scheda completa

Lowi Mariem

La famiglia di Mariem Lowi, la siura Maria


Gandino


Scheda di famiglia.


Mariem Esther Lissek, nata Zgiors (Lods, Polonia) il 16 marzo 1911[1], e i figli Siegbert (Sighi) Lowi, nato nel 1933, e Marina Lowi, nata a Milano nel 1936. Il padre, anch’egli ebreo, era Leopold (Lepes, Lipa) Lowi, nato a Wadovice (Polonia) nel 1909.

(Capitolo di riferimento: Fuggiaschi e clandestini)


Racconta Giovanni Ongaro[2]:


È cominciato tutto verso la fine di settembre del 1943. Mio padre era andato a nocciole su in Valle Piana, il colle che poi va verso la Malga Lunga, opposto al Formico. Allora si era poveri e tutto era buono. Stava tornando a casa quando ha incontrato delle persone che salivano con i muli, andavano al Monte Palandone. Mio padre vide che erano stranieri e probabilmente già sapeva che si trattava di ebrei. Vede, in paese si sapeva che c’erano ebrei nascosti, che qualcuno li aiutava. C’era la signora Lina Rudelli con il padre Vincenzo che ha aiutato tanta gente, ebrei, partigiani, dissidenti. … Tornando a quel giorno. Mio padre oltrepassò questo gruppo di persone e fece alcuni passi: si accorse che per terra c’era una sveglia, proprio accanto a una santella della Madonna dove c’era anche un piccolo luogo di sosta. La raccolse e tornò indietro, la consegnò a quei signori. Parlarono, questi ringraziarono mio padre. C’era una donna, fra questi, si chiamava Maria Lowi, disse a mio padre che del marito non aveva più avuto notizia dopo che era partito per un viaggio di affari per il Belgio.


Si trattava di Mariem Lowi. 


I Lowi abitavano a Francoforte e avevano lasciato la Germania dopo l’avvento al potere di Hitler, al concretizzarsi delle violenze contro gli ebrei e della politica antisemita nazista, e si erano portati in Polonia che avevano lasciato in quanto Leopold non era riuscito a trovarvi un lavoro da lì erano andati a SaarBrucker, allora ancora sotto occupazione dopo la pace di Versailles. Il referendum del 13 gennaio 1935, che sanciva il ritorno della regione alla Germania e quindi l’estensione al suo territorio del regime Hitleriano, li costrinse ad un’altra fuga, decisero di raggiungere l’Italia e si stabilirono a Milano il 28 febbraio 1935. Leopold trovò un lavoro nel settore tessile che permetteva alla sua famiglia una vita confortevole. I Lowi intesserono presto rapporti di amicizia con altri emigrati tedeschi, Marina ricorda i nomi dei figli di amici: Max Kempin (Kempinski), Herta Milgelgrun Pollak, Walter Wolf, Horst Stein[3], che la portavano con loro in piscina.


Fu l’emanazione delle leggi razziali nel 1938 a cambiare ancora una volta la loro vita: Leopold cercò una sistemazione più sicura, nel 1939 decise di recarsi prima in Francia e poi in Belgio per vedere quale fosse la situazione e portare poi la famiglia, ma gli fu impossibile il rientro. Racconta Marina[4]


Abbiamo cercato di riunirci con mio padre in Belgio. Mia madre aveva organizzato per noi l’espatrio clandestino verso il Belgio, ma all’ultimo minuto io e mio fratello abbiamo preso il morbillo e non potevamo viaggiare. Chi avrebbe mai pensato che avere il morbillo avrebbe salvato le nostre vite?


La madre Mariem trovò lavoro prima come impiegata presso la Comunità Ebraica di Milano, poi nel 1943 aprì anche un piccolo laboratorio di confezione di pellicce[5] e con questo poté mantenere i figli. La vita a Milano diventò però sempre più pericolosa, nell’ottobre 1943 I Lowi lasciarono Milano[6]:


Inizialmente, non abbiamo mai temuto per la nostra sicurezza perché eravamo ebrei, abbiamo temuto per la nostra sicurezza perché Milano subiva bombardamenti aerei. Quando la vita divenne più pericolosa, ci trasferimmo da Milano a Gandino, in provincia di Bergamo.


La scelta di Gandino fu probabilmente dettata dalla presenza nel paese di un’altra famiglia Lowi, quella di Jechiel Lowi, cognato di Mariem[7]. I Lowi si rifugiarono in un primo tempo presso la colonia Rudelli al Palandone, ospitati da Vincenzo Rudelli, in quella casa, oltre ai Lowi, c’erano altri ebrei, tra cui gli ungheresi Gerber e gli jugoslavi Zeitlin. Racconta Lina Rudelli[8]:


Poi c’era la Lowi con i due bambini, madonna che pena mi faceva, ma aveva tanta forza, lei era austriaca o dell’Ungheria, lei parlava bene il tedesco, lei raccontava, tutti gli altri ebrei sapevano che il marito era stato buttato nelle camere a gas, ma nessuno lo diceva, quello che io ho visto una gran solidarietà fra loro, ma molta, capivano come poteva anche vivere lei con i due bambini.


