaria di San Pellegrino in Val Brembana. Sul treno li attendeva Giuseppe per accompagnarli fino a Piazza Brembana, dove vennero rilevati da un altro partigiano; un’auto li portò fino a Piazzatorre dove furono ospitati per un paio di giorni. Regina non lo sapeva, ma il percorso e la rete di espatrio erano evidentemente quelli che facevano capo all’organizzazione cattolica del Patronato San Vincenzo. Gli Zimet proseguirono a piedi, c’era già la neve, verso il passo di San Marco. Due partigiani li guidarono fino alla casa cantoniera[6], dove vennero ospitati alcuni giorni a causa del maltempo. Il viaggio proseguì con la scorta di due guardiafili della società elettrica, collegati al movimento partigiano, che li accompagnarono fino alla successiva tappa in Valtellina. La fuga degli Zimet si fermò in Valtellina a Morbegno: l’ultima tappa, quella verso la Svizzera, si rivelò in quel periodo impraticabile per il tradimento di alcune guide e il rafforzamento della sorveglianza sui valichi per la Svizzera. Il racconto di Regina illustra bene la rete di persone e connivenze che permettevano la fuga agli ebrei, ma anche i rischi e le difficoltà che questa poteva incontrare[7]. Il parroco di Morbegno, prima tappa dopo la discesa da San Marco, indirizzò gli Zimet ai coniugi Giovanni Della Nave e Mariangela Rabbiosi, due contadini abitanti nella frazione di San Bello, posta sulla costa dall’altro lato della valle. Quello che doveva essere un rifugio provvisorio in attesa di poter passare in Svizzera diventò definitivo: i Della Nave ospitarono e nascosero gli Zimet nella loro casa fino alla liberazione. Dopo la guerra gli Zimet emigrarono in Israele mantenendo sempre i contatti con i Della Nave. Il 23 luglio 2002 Giovanni della Nave e sua moglie Mariangela Rabbiosi sono stati riconosciuti Giusti fra le nazioni.






[1] Cfr. Anna Pizzuti, Gli ebrei stranieri internati in Italia provenienti da Bengasi, sul sito del CDEC al seguente indirizzo http://www.annapizzuti.it/gruppi/bengasi.php; vedi anche l’intervista a Herta Brattspies nella storia della famiglia Brattspies.


[2] Cfr. Regina Zimet-Levy, Al di là del ponte, op. cit. p. 83.


[3] Cfr. Regina Zimet-Levy, Al di là del ponte, op. cit. pp. 32-45 per la fuga in Italia, 45-62 per il viaggio e l’internamento a Bengasi, 62-76 per la prigionia a Napoli e l’internamento a Ferramonti, 77-91 per il confino nella bergamasca.


[4] Cfr. Regina Zimet-Levy, Al di là del ponte, op.cit. pp. 95-96.


[5] Cfr. Regina Zimet – Levy, Al di là del ponte, op.cit., pp. 95 e seguenti.


[6] La casa cantoniera del Passo di San Marco, posta a 1830 metri di quota, poco sotto l’omonimo passo, è stata edificata nel 1593 come posto di guardia e manutenzione dell’antica strada Priula, costruita dalla Repubblica di Venezia per creare un collegamento con i cantoni svizzeri evitando il ducato di Milano. Oggi è stata trasformata in rifugio.


[7] Cfr. Regina Zimet – Levy, Al di là del ponte, op.cit. pp. 103-134.