scheda completa

Boccara Aldo

Aldo Boccara 


Bergamo


Scheda di famiglia


Aldo Boccara, nato a Milano il 4 maggio 1901, coniugato con Luigia Maiocchi, non ebrea, i figli Valeria, nata a Bergamo il 29 novembre 1931 e Flavio, nato a Bergamo il 28 febbraio 1937.

(Capitolo di riferimento: Le conseguenze a Bergamo)


E’ il figlio Flavio[1], il protagonista involontario del gustoso episodio presso il Moka Efti sul Sentierone, a raccontare la storia della sua famiglia in un’intervista che riporto integralmente in quanto ho preferito mantenere la spontaneità colloquiale del racconto parlato:


L’origine della famiglia è di Bucara, città dell’Uzbechistan ex Persia, ora Russia, che ha dato i natali ai famosi tappetti. Cinque generazioni fa la dinastia dei Boccara è venuta tramite un Boccara in Tunisia, che si è trasferito in Toscana e precisamente a Pisa e a Livorno. In questa zona mio nonno è stato seppellito nel cimitero ebraico di Pisa come tanti altri Boccara; è rimasto un Boccara a Livorno che commercia in caffè e fa il console di Haiti, ovviamente perché commerciando in caffè trae dei vantaggi nell’importazione del caffè. Era una famiglia molto numerosa, si parlava di 33-34 cugini, e mio nonno arrivando in nord Italia anche lui mercante, ad esempio mio nonno è stato il primo a importare le famose linotype, si è trasferito in nord Italia dove ha sposato una signora ebrea del ceppo degli Ottolenghi[2], nobilissima e gloriosissima famiglia piemontese che ha lasciato in donazione addirittura delle scuole come la Iono Ottolenghi di Acqui. Questa famiglia conta presidi di liceo, giornalisti, commercianti alcuni dei quali operano attualmente a Milano, fornitori ufficiali dell’esercito italiano, concessionari della Zegna, di Rivetti, un ceppo molto onorato, diciamo che il ceppo dei Boccara era il ceppo un po’ meno nobile, il ceppo degli Ottolenghi il più nobile.


Mio padre ha sposato una cattolica, diciamo che per questo fatto mio padre è stato quasi diseredato, all’epoca ha dovuto praticamente scappare da Milano e venire a Bergamo, all’epoca un viaggio abbastanza pesante, per sottrarsi un momentino alla situazione di disagio in cui si trovava con la propria famiglia, appunto perché aveva sposato mia madre, che era cristiana cattolica.


Mia madre era di Mortara, mio padre era nato a Milano; per un certo periodo hanno vissuto a Casale Monferrato, dove c’era una forte comunità israelitica, c’erano i Foa. Hanno girato anche altre città: come tutti gli ebrei mio nonno era un’anima inquieta, poi a Milano per ragioni di lavoro.


Comunque mio padre ha sposato mia madre[3] che era cristiana cattolica; la famiglia aveva mal digerito questo fatto. Comunque, malgrado questo, con la dispensa credo del rabbino, noi avremmo dovuto avere la religione della mamma perché così prescrive le religione cristiana, però malgrado questo abbiamo ottenuto il battesimo degli ebrei e quindi praticamente alla nascita abbiamo ottenuto il battesimo degli ebrei sia io che mia sorella.


Mio padre è arrivato a Bergamo nel 32 o 33, come lavoro faceva il fornitore di enti pubblici, lui praticamente forniva cancelleria, arredi scolastici, stampati, sussidi didattici agli enti pubblici, era commerciante come quasi tutti nella famiglia.


Nel ‘39 mio padre ha avuto le prime avvisaglie delle imminenti persecuzioni razziali e allora ha pensato bene di organizzarsi per dire io scappo dall’Italia.