La colonia Rudelli non rimase a lungo un rifugio sicuro: Vincenzo Rudelli era sospettato, non a torto, di connivenza con i partigiani, la casa al Palandone diventò poi una delle basi della 53° Brigata Garibaldi e fu bruciata dai nazifascisti durante un rastrellamento, continua Lina:


Fino a un certo punto la mia casa l’han bruciata a metà i tedeschi e i fascisti e ci siamo salvati anche noi per miracolo, io e mio padre buttati per terra così, notti di fame, freddo e la casa e allora si è trovata in uno stato, lei si è nascosta e i bambini li ha messi in un collegio giù di Gazzaniga sotto il nome di Loverini e si son salvati.


Gli ebrei lì nascosti dovettero cambiare rifugio, i Lowi lo trovarono presso la famiglia di Barbù e Ciara[9], due contadini i cui veri nomi erano Francesco Lorenzo Nodari e Maria Chiara Carnazzi. La sistemazione era molto primitiva, senza acqua corrente, né elettricità, né riscaldamento, ma abbastanza sicura perché la casa si trovava in fondo a una valletta, nascosta dai sentieri percorsi dai tedeschi e dai fascisti. Un partigiano forniva loro del cibo, pagato con i soldi ottenuti dalla vendita di pezzi di pelliccia che Mariem Lowi aveva ricavato dal suo precedente lavoro nel commercio delle pellicce a Milano. Tre mesi più tardi, Vincenzo Rudelli e il cognato Giuseppe Siccardi organizzarono per i bambini di essere riparati per l’inverno in un convitto nel convento delle Suore di Santa Maria Bambina a Gazzaniga, a circa 18 km da Gandino. A tutti e tre, grazie all’aiuto di Giovanni Servalli, impiegato comunale di Gandino, erano state fornite vere tessere annonarie e carte di identità, ma con identità false: Mariem divenne Maria Loverini, Siegbert e Marina rispettivamente Gilberto e Marina Carnazzi. L’identità ebraica dei due bambini era nota solo alla madre superiora e al cappellano del convento, Marina ricorda anche un episodio di quel periodo[10]:


Mio fratello aveva qualche anno in più, un giorno che eravamo in chiesa, la sua classe andò a ricevere la comunione. Naturalmente dovette andare anche lui, altrimenti avrebbe destato sospetti. Quando tornò, mi guardò, sorrise e scrollò leggermente le spalle come per dire “cosa puoi fare?”


I bambini ricevevano notizie dalla mamma, senza però sapere dove esattamente fosse: Mariem temeva che potessero tradirsi rivelando il suo nascondiglio e mettendo nei guai lei e i suoi ospiti.


Anche Mariem nel frattempo aveva cambiato rifugio e aveva trovato ospitalità presso la famiglia di Bortolo e Battistina Ongaro, ricorda Giovanni Ongaro[11]:


Io frequentavo le scuole elementari, un giorno esco da scuola e arrivo a casa. Di solito era mio padre che cucinava a mezzogiorno perché mia madre rientrava più tardi dallo stabilimento. Arrivo a casa e trovo una signora seduta al tavolo della cucina. Dopo un po’ arrivò mia madre e mio padre gli raccontò la vicenda. La donna non era sola, aveva due figli, erano la Marina che aveva sette anni e il Sighi che ne aveva dieci. E ricordo bene che mio padre disse a mia madre: “Che cosa facciamo?” E mia madre rispose: “Daga la stansa de sùra[12]”. In effetti al piano superiore c’era una grande stanza non utilizzata e c’erano anche un tavolo e un fornello elettrico. Ricordo benissimo le parole di mio padre che si rivolse a questa ebrea, alla Maria, e disse: “Venite che un boccone di polenta ci sarà anche per voi“.