Ricordo molto bene un fatto che mio padre mi raccontava molto spesso: si trovava a Bergamo in un bar fra i più “in” sul Sentierone, che era il vecchio Moka Efti che allora gestiva un certo signor Villa, che era molto amico di mio padre. So che mio padre si è fermato in edicola e ha aperto un giornale dove c’erano fotografie di bambini mostruosi, focomelici etc., quasi da Cottolengo, con un titolo a carattere cubitale, poi ampiamente relazionato in seguito, che diceva “Questi sono i frutti dei matrimoni misti” e disgustato entrò in questo bar per prendersi il suo caffè. Il sottoscritto aveva sì e no un anno e mezzo e muoveva i primi passi, ad un certo punto è entrato nel bar un gerarca fascista, e mio padre sapeva benissimo che era un gerarca fascista, mi ha preso in braccio e mi ha sollevato, ero un bel bambino con i boccoletti biondi, e ha detto “Che bel bambino”, e mio padre ovviamente ha avuto la reazione penso non molto prudente, ma umana di dire “Lo lasci giù perché questo è il frutto di un matrimonio misto”.


Allora questo Villa ha detto “Cosa hai fatto Boccara.” Infatti il giorno dopo è arrivata la convocazione presso la federazione fascista, in Città Alta, e se non interveniva questo Villa non lo so se l’olio o qualche piccola lezioncina gliel’avrebbero data. Di certo questa propaganda che in un certo senso influenzava anche la gente che viveva attorno e soprattutto mia madre. Mia madre si sentiva quasi come una concubina, il matrimonio lo avevano fatto civile ovviamente non in chiesa, mia madre, oltre a tutto, cristiana non molto credente. Allora mio padre vista l’avvisaglia ha ritenuto opportuno, chiedendo sempre la dispensa al vescovo, di sposarsi in chiesa per vedere di  accontentare mia madre e ne ha approfittato anche per dire, capiti quel che capiti, qualora dovesse scoppiare una persecuzione razziale, io almeno metto in salvo i figli, e ci ha battezzati a Borgo palazzo con Don Alberto Carrara, che è un prete che frequentava, malgrado tutto, regolarmente casa nostra: giocava a scopa e mio padre gli aveva anche quasi insegnato a bestemmiare giocando a scopa, ha battezzato il sottoscritto e mia sorella.


Ecco a quel punto oltre alle avvisaglie delle imminenti persecuzioni razziali, cominciavano già a venire fuori le leggi, la proibizione di parlare agli ebrei di avere contatti con gli ebrei etc., mio padre una sera ha visto un certo Zanini di Arona[4], che era un industriale, produceva penne stilografiche, le famose Ancora, con il quale aveva conoscenza per certe ovvie ragioni di lavoro. È arrivato con il bavero alzato di notte e gli ha detto “Aldo scappa, scappa” perché faceva parte del municipio o roba del genere e aveva visto dei nominativi di ebrei che avrebbero dovuto essere deportati o roba del genere e fra questi c’era il nominativo appunto di questo Boccara. Evidentemente Novara, Casale Monferrato, Piemonte si vede che avevano fatto una cernita, avevano fatto delle indagini, per cui ha detto ti raccomando scappa. Non sono mancate le manifestazioni di solidarietà di amici che han detto “Tu non ti preoccupare, passeranno sul nostro corpo”; non mi ricordo che mio padre oltre a questo episodio abbia avuto dei particolari ricordi di ostilità nei suoi confronti, non mi ha mai detto niente di particolare, questo anche per inquadrare quella che poteva essere forse la mentalità della maggioranza degli italiani che, almeno per sentito dire non ha mai portato del rammarico, almeno nei nostri confronti. 


Morale della favola che gli hanno tolto il congedo militare, militare che mio padre aveva assolto con un fratello morto sulla Bainsizza, decorato al valor militare, volontario, studente in legge, ferito due volte; alla prima volta poteva rimanere a casa, volle ritornare al fronte, ferito di nuovo, ha voluto ritornare di nuovo al fronte fin quando uno shrapnel gli ha spezzato la spina dorsale ed è morto, lasciando poi una lettera, che ha dettato al cappellano militare, rivolta ai fratelli minori e alla mamma, cioè a mia nonna (che era rimasta vedova nel frattempo di mio nonno, quindi lui fungeva un po’ da capo famiglia essendo il fratello maggiore), che ritengo un capolavoro una lettera che uno non può fare a meno di piangere nel leggerla rendendosi conto che questo ragazzo di 23-24 anni sa che gli arriva la morte e lo descrive chiaramente … le parole che rivolge nei confronti della sua famiglia e della mamma in particolare …


Comunque mio padre allora decide di andarsene, ovviamente la casa dove io ero nato, casa dove abito e che è stata in mano di un gerarca fascista che non ha mai pagato una lira l’affitto fino al 1950, che era un certo L. che aveva una torrefazione in una traversa di via Borgo palazzo, credo ormai morto. Morale della favola che il quel periodo mio padre stava vendendo l’azienda, l’ha venduta o almeno ha impostato tutto per venderla. È venuto fuori quando noi eravamo già scappati questo articoletto che lei potrà leggersi per vedere in certi strati almeno di gerarchi della stampa dell’epoca, quello che poteva essere l’odio nei confronti degli ebrei, comunque decide di partire.


Due episodi salienti di questa nostra partenza: mi ricordo il primo che a mio padre volevano rilasciare il passaporto perché mi pare che avessero dato un certo preavviso per gli ebrei se volevano emigrare, e a mio padre il passaporto lo hanno rilasciato, ma a noi non lo rilasciavano, a moglie e figli. Al che mi racconta mio padre che, tramite amici che aveva in questura, era riuscito ad avere il passaporto anche per noi che legalmente non ne avremmo potuto avere, non so per quale motivo di carattere burocratico, ariani o non ariani, non so io per che cosa. Di positivo che mi racconta che ha fatto questo viaggio sulla Augustus, che era il gemello del Rex, famoso transatlantico che aveva vinto il nastro azzurro all’epoca. Mio padre tremava praticamente per le spie che c’erano sulla nave, temeva che appena arrivato lo richiudessero e riportassero indietro la famiglia, perché i passaporti avevano qualcosa che non era regolare, e che sbarcato, mi raccontava mia madre, non con moltissimi mezzi, c’era il sostentamento per sei mesi praticamente, quindi doveva tirarsi su le maniche, m’ha detto che si è messo a gridare come un pazzo: “Viva l’America, viva l’America”. Evidentemente usciva da un clima di tensione e soprattutto aveva messo in salvo la cosa più preziosa che è la vita, la sua e quella della propria famiglia, anche se ripeto ha dovuto rinunciare ad una posizione economica invidiabile, in quanto che mio padre era un uomo in procinto, nel 39 aveva 38 anni, di smettere di lavorare di lì a quattro o cinque o 6 anni perché diceva primum vivere deinde filosofare, così la vedeva lui, gli piaceva vivere e vivere bene, comunque gridava come un pazzo: “Viva l’America, viva l’America”, questo è un episodio saliente.


Il secondo episodio quello della difficoltà di poter realizzare la posizione economica in quanto che, lavorando con enti pubblici, la maggior parte del patrimonio era costituito da crediti presso gli enti pubblici, il denaro era difficile da spostare e mi ricordo che mio padre ha sempre citato con grandissima  stima l’amico Bruno Lorenzelli, che è uno dei più grossi galleristi, morto 3 o quattro anni fa, fratello di quel Levi, l’ex proprietario della libreria Lorenzelli di viale Papa Giovanni, dove adesso c’è il figlio, ci sono i rispettivi figli a capo delle proprie attività.


Lorenzelli gli ha detto: “Boccara tu parti, vai in Svizzera, in Svizzera troverai questa somma, trasferiscila dalla Svizzera dove vuoi”, mio padre gli ha detto: “ma Bruno come faccio io a …” e lui gli ha detto: “Boccara non preoccuparti, tu vai, metti in salvo la vita” e il sostentamento per i sei mesi praticamente mio padre se li è trovati da questo Bruno Lorenzelli, del quale si può immaginare che razza di ricordo conserva pur essendo il Lorenzelli un cristiano cattolico. 


Questo è l’aspetto piacevole della faccenda, e poi altri episodi particolari che mi raccontasse mio padre non mi pare ce ne siamo.


So che in seguito a noi sono partiti un altro fratello, che era quello appena più grande di mio padre, il più giovane è stato messo in galera qui, perché a Casale Monferrato, dove c’è la statua di Carlo Alberto che indica la strada alle truppe, c’era un gerarca che faceva un comizio, lui col megafono è salito in cima a questa statua, questo era mio zio giovane, e ha detto “Sapete cosa vuol dire Carlo Alberto con la mano così: vuol dire che in Italia col fascismo la merda è alta così.” Morale l’hanno impacchettato, l’hanno messo dentro e buonanotte al secchio. E’ finito benissimo perché per intercessione di prelati l’hanno lasciato fuori, è scappato con sua moglie polacca anche lei ebrea, e i due figli. Le due figlie adesso sono due grosse eminenze, scappati in Spagna, dalla Spagna hanno attraversato l’Atlantico e hanno raggiunto la famiglia in Sudamerica, più esattamente nella repubblica Argentina, compresa mia nonna. 