Poco più tardi fu raggiunta anche dai figli, continua Giovanni Ongaro:


Ero contento perché avevo altri bambini con cui giocare: pensi che il Sighi era nato nel mio stesso giorno, mese e anno: 31 gennaio 1933. Se oggi penso che anche loro potevano finire in uno di quei posti terribili … Ogni tanto i fascisti della Repubblica Sociale e i nazisti facevano controlli nelle case. Una volta vennero anche da noi quando in casa c’era soltanto la Maria. Fu la Maria a raccontarci. Arrivarono di mattina, lei li fece entrare, chiesero i documenti. Per fortuna in Comune c’era il Giovanni Servalli che lavorava all’anagrafe e preparava i documenti falsi per gli ebrei e per i rifugiati. Inventava nuove identità, provenienze. Gli consegnava anche le tessere per poter avere i generi alimentari. Insomma, chiesero i documenti, si guardarono in giro, ma poi restarono a osservare delle fotografie che le mie sorelle avevano appeso alla vecchia porta che scendeva in cantina: erano foto di attori, ce n’erano anche di tedeschi e i soldati restarono molto compiaciuti. La Maria disse poche parole per non tradirsi: parlava benissimo italiano e altre due lingue, ma aveva una pronuncia particolare che rischiava di tradirla. Così fece la timida spaventata, disse pochi monosillabi e se la cavò. Ma prese uno spavento terribile.”


I Lowi rimasero con gli Ongaro fino alla liberazione, successivamente emigrarono negli Stati Uniti.


Marina non ha mai dimenticato i suoi benefattori, racconta Maria, moglie di Giovanni Ongaro: “Io la Marina l’ho conosciuta nel 1959 e poi ci siamo sempre sentite, anche adesso ci telefoniamo tutte le settimane. Lei abita a South Plainfield in New Yersey, il fratello Sighi abita in Florida a Boynton Beach. Lui viene da noi ogni due anni.[13]


Ricorda Lina Rudelli[14]:


La Marina mi scrive sempre, dopo le faccio vedere le lettere, il Sighi è diventato un industriale e è venuto tre anni fa a trovarmi e ho trovato proprio il giornale perché han saputo che era arrivato a Gandino e han voluto fargli una foto qui in casa mia. Avevo sturato bottiglie e avevamo fatto festa e lui poveretto lì con me un pezzo di uomo, bel giovanotto, sposato, m’ha portato la moglie un’ebrea francese, una bellezza veramente, con quegli occhi che hanno loro vellutati, neri, e ha avuto tre o quattro figli, e anche lui mi scrive, e la sorella è la Marina, la mamma adesso è in una casa di riposo, adesso stanno a New York. Dopo m’ha mandato anche la foto, regolarmente, il bambino che accende la candelina, dopo il sabato facevano tutte le funzioni, e io dicevo: “E’ il cannocchiale quello lì”, “No c’è dentro un pezzo dell’arca di Noè”, “Madonna” io dico “chissà quanti pezzettini han dovuto fare.”


Marina si era inoltre attivata per far ottenere il riconoscimento di Giusto fra le nazioni[15] alle famiglie che l’avevano aiutata a sfuggire la deportazione e la sicura morte, riuscendo a far conferire il 9 agosto 2004 il titolo di Giusto a Bortolo e Battistina Ongaro, a Vincenzo Rudelli, a Giovanni Servalli, a Francesco Lorenzo Nodari e Maria Chiara Carnazzi. L’onorificenza è stata consegnata agli eredi dal consigliere dell’Ambasciata d’Israele a Roma, dottor Shai Cohen, il 27 novembre 2005. In quell’occasione Iko Colombi ha ricostruito per la prima volta, attraverso le testimonianze di rifugiati e gandinesi, un primo quadro della presenza ebraica a Gandino tra il 1943 e il 1945 e delle persone che li ospitarono e nascosero fino al termine della guerra[16]. Marina non ha potuto essere presente di persona, ma ha inviato un saluto letto durante la cerimonia[17]:


South Plainfield novembre 2005


Egregie famiglie


Ongaro, Rudelli, Servalli, Carnazzi Nodari e gentili ospiti


Oggi siamo impegnati in una solenne e gioiosa commemorazione. Onoriamo lo spirito dei “Giusti” e dei “Gandinesi” che istintivamente e altruisticamente vennero all’aiuto e difesa a degli esseri umani, che l’unica differenza era d’essere di religione ebraica. I nostri protettori hanno provveduto rifugio ad estranei e ad un grande rischio in faccia agli atti selvaggi della Germania nazista che hanno occupato Gandino lanciando un’ombra di morte su tutta l’Europa avvilendo, trucidando milioni d’innocenti: bambini, donne, uomini, mio Padre Leopoldo Lowi incluso, in cerca della “razza superiore”. Era essenziale per me a nome della mia povera Mamma Mariem Lowi (sciura Maria) che era tutta sola all’età di trent’anni con due figlioletti, a dare onore ai nostri protettori valorosi: Professor Vincenzo Rudelli, Giovanni Servalli, Bortolo e Battistina Ongaro, Francesco Lorenzo e Maria Nodari. Sotto gli auspici di “Yad Vashem” a Gerusalemme – Israele.