Praticamente gli unici che poi hanno avuto il coraggio, all’epoca nel 1950 si diceva che l’Europa era un barile di dinamite, non c’era ancora il concetto a distanza di cinque anni dalla fine della guerra, davano del pazzo a mio padre che ha voluto tornare in Italia, ovviamente dopo essere andato nel 1947 a visionare la situazione come era e come non era, loro sono rimasti là, son seppelliti là, quindi praticamente è rimasto questo mio cugino in Sudamerica il quale ha proseguito il ceppo dei Boccara, non con me che ho due femmine, la famiglia comunque è ristretta praticamente a questi pochi nominativi. 


Salvo alcuni altri Boccara, ce n’è uno a Parigi che è un grossissimo mercante d’arte, un antiquario, ma non sappiamo che relazione abbia con la mia famiglia, assolutamente non lo so, questo mio cugino di Livorno e altri due o tre a Roma, che leggendo la guida vedo questi Boccara che non so nemmeno se saranno i figli dei cugini. Di quelli che sono rimasti qui c’era mia zia[5] che aveva una casa a S. Vigilio, viaggiava con la Stella di Davide al collo, la casa sua è stata occupata da un ufficiale tedesco, il quale non l’ha mai denunciata, che gli ha detto “Signora mi faccia almeno la cortesia, si tolga lo sciadai[6] (la stella di Davide) dal collo.” “Io l’ho sempre portata non me la levo.” Non gli hanno torto un capello a questa mia zia.


Mio zio ceppo Ottolenghi che era a Casale Monferrato è stato nascosto in un convento di frati, anche perché aveva l’aspetto piuttosto da fratone, e se l’è cavata, degli altri di questi famosi 33, 34 cugini mio padre dice “Non ne ho più trovati nessuno”, quindi deportati e … finiti tutti.


Mia zia è morta e seppellita qui a Bergamo, era sposata con un cristiano, che loro chiamavano lo zio saggio della famiglia, anche lei come mio padre erano due ribelli, erano i due più giovani, anche loro hanno fatto le loro, secondo la famiglia e…. comunque questo signore era laureato in veterinaria, studioso è diventato direttore dell’istituto sieroterapico di Milano, direttore del macello di Milano, professore e docente universitario, igienista, ha scritto dei testi sulla microbiologia roba del genere, ha scritto dei libri con il professor Ascoli non so su quale materia. Ascoli è un nome piuttosto famoso a Milano evidentemente di origine ebrea lo dice il cognome, lui pur non essendo ebreo, si chiamava Valenti, Egidio Valenti.


Non hanno avuto figli anche perché questa mia zia ha sposato questo mio zio che era piuttosto anziano rispetto a lei, pur essendo morta lei prima, lui dopo perché è morto a 88-89 anni. Abitavano qui a S. Vigilio, l’attuale casa dove adesso vivono i Perolari era la casa di mia zia.


Tracce della famiglia nostra mi diceva mio padre di cugini non ha più trovato nessuno. Altri che erano legati in via indiretta, tipo i Betanida di Livorno, che erano i proprietari dell’istituto Galilei che fabbricava le lenti etc., importatori di lane dall’Australia, era gente molto ricca, anche quelli hanno avuto le loro belle traversie, così mi raccontava mio padre; Sonnino anche quelli erano imparentati non so in quale modo con noi, ne ha trovato uno che faceva il segretario comunale a Busalla in provincia di Genova, ed era una testa luminosa, faceva il segretario comunale in questo paesino, l’ha trovato mezzo rincitrullito dalle botte che aveva preso. Questo a grandi linee quello che può essere il ricordo della mia famiglia.


In argentina, in Sudamerica diciamo che gli screzi, le insinuazioni che potevano arrivare potevano arrivare da quella colonia di italiani che si sentivano mussoliniani e fascisti. I tedeschi che c’erano in argentina, nel periodo che abbiamo vissuto noi, ce n’erano molti che erano ebrei scappati, diciamo che poi la comunità israelitica in argentina era molto fiorente e oltre a tutto molto ricca un po’ come dappertutto, quindi detenevano un potere. Quindi gli screzi c’erano più che altro nella Casa d’Italia, che si chiamava “XXI aprile[7]” che è tutto un programma, e quindi era visto come l’ebreo da questi che si sentivano un apparato militare che avrebbe vinto la guerra, che avrebbe sterminato gli ebrei etc., tant’è vero che, quando c’è stata notizia che il Duce era scappato era caduto etc., mio padre è entrato non dico ha fatto il gestaccio, ma gli ha mandati tutti a quel paese. Senonché dopo qualche giorno la notizia è stata ridimensionata poiché è nata la repubblica di Salò, per cui dice che è dovuto entrare alla chetichella perché sennò, chiedendo scusa che avevan ragione etc. etc.


Comunque mio padre poi che si è sentito sempre profondamente italiano ha ottenuto la commendatizia perché oltre ad aver fondato la scuola italiana a Mendoza, ha fondato il teatro di Mendoza e ha organizzato la raccolta di indumenti: avevano messo tutte le donne italiane che c’erano là, comperava la stoffa, faceva gli indumenti e spediva le casse di questo materiale in Italia, è la ragione per cui mio padre poi ha avuto l’onorificenza, la commendatizia, un po’ di anni fa, per questi suoi meriti come cittadino italiano. Mio padre, soprattutto, si sentiva primariamente italiano, scindeva le due cose al punto che diceva “La mia religione è quella che è, diventare israelita e emigrare in Israele è un’altra questione perché mi sento cittadino italiano e non cittadino di Israele.”


Di positivo che mio padre non ha optato, come ha fatto per i figli, nel timore di non poter scappare: lui ha mantenuto la sua religione e non si è convertito come hanno fatto alcuni che lui definiva marrani, che era la frase che spessissimo quando ne trovava qualcuno criticava, perché a volte quando accompagnava mia madre a natale a mezzanotte alla messa e lui entrava quasi col cappello, come si fa in sinagoga, e si faceva fatica a dirgli togliti il cappello, “Vedi eccolo là il marrano che si batte il mea culpa.” Etc. etc. e roba del genere e aveva questa cosa di risentimento, però aveva il diritto di dirlo in quanto lui aveva rischiato tutto pur di mantenere fede a quella che era la sua religione di nascita, anche se ripeto non era uno molto professante: non è uno che andasse spesso in chiesa, era un po’ agnostico, non ci ha mai forzato non ci ha mai dato un indirizzo preciso religioso, anzi mi diceva vai all’oratorio a giocare, tu scindi mi diceva, pensa rifletti, che tocca a te fare le scelte. 






[1] La storia di Aldo Boccara e della sua famiglia è stata raccontata dal figlio Flavio in una intervista rilasciata a Riccardo Schwamenthal in data anteriore al 2004., Flavio è nato a Bergamo il 28 febbraio 1937.


[2] Si tratta di Lina Ottolenghi.


[3] Luigia Maiocchi, nata a Mortara il 27 agosto 1897, si è coniugata con Aldo Boccara il 31 dicembre 1931, si è trasferita a Bergamo col marito da Milano il 26 gennaio 1932.


[4] Dovrebbe trattarsi di Giuseppe Zanini. Una ditta di produzione di oggetti da scrittura fu fondata da Giuseppe Zanini già nel 1909 a Sesto Calende, ma l’origine più certa dell’azienda va collocata nel 1919 a Bologna. Nel 1925 l’attività, venne trasferita a Sesto Calende e nel 1938 ad Arona. Il marchio Ancora venne depositato solo nel 1929. La ditta cessò la propria attività nel 1975.


[5] Si tratta di Alba Boccara, nata a Milano il 19 novembre 1899, aveva sposato Egidio Valenti nel 1936. Egidio era nato a Foggia il 2 febbraio 1880, erano emigrati a Bergamo da Milano il 25 ottobre 1943 ed abitavano in via San Vigilio 50. Egidio Valenti non era ebreo, non conosciamo la religione di Alba, che però era ebrea per legge. Alba sfugge alla deportazione e muore a Bergamo il 29 novembre 1960.


[6] Trascrizione fonetica.


[7] Il 21 aprile, “Natale di Roma”, era la festa che il fascismo aveva inventato per sostituire il 1° maggio, festa dei lavoratori.