Le quattro famiglie e altri gandinesi, hanno provveduto un lume nell’oscurità e consolazione in quella implacabile tempesta che ha scosso il fondamento del nostro mondo per molti anni. I nostri saggi ci dicono che chi fa un atto di benevolenza in questo mondo lo troverà documentato a suo merito nel “mondo divino”. Com’è scritto “le tue buone azioni ti precederanno, la gloria del Signore t’abbraccerà”. Quello che fu tanto tempo fa non si dimenticherà mai. Sono sempre stata grata ai nostri protettori e ai gandinesi, e lo stesso alle generazioni che mi seguiranno. Mi dispiace di non essere con voi oggi, ma però sono lì di spirito e con tutto il mio cuore. Che dio vi benedica.


Saluti cordiali e tante cose belle.

Per sempre Marina Lowi Zinn.


Marina è morta il 26 agosto 2017 a South Plainfield, in New Jersey, all’età di 81 anni.






[1] I dati di nascita di Marina sono desunti dal questionario informative redatto dalle autorità alleate e visibile presso gli Arolsen Archiv, Reference code 03020102 oS Number of documents 215395. La ricerca deve essere effettuata col nome di Lissek Mariem o Mirjam. https://arolsen-archives.org/en/


[2] Paolo Aresi, Quando Gandino sconfisse Auschwitz, L’ Eco di Bergamo, 26 gennaio 2005. Giovanni Ongaro classe 1933 aveva all’epoca 10 anni, è figlio di Bortolo e Battistina Ongaro, che dettero rifugio ai Lowi.


[3] Cfr. Elizabeth Bettina, It Happened in Italy – Untold Stories of how the people of Italy defied the orrors of the holocaust, Thomas Nelson Publisher, Nashville, 2011, p. 114. Un documento dell’International Refugee Organization (IRO) del 5 novembre 1948 riassume cronologicamente, sulla base delle dichiarazioni di Mariem Lissek Lowi le vicende della famiglia, Arolsen Archiv, Reference Code 03020102 oS Number of documents 215395. Dei tre amici citati abbiamo trovato traccia solo di Hort Stein, nato a Francoforte il 26 novembre 1920, anch’egli residente a Milano dopo l’emigrazione dalla Germania, durante la guerra internato prima a Tossiccia (TE) e poi a Civitella del Tronto da cui fugge il 4 febbraio 1944 riuscendo a salvarsi. 


[4] Cfr. Elizabeth Bettina, It Happened in Italy, op. cit., pp. 145-148.


[5] È probabile che si tratti di datori di lavoro ebrei, molto attivi nel commercio delle pellicce sia a Bergamo che a Milano. 


[6] Cfr. Elizabeth Bettina, It Happened in Italy, op. cit., pp. 145-148.


[7] Jechiel Lowi e Leopold Lowi, sono figli di Mendel Lowi, come risulta dall’I.G. per Jechiel, dalla scheda allo Yad Vashem per Leopold.


[8] Archivio personale di Silvio Cavati, intervista a Lina Rudelli di Riccardo Schwamenthal, effettuata in data imprecisata.


[9] Francesco Lorenzo Nodari nato nel 1893 e la moglie Maria Chiara Carnazzi nata nel 1889.


[10] Cfr. Elizabeth Bettina, It Happened in Italy, op. cit.


[11] Paolo Aresi, Quando Gandino sconfisse Auschwitz, L’ Eco di Bergamo, 26 gennaio 2005.


[12] Dialetto bergamasco: dagli la stanza di sopra.


[13] Paolo Aresi, Quando Gandino sconfisse Auschwitz, op. cit.


[14] Lina non è religiosa, o perlomeno è refrattaria alle pratiche tradizionali, i suoi commenti in materia sono salaci, ma, dice in un passo successivo riferito alle pratiche religiose dei suoi compaesani cattolici “poi ho dovuto tacere perché c’era una formula di educazione anche lì, bisogna rispettare le idee altrui”, nell’intervista con Riccardo ha potuto evitare alcune prudenze dell’educazione.


[15] Dopo la Seconda guerra mondiale, il termine “Giusto tra le nazioni” è stato utilizzato per indicare i non-ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita e senza interesse personale per salvare la vita anche di un solo ebreo dal genocidio nazista della Shoah. È inoltre una onorificenza conferita dal Memoriale ufficiale di Israele, Yad Vashem, fin dal 1962, a tutti i non ebrei riconosciuti come “Giusti”.


[16] Iko Colombi, Memoria di gente ebrea a Gandino, Civit@s periodico di informazione del Comune di Gandino Anno 5, n. 1, marzo 2006, pp. 6-7, reperibile anche on line come pdf scaricabile su https://www.gandino.it/paper/civits-marzo-2006.


[17] Copia della lettera autografa è conservata nell’archivio personale di Silvio Cavati